Le statistiche italiane e dell’area dell’euro mostrano che nel 2010 l’inflazione ha accelerato. In parte ciò dipende da una qualche ripresa dell’attività economica, che era precipitata l’anno precedente. Ma la disoccupazione è stata tanta e crescente. Non è certo il mercato del lavoro a spingere la dinamica dei prezzi. È invece colpa dei margini dei settori meno competitivi, dove i produttori e i commercianti hanno più potere di mercato, come quello dell’energia, e delle quotazioni di materie prime e prodotti agro-alimentari, che crescono insieme alla domanda impetuosa dei Paesi emergenti e sono spesso gonfiate dalla speculazione.
Per ora l’aumento dei prezzi al consumo rimane prossimo al tetto del 2% fissato dalle autorità monetarie. Ma non mancano ragioni per preoccuparsi, visto che il tetto è raggiunto in presenza di andamenti tutt’altro che brillanti della domanda di beni e servizi, della produzione e dell’occupazione. Il pericolo è che un più alto tasso di inflazione entri nelle aspettative di medio termine dei consumatori e dei risparmiatori, delle imprese e dei lavoratori. Se crescono le attese di inflazione essa tende a rispecchiarle e si autoalimenta con un circolo vizioso, soprattutto in presenza di una grande quantità di liquidità che è stata riversata in tutto il mondo dalle banche centrali, prima e dopo il panico della crisi internazionale nel 2008.
L’insistenza con cui le autorità monetarie, soprattutto negli Stati Uniti, continuano le loro politiche espansive è forse già all’opera nel sostenere l’inflazione attesa.
Un significativo rialzo delle aspettative di inflazione aumenterebbe subito i tassi di interesse a lungo termine, perché chi investe e presta denaro vuole essere compensato per la perdita prevista del suo potere d’acquisto. L’impennarsi dei tassi metterebbe in seria difficoltà i debitori pubblici e privati e i listini azionari. D’altra parte non tutti i risparmiatori sarebbero ugualmente capaci di difendersi dall’inflazione, ottenendo interessi più elevati: quelli più piccoli, meno attrezzati e consapevoli, vedrebbero erosa la loro ricchezza reale. È inoltre difficile che il rialzo atteso dei prezzi si traduca in aumenti dei salari e degli stipendi, visto lo stato dell’occupazione del lavoro e la sua attuale bassa forza contrattuale. Ne verrebbe dunque un’erosione del potere d’acquisto dei compensi del lavoro, soprattutto di quello meno qualificato, e una distribuzione del reddito e della ricchezza più diseguale e sfavorevole ai gruppi sociali più deboli. Con i riassetti in corso nell’economia e nella finanza mondiali è ancor più erroneo che in passato considerare la tolleranza nei confronti dell’inflazione come un atteggiamento «di sinistra».
Auguriamoci che i prezzi non continuino ad accelerare. La politica economica, nazionale e internazionale, può far molto per evitarlo. Le politiche monetarie devono ribadire o riformulare le loro strategie in modo da convincere meglio gli operatori che non permetteranno che eccessi di credito e di liquidità, ancorché diretti ad aiutare imprese, banche e governi in difficoltà, alimentino l’inflazione. Il contenimento dei disavanzi e dei debiti pubblici deve ridurre il timore che, per finanziarli e svalutarli, si ricorra alla moneta e all’inflazione. Ma anche i debiti privati, che rendono l’inflazione più probabile e più dannosa, vanno messi meglio sotto controllo: nello scorso decennio i debiti delle imprese non finanziarie dell’area dell’euro, in rapporto al Pil, sono cresciuti di quasi il cinquanta per cento.
Vanno intensificate le riforme strutturali, che stimolano la produzione dal lato dell’offerta, in quantità e qualità. Offrire più buoni prodotti sul mercato significa contenere il costo di una data qualità della vita. Occorre provvedere in un’ottica di medio-lungo periodo, con particolare attenzione alle riforme che incidono sulla struttura degli enormi settori pubblici dei nostri Paesi, ne riducono i costi e ne migliorano il contributo alla produttività dei privati, e a quelle che stimolano l’innovazione dei prodotti e dei processi produttivi.
Va ripresa con vigore l’attenzione per le politiche di difesa della concorrenza e del consumatore, che la crisi pare aver messo fra parentesi. Il contenimento dei poteri di mercato, da quelli delle attività locali, piccole ma sovente cruciali per il costo della vita, a quelli dei grandi oligopoli multinazionali è la via maestra per frenare i prezzi e aumentare le produzioni. Un insieme di operazioni-trasparenza, riorganizzazioni strutturali e interventi anti-trust deve far sì che l’Italia, in particolare, smetta di essere uno dei Paesi dove sono più care le banche, le assicurazioni, i telefoni, la luce, il gas, la benzina, i servizi professionali e alle imprese. In Europa è urgentissimo rilanciare l’agenda di avanzamento del mercato unico, abbattendo le molte barriere implicite ed esplicite che ancora lo segmentano. Il mercato unico delle merci, dei servizi, del capitale e del lavoro, oltre a essere la migliore opportunità per la crescita dell’Ue, è la più sicura difesa contro gli aumenti ingiustificati dei costi e dei margini che si formano sui mercati locali.
