La «cena degli ossi». Gli ultimatum di Bossi. Il complotto dei «rossi». Sono tanti gli spettri che turbano i sonni del presidente del Consiglio. L´ipotesi che la Consulta non dia via libera alla legge sul legittimo impedimento, riaprendo la caccia dei «pm al servizio dei comunisti», è tutt´altro che campata in aria. L´aut aut del leader della Lega, o il federalismo entro il 23 gennaio o si va al voto, è tutt´altro che uno scherzo. Ma sullo sfondo, c´è un altro spettro che lo inquieta di più perché, per sventura politica e congiuntura economica, li sintetizza tutti: è Tremonti.
Il «fantasma di Giulio» è la nuova ossessione del Cavaliere. La sua paura è che il «genio dei numeri» diventi il «capo dei congiurati», per sostituirlo a Palazzo Chigi. Ogni mossa del superministro viene letta dal premier come un tentativo di sabotare il suo governo e di affossare la sua leadership. Basta che Tremonti si attovagli con i vertici del Carroccio in Cadore. Basta che neghi risorse ad Alfano o alla Gelmini. Basta che dica «la crisi non è finita». Indizi che, messi insieme, fanno la prova: «Giulio vuole farmi fuori». Così, assediato dal fantasma di Tremonti, Berlusconi non vede il vero fantasma che si aggira sull´Europa: quello di una nuova tempesta finanziaria.
eri la presidenza del Consiglio è tornata a smentire dissidi con il Tesoro. Ma per avere la conferma che il dissidio c´è basta sfogliare «il Giornale» di famiglia. «Tutti gli incubi di Tremonti», era il titolo di apertura di ieri. Oltre all´allarme sull´andamento dell´economia rilanciato il giorno prima dal ministro a Parigi, ampio risalto all´inchiesta della Procura di Napoli su Marco Milanese, parlamentare Pdl e collaboratore di Tremonti a Via XX Settembre. Un segnale preciso. Non siamo ancora al trattamento-Boffo o alla terapia-Fini. Ma il piano inclinato, sul quale si sta posizionando la solita «macchina del fango», potrebbe sembrare lo stesso.
Quello che c´è da capire è perché, nella mente del premier, nasce e prende corpo il fantasma di Tremonti. E qui, appunto, si incrociano due «cromosomi». Il cromosoma X è la politica. E la politica dice chiaramente due cose. La prima: la maggioranza forzaleghista alla Camera e nelle commissioni non c´è più, e non basta l´integrazione di 10 parlamentari «comprati» a tenere in piedi la coalizione. La seconda: il Carroccio è disposto a tenere in piedi questa maggioranza solo se porta a casa il federalismo fiscale, e non basta l´approvazione dei decreti ma serve la loro effettiva attuazione. Questi, al dunque, sono stati i piatti forti della «cena degli ossi» di martedì scorso all´Hotel Ferrovia di Calalzo: Bossi, Calderoli e Tremonti hanno convenuto sul fatto che «senza una maggioranza organica, e non solo numerica, non si va da nessuna parte». Perché «fare il federalismo fiscale non vuol dire soltanto varare i decreti entro le prossime due settimane: poi bisogna gestire la loro realizzazione, e bisogna reggerli politicamente».
Proprio per questo, la preoccupazione condivisa del Senatur e del superministro è una maggioranza risicata ed episodica, che «il voto se lo deve conquistare tutti i giorni, perché governare è un sondaggio quotidiano». Proprio per questo, pur non volendo tradire il patto con Berlusconi, i due potrebbero essere comunque propensi ad «allargare gli orizzonti delle alleanze» (e dunque a sostenere un´altra maggioranza, senza ricorrere alle elezioni anticipate) se il premier non dovesse riuscire ad evitare la crisi. Bossi, mentre il Cavaliere tuona contro «i comunisti in cachemire», dichiara che lui con i «comunisti» ci dialoga, e sulla road map del federalismo si confronta ogni giorno col sindaco di Torino Chiamparino e col governatore dell´Emilia Errani. E Tremonti, mentre il Cavaliere lancia i suoi anatemi contro il Pd, parla con D´Alema e si prepara a intervenire il 20 gennaio al convegno sull´austerity di Enrico Berlinguer insieme a Nicola Zingaretti. È proprio questa «intelligenza col nemico» dell´asse padano che genera la sindrome da accerchiamento del Cavaliere.
