L’anno appena concluso ha di fatto arenato la legislatura in un pantano che ancora pochi mesi fa era difficile perfino da immaginare. E invece la situazione – sul piano della stabilità politica, certo, ma non solo su questo – è quella che è. L’eredità che il 2010 lascia all’anno che comincia, insomma, è pesante: ma nella lunga crisi politica che ha preceduto i voti di fiducia e di sfiducia del 14 dicembre, almeno un paio di questioni sono emerse con la forza dell’evidenza. E non sarebbemale tenerne conto per cercare di correre finalmente ai ripari.
La prima è certamente il naufragio dell’idea che una politica spiccia e muscolare sia sempre meglio che confrontarsi per poi, se possibile, scendere a patti: o almeno provare a cercarli.Da settembre in poi (mese in cui la crisi ha iniziato ad avvelenarsi) non un solo canale di comunicazione è stato aperto, non una posizione politica è cambiata, nulla si è mosso: «colombe » ed ambasciatori di pace sono stati subito additati come potenziali traditori ed il risultato è stato il finale thrilling cui abbiamo assistito. Una cosa a metà tra il codice penale ed un’amara commedia all’italiana. Da farci un film.Titolo: Il Venduto.
Partiti tutti lancia in resta – i luogotenenti di Berlusconi e i fedelissimi di Fini – e convinti di spuntarla col mero uso del diktat e della forza, hanno finito col mercanteggiare un cambio di campo o il rispetto della fedeltà appena giurata.
Comunque lo si guardi, l’epilogo rappresenta una sconfitta per i più duri tra i duri, da La Russa e Cicchitto, da Bocchino a Gasparri, passando per i colpi da cecchino di Maroni e Calderoli, poche uscite ma tutte distruttive: una gioiosa macchina da guerra – si sarebbe detto qualche tempo fa – che ora si lecca le ferite, prova a riaggiustare i pezzi e fa i conti con quel che è rimasto e che il mercato ancora offre. Mercato in tutti i sensi, naturalmente.
E’ stato – anche – un passaggio terribile per Silvio Berlusconi, avviatosi in battaglia con fanfare e minacce, per poi concluderla – più modestamente – con promesse e blandizie: ma non è che gli altri leader, nelle stesse settimane, se la siano passata granché meglio. Anzi, mai come stavolta, forse, i limiti e le debolezze del «leaderismo all’italiana» sono apparsi nella loro impietosa evidenza. Della rabbia impotente di Silvio Berlusconi abbiamo detto. E che aggiungere dell’incedere via via più barcollante di Gianfranco Fini o delle sentenze sempre più oscure di Umberto Bossi, che ormai parla come la Sibilla cumana e come tale viene interpretato?
E’ una difficoltà – una debolezza – che ha riguardato tutti: Bersani, nel suo zigzagare contraddittorio, condizionato ora da Vendola e ora da D’Alema; Casini, impegnato prima di tutto a evitare altre scissioni ed emorragie, dopo quella (dolorosissima) in terra siciliana; Di Pietro, il più duro dei duri, costretto a scoprire i «traditori» proprio nella sua agguerritissima falange, ed ora oggetto di sberleffi e di contestazioni. Mai come stavolta si è avvertito che il «leaderismo all’italiana» sta forse esaurendo le sue ultime cartucce. Lo spettacolo non regge più: e il potere che segretari e presidenti hanno fondato su risorse economiche illimitate, sul potere di decidere con un cenno chi entra e chi esce dal Parlamento e perfino sul fatto di aver stampato il proprio nome sulle insegne del partito, va inesorabilmente consumandosi, come la cera di una candela.
E’ evidente da anni che il sistema avrebbe bisogno di una profonda risistemata; e senza andare troppo indietro nel tempo, lo dimostrano le ultime due legislature: quella di Prodi, naufragata dopo due anni, e la terza di Berlusconi, quella attuale, avviatasi alla deriva appena giunta al giro di boa. Ed è ugualmente chiaro che sarebbe stato anche simbolicamente significativo che alla riscrittura delle regole si riuscisse a metter mano proprio in questo 2011, 150˚ anniversario dell’unità d’Italia. Sperare non costa nulla, naturalmente, ma gli ultimatum di Bossi e Calderoli – puntuali come i botti di fine anno – non paiono un gran viatico. L’ipotesi più probabile – purtroppo – è che leader sempre più deboli e partiti senza più radici, finiranno per continuare a galleggiare sulle loro promesse: nuova legge elettorale, fine del bicameralismo perfetto, riduzione del numero dei parlamentari, abolizione delle province… E’ una filastrocca che si potrebbe mandare a memoria: e che – questo è il timore – continueremo magari a recitare anche in questo anno, che doveva essere di orgoglio e di celebrazione…
da www.lastampa.it