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"La legge-bavaglio imbarazza l'Europa", di Andrea Bonanni

Alla fine, nella grande sala delle conferenze del Parlamento ungherese, il primo ministro Viktor Orban perde per un attimo quella baldanza con cui ha tenuto testa ad una cinquantina di giornalisti stranieri: «Sì, è vero, è una brutta partenza. Nessuno potrebbe augurarsi che una presidenza dell’ Unione europea cominciasse a questo modo. Abbiamo approvato una legge che ritenevamo perfettamente regolare, e tutto il mondo ci è saltato addosso». La legge che ha attirato sul governo ungherese di destra le critiche della Commissione, della Francia, della Germania e perfino della Gran Bretagna (ma non dell’ Italia) riguarda «la libertà dei media e le regole fondamentali sui loro contenuti»: un titolo che è già di per sé una contraddizione in termini. In pratica si tratta di una legge-bavaglio che assegna ad una Autorità controllata dalla maggioranza parlamentare il diritto di giudicare il contenuto dell’ informazione e di appioppare multe salatissime in grado di stroncare il pluralismo e di soffocare il dissenso. Difficile ritrovare negli archivi europei una norma così illiberale diretta contro quello che il presidente della Commissione Barroso ha definito «il sacrosanto principio della libertà di stampa». Bruxelles ha già impugnato la legge. Il governo francese e quello tedesco hanno chiesto apertamente che venga modificata. I giornali ungheresi hanno protestato uscendo con una prima pagina bianca o annunciando a titoli cubitali: «la libertà di stampa in Ungheria è finita». A rendere ancora più clamoroso il varo di una legge che non trova precedenti nell’ Europa democratica c’ è il fatto che, dal primo gennaio, l’ Ungheria ha assunto per sei mesi la presidenza rotante dell’ Unione europea.E già il ministro degli esteri lussemburghese ha espresso legittimi dubbi che un governo con così labili credenziali democratiche possa assumere la leadership dell’ Unione. Ieri, davanti ai giornalisti della stampa europea che lo bersagliavano di domande, Orban ha ammesso: «non ho visto il legame tra la norma sui media e l’ avvio della nostra presidenza. Forse tatticamente è stato un errore. Ma ormai non posso farci niente, e dunque me ne assumo la responsabilità. Difenderò la legge e difenderò le nostre scelte di politica nazionale». La norma, approvata il 20 dicembre dal parlamento, dove Fidesz, il partito di Orban, ha una maggioranza di due terzi, è composta di 184 pagine. E contiene passaggi come questo: «il compito di ciascun fornitore di contenuti mediatici è dare una informazione autentica, rapida e corretta sulle questioni nazionali e comunitarie e su ogni fatto che sia rilevante per i cittadini della Repubblica di Ungheria e per i membri della nazione ungherese». A decidere se l’ informazione sia «autentica» e «corretta» è una autorità che il parlamento ha affidato ad esponenti del Fidesz per un periodo di nove anni. Essa avrà il potere di imporre multe proporzionali all’ importanza dell’ organo di informazione e che potranno arrivare fino a 800 mila euro. Ma in caso di recidiva potrà anche revocare la licenza e di fatto chiudere un giornale, una radioo una agenzia di informazioni. La cosa più stupefacente è che il governo Orban sembra sinceramente sorpreso dell’ ondata di proteste. «Nella nostra legge non c’ è nessun provvedimento contrario ai principi europei», spiega il premier. Secondo lui, le critiche rivoltegli dai governi di Francia e Germania sono «inopportune», «frettolose» e «inutili». Ma la pressione europea comincia a fare il suo effetto. Dopo aver dichiarato che non avrebbe cambiato la legge, ora il governo si dice disposto ad accettare la procedura aperta dalla Commissione. «Tuttavia – precisa Orban – non accetterò di modificare norme che siano presenti anche in altri Paesi, a meno che anche questi non siano disposti a rivederle». Oggi il primo ministro riceverà a Budapest il presidente della Commissione, Barroso, e il collegio dei commissari venuti per il tradizionale incontro che apre la presidenza di turno. Sarà un confronto teso. Difficile davvero concepire una partenza peggiore.

La Repubblica 07.01.11