Il cromosoma Y è l´economia. E l´economia dice essenzialmente due cose. La prima: la congiuntura va male in tutto il mondo, e l´Europa rischia una nuova crisi finanziaria. La seconda: l´Italia è nel mirino dei mercati, e non può permettersi un solo passo falso con i partner dell´Ue. E qui Tremonti è più che mai al centro dei «giochi». Ieri, a Parigi, ha detto chiaro quello che pensa da tempo: «La crisi è proteiforme, e appena crediamo di aver battuto il mostro, questo si ripresenta altrove». Il superministro non ha parlato a sproposito. I suoi interlocutori, a livello di Eurozona, sono stati espliciti: «Già dalla prossima settimana – dicono – sui mercati potrebbe partire un´ondata di attacchi speculativi contro i Paesi deboli di Eurolandia».
Le avvisaglie ci sono tutte. Dall´America Geithner parla di «rischio default» ed evoca un debito americano pari al 185% del Pil (400% se venisse calcolato secondo i nostri standard). In Germania, dopo il formidabile traino dovuto all´export tedesco dovuto al piano keynesiano di investimenti cinesi, la produzione industriale rallenta. In Irlanda, per la prima volta nella storia, i «credit default swaps» a 5 anni contro i rischi di insolvenza costano più di quelli argentini. In Belgio, che oggi conquisterà il record storico in Europa con 209 giorni senza governo, si addensano nubi pesantissime. In Portogallo la situazione precipita, e la Banca centrale svizzera si rifiuta di sottoscrivere bond di Lisbona. In Spagna si teme per il sistema creditizio, e si sussurra addirittura di «enormi problemi di liquidità» per una delle principali banche del Paese. Il sistema bancario franco-tedesco è esposto su Madrid per un trilione di euro. «E – come ripetevano l´altro ieri a Parigi gli interlocutori di Tremonti – se salta la Spagna salta l´euro, perché quel Paese non è tanto “too big to fail”, ma “too big to save”…».
Questo è il panorama dell´eurozona, del quale Berlusconi non si occupa, ma del quale il superministro del Tesoro si preoccupa. Perché l´Italia, a dispetto dei «bagni di ottimismo» invocati dal Cavaliere, c´è dentro fino al collo. Ieri, in una giornata di tensione per tutti i Pigs, gli spread dei nostri titoli di Stato rispetto a quelli tedeschi sono tornati vicini a 200 punti base. «Finora l´Italia ha tenuto bene i suoi conti – è il ragionamento che i colleghi di Tremonti gli hanno ripetuto a Parigi – raggiungerete il 5% previsto nel rapporto deficit/Pil. Ma il fatto che nel 2010 abbiate “tenuto” non significa che adesso potete ricominciare a spendere: semmai che dovete fare ancora meglio quest´anno…».
Ecco perché Tremonti ripete «la crisi non è finita». Ecco perché respinge le pressioni del Cavaliere, che si lamenta della sua «rigidita da tecnico» e ora gli chiede la «flessibilità del politico» nell´uso delle risorse. Ma a queste richieste, visto l´inesorabile «vincolo esterno che ci lega», il superministro non può cedere. Non può cedere ad Alfano, che deve trovare i fondi per l´informatizzazione dei tribunali nel bilancio del ministero della Giustizia. Meno che mai può cedere alla Gelmini, che in un´intervista al “Sole 24 Ore” si illude di poter trasformare il decreto mille-proroghe «nell´appendice della vecchia Legge Finanziaria». Raccontano che in queste ore Tremonti, oltre al leggendario barattolo di pelati Cirio, si tenga sulla sua scrivania una frase di Quintino Sella: «Il bilancio dello Stato contiene vizi e virtù di un popolo». In questa fase rovente, il Tesoro tiene solo alle virtù, e non può cedere ai vizi degli «irresponsabili» che non sanno cosa stiamo rischiando e che, credendo di evitare la «bancarotta del governo» con una impossibile «fase due», finirebbero per causare la «bancarotta del Paese». Ma è proprio questa «linea del rigore», che per il superministro è un «impegno europeo inderogabile» e non una «astrazione numerologica», che alimenta la psicosi del complotto nel Cavaliere.
Dunque, il fantasma di Tremonti nasce così. Dalla combinazione di questi due elementi. «L´amico Giulio», per ruolo politico e per funzione governativa, presidia un crocevia fondamentale per i destini della legislatura. Da un lato c´è l´obiettivo del federalismo fiscale, che per la Lega può richiedere una piattaforma politica più larga di quella (sempre più esigua) ormai condivisa con il solo Pdl. Dall´altro lato c´è una possibile crisi finanziaria, che come hanno confermato al superministro gli «amici» a Parigi «condiziona e condizionerà la politica economica italiana» e impedirà a chiunque governi «di fare il furbo con qualunque forma di disimpegno contabile». Questo è lo scenario, problematico se non addirittura drammatico, dei prossimi quindici giorni. Più che per Tremonti, un incubo per Berlusconi.
La Repubblica 08.01.11