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«Nuove regole per investire sull'università», di Francesco Profumo *

Caro direttore, nell’ormai lontano 1989 fu approvata la legge dell’autonomia universitaria (legge Ruberti), che consentì agli atenei di essere istituzioni che devono rispondere del loro operato ad un soggetto esterno di valutazione.

Fu una riforma epocale per un sistema universitario che era stato fino ad allora fortemente centralizzato e privo di autonomia. Il ministero dell’Istruzione «dettava le regole» e le singole università le «applicavano»: per quello che si doveva insegnare, per come si doveva spendere e per come scegliere i temi della ricerca scientifica. L’obiettivo principale della nuova legge fu quello di rendere (in prospettiva) gli atenei autonomi e responsabili, legando una parte del finanziamento del ministero al raggiungimento di specifici obiettivi. Nei primi Anni Novanta, le università scrissero «da sole» la loro mini-costituzione, ovvero lo statuto.

Successivamente, il primo passo concreto dell’autonomia fu la responsabilizzazione dei centri di spesa delle università, meglio nota come autonomia finanziaria degli atenei. A seguire, furono attuate l’autonomia didattica e quella relativa al reclutamento del personale docente e tecnico amministrativo. Dopo vent’anni dall’approvazione della legge, si può affermare che il processo dell’autonomia universitaria è stato un elemento abbastanza positivo per il nostro Paese: alcune delle nostre università competono con maggiore energia in campo nazionale e internazionale. Tuttavia è mancato il secondo elemento essenziale per il corretto funzionamento di un sistema che agisca in autonomia: lo stimolo alla responsabilità.

Le distorsioni che, in questi anni, sono state evidenziate nel sistema universitario italiano: i bilanci in rosso di alcuni atenei, il generalizzato numero di corsi di laurea non commisurato agli organici, le troppe sedi decentrate create senza una policy organica di sviluppo del sistema universitario, gli organici ipertrofici (soprattutto professori ordinari, a scapito di nuovi posti per ricercatori), sono state determinate dall’assenza di un sistema di valutazione che responsabilizzi gli atenei, attraverso premialità e penalizzazioni, in modo oggettivo, in funzione dei risultati ottenuti.

Finalmente nel 2006, su proposta del ministro Mussi, fu istituita la nuova Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur), incaricata di valutare la qualità e l’efficienza degli atenei e degli enti di ricerca e le cui rilevazioni saranno determinanti per distribuire una parte (aggiuntiva rispetto alla «quota storica») del fondo di funzionamento ordinario alle università e agli enti di ricerca che raggiungeranno i risultati migliori.

Ecco il tassello mancante dell’intero processo, ma purtroppo i tempi della politica nel nostro Paese sono sempre lunghi e non sempre sono compatibili con un mondo sempre più competitivo e in evoluzione continua. Nel giugno 2010, il ministro Gelmini, con atto di «cultura anglosassone», ha affidato la selezione delle candidature per il Consiglio direttivo dell’Anvur a un Comitato indipendente. La reputazione e la qualità dei componenti del Comitato sono una garanzia per il risultato della selezione. Il Comitato sta concludendo i lavori scegliendo quindici nominativi, tra i quasi trecento candidati che hanno presentato domanda; tra questi, a sua volta il Ministro dovrà scegliere i sette membri del Consiglio direttivo dell’Anvur. Saranno passati ventidue anni da quando fu approvata la legge Ruberti, ma si aprirà a quel punto una nuova stagione dell’università italiana.

I membri dell’Anvur avranno una grande responsabilità: creare, con regole certe e con continuità pluriennale, un sistema di valutazione del sistema universitario italiano, che consenta di dare più stimoli e più risorse alle università che lo meriteranno. Il nostro Paese ha il dovere di investire di più e meglio in formazione e ricerca di qualità per il futuro dei nostri giovani, questo può essere un primo passo: una prima risposta concreta al discorso di fine anno del Presidente della Repubblica.

*rettore del Politecnico di Torino

da www.lastampa.it

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