da www.lastampa.it
******
«Inflazione raddoppiata nel 2010», di Luisa Grion
La media dell´anno balza all´1,5%, a dicembre impennata all´1,9%. Nel 2009 era a +0,8%. Prezzi caldi anche nella Unione L´Euribor torna sotto l´1%
ROMA – L´inflazione raddoppia: se la media del 2009 era ferma allo 0,8 per cento, il 2010 ha chiuso all´1,5 e gli ultimi dati fanno pensare ad ulteriori balzi. Guardando solo allo scorso dicembre – rispetto allo stesso mese 2009 – il costo della vita segna infatti l´1,9 per cento: per ritrovare una quota così alta bisogna risalire al 2008. Colpa della benzina, delle assicurazioni e dei costi del trasporto, fa notare l´Istat. Ma sul tasso ci sono interpretazioni diverse: governo e commercianti frenano le preoccupazioni, ricordando che siamo comunque sotto la media europea. I consumatori invece lanciano l´allarme: il costo della vita è già ripartito mentre il lavoro no. Nello stesso momento in cui si cambiano i cartellini dei prezzi sugli scaffali, nelle famiglie c´è chi continua a restare in cassa integrazione o viene licenziato.
Anche guardando all´andamento del solo mese di dicembre i negozianti frenano. E´ vero ammettono, il costo della vita è aumentato (dello 0,4 per cento nel solo passaggio da novembre a dicembre), ma quell´1,9 dell´ultimo mese va messo a confronto con una media nella zona euro del 2,2. «L´accelerazione è un fenomeno comune agli altri paesi» commenta Confcommercio che pur pochi giorni fa ha segnalato come i consumi, a Natale, pur non crollando, siano rimasti «molto prudenti, in linea con la debolezza della domanda interna». «Anche se raddoppiato il tasso resta sotto controllo – conferma Confesercenti – del resto lo 0,8 per cento del 2009 era il frutto della bufera della crisi internazionale aggravata da una caduta dei conti pubblici e dei consumi. Semmai si può dire che i consumi avanzano con un passo molto lento mentre i carburanti vanno al galoppo».
Anche il governo sostiene la linea «calma». «Siamo sotto il livello di guardia» assicura Paolo Romani, ministro dello Sviluppo Economico»; «siamo sotto la media Ue» precisa una nota della Funzione pubblica del ministro Brunetta. Una lettura che frena le preoccupazioni e che ieri ha trovato conforto in una notizia sui tassi: l´Euribor a tre mesi è sceso sotto la soglia dell´1 per cento (0,99), ovvero sotto il tasso di riferimento della Banca centrale europea. Visto che all´Euribor sono legati la gran parte dei mutui a tasso variabile, il calo è una buona cosa per chi deve versare le nuove rate.
Eppure i consumatori sono tutt´altro che tranquilli: «Il dato Istat è gravissimo» denunciano Adusbef e Federconsumatori, convinti che il reale costo della vita sia ancora superiore a quello fornito dall´istituto di statistica. L´inflazione, precisano, va letta assieme alla caduta dei consumi, al crollo del potere d´acquisto, alla contrazione dell´indebitamento da parte delle famiglie. Inoltre, sottolineano le associazioni, «cassa integrazione e licenziamenti non accennano ad arrestarsi, continuando ad innescare un pericoloso circolo vizioso dal quale sarà difficile uscire se non si correrà al più presto ai ripari».
da La Repubblica
******
«Il governo non si nasconda: la responsabilità è anche sua», di M.V.
Antonio Lirosi, responsabile consumatori del Pd, gli ultimi dati sul costo della vita erano prevedibili?
«Ci si attendeva un forte effetto sull’inflazione della componente energetica, e così è stato, però questo non deve farci perdere di vista le tendenze di fondo. Senza guardare al dato congiunturale di dicembre emerge comunque un aumento di un punto e mezzo percentuale dovuto alle dinamiche molto chiare».
Quali sono?
«A crescere sono state soprattutto le tariffe dei servizi sottoposti a regolamentazione, sia nazionale che locale, con tassi superiori all’inflazione media e spesso inmodoingiustificato. Aumenti di fronte ai quali le famiglie sono assolutamente indifese».
Eppure il governo in qualche modo si chiama fuori, come se non potesse controllare le dinamiche dei prezzi.
«Ma non è affatto vero. I servizi in questione sono quelli postali, autostradali, ferroviari, idrici, della raccolta rifiuti, tutte materie sulle quali l’esecutivo ha un controllo più o meno diretto. Ebbene, per fare qualche esempio, dal 2008 Tremonti ha aumentato i tabacchi, il costo dei conti correnti postali, ha trasferito meno risorse a Trenitalia determinando un rincaro dei biglietti, non ha battuto ciglio di fronte al crescere dei pedaggi autostradali. A tutto ciò vanno poi aggiunti gli abnormi aumenti dei prezzi delle polizze rc-auto e dei carburanti, sui quali il governo e i vari ministri continuano a fare solo annunci di tavoli e riunioni che poi non hanno alcun esito concreto».
Esiste qualche misura efficace da prendere per contenere i prezzi anche nel breve periodo?
«Innanzitutto esercitare un controllo vero sull’andamento delle tariffe, poi riaprire il tavolo sulle liberalizzazioni, perché senza concorrenza i prezzi scendono ben difficilmente. Ed ancora, ridare fiato alle famiglie con interventi sul fisco e sulla redistribuzione del reddito».
da l’Unità del 5.1.2011