Un problema di estradizione si può affrontare in molti modi, ma la strada scelta dal governo italiano sul caso Battisti è, tra tutte, quella che porta alla sconfitta più sicura. La strada demagogico-nazionalista, l’alzare la voce lanciando minacce poco credibili e messaggi offensivi a un governo, a un popolo e a un Paese tra i più amici come il Brasile non porta da nessuna parte.
Se avessero voluto davvero ottenere il rimpatrio del signor Battisti, senza aspettare l’ultimo minuto e l’esplosione del caso sui giornali, il nostro governo avrebbe dovuto fare tre cose: a) dare per tempo le opportune istruzioni alle macchine diplomatiche e giuridiche; b) ascoltare con attenzione e rispetto il punto di vista del governo brasiliano; c) sulla base di quel punto di vista, attivarsi per correggere sia la strategia tecnico-diplomatica sia la comunicazione.
Sarebbe bastato chiarire bene all’opinione pubblica di una nazione che proviene da una feroce dittatura che Battisti è un semplice assassino e non un combattente antifascista. Sarebbe bastato intraprendere una parallela campagna di sensibilizzazione del Parlamento e della stessa magistratura brasiliana rispondendo alle loro perplessità, fugando i loro dubbi sulla eccessiva severità della giustizia penale nostrana (vi sembra così difficile argomentarlo, in un paese in cui in carcere restano solo i poveri e gli immigrati?). Si sarebbe potuta cogliere l’occasione per trasformare una crisi in una opportunità, approfondendo l’empatia e il dialogo con interlocutori che non chiedono altro.
Invece di muoversi in questa direzione, e di ottenere il risultato voluto, i dilettanti allo sbaraglio che ci governano sono riusciti a infilare un errore dietro l’altro, danneggiando un antico rapporto di amicizia, irritando con vacue minacce una potenza con cui dobbiamo fare i conti ogni giorno di più, e vanificando le chances di offrire giustizia alle vittime del terrorismo assassino e a tutti noi. La minaccia di ritorsioni sugli accordi economici italo-brasiliani è la più ridicola. Un’arma spuntata, che si usa sempre di meno, anche contro i regimi più antidemocratici. E meno che mai si usa con quelli amici e alleati.
Nel caso del Brasile, poi, non può portare ad altro che alla sostituzione dell’Italia con un altro partner, visto che nella maggior parte degli scambi commerciali è il Brasile a comprare e noi a vendere. Non so a chi sia venuto in mente mescolare affari e cooperazione giudiziaria con il Brasile, ma è una linea dissennata e stravagante che un ministro degli Esteri dotato di un minimo senso degli interessi nazionali non dovrebbe mai perseguire alla leggera o farsi imporre dal proprio governo. Gli ex-Camerati italiani che urlano contro il Brasile minacciando di tagliare i viveri non hanno idea di quel che dicono. Quel paese è ormai una potenza mondiale, una strepitosa storia di successo con un Pil vicino al nostro e quasi 200 milioni di abitanti. È la nazione leader di un intero continente, grazie a una classe dirigente e a un presidente socialista che in meno di un decennio ha saputo guidare il paese fuori dal Terzo Mondo rispettando democrazia e diritti umani, riducendo la criminalità e tirando fuori dalla povertà 24 milioni di persone.
Lula si è conquistato l’ammirazione universale per la qualità del suo progetto politico e potete stare certi che Dilma Roussef ne seguirà le orme, perché nel frattempo il Brasile è avviato a diventare ciò che l’ Italia non è riuscita divenire: un “sistema paese”, le cui sorti non dipendono più dal carisma di un presidente fuori del comune. Il Brasile è oggi uno Stato capace di trattare alla pari con le superpotenze, di condurre una sua politica estera promuovendo alleanze e soluzioni nuove ai problemi globali.
Si può perciò immaginare quanto i governanti brasiliani si siano spaventati per gli ultimatum di Gasparri e La Russa. La strada dell’insulto è seconda per stupidità solo a quella dell’intimidazione economica. I rapporti internazionali sono relazioni tra poteri sovrani. Prendere di petto un altro paese e trattarlo da vassallo su una questione spinosa, tecnica e politica come un caso di estradizione, rivela solo la voglia di perdere. L’approccio del governo italiano al caso Battisti copre l’intenzione di nascondere qualcosa di imbarazzante. In primo luogo, la scandalosa inazione passata. La rinuncia a far valere l’interesse nazionale in una situazione complicata, certo, ma la cui soluzione sarebbe stata alla portata di una macchina giudiziaria e diplomatica appena decente. Ottenere l’estradizione di un efferato criminale da un paese amico, e da un governo ben disposto alla collaborazione, un Brasile la cui elite è dopo quella argentina la più filo italiana delle Americhe, è un’impresa da titani solo per il signor B. e il suo impareggiabile Frattini.
È il caso di dire che gli insuccessi seriali di politica estera hanno finito col dare alla testa al signor B e ai suoi seguaci. Ma cosa c’entra l’ Italia, e cosa c’entriamo noi? Adesso ci tocca spiegarlo anche ai brasiliani.
da L’Unità
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“Battisti: Frattini e La Russa con l’elmetto «Guerra commerciale al Brasile»”, di Umberto De Giovannangeli
Scende in campo «la banda degli smemorati». Quelli che «spezzeremo le reni ai protettori di Battisti», quelli che, col Cavaliere silente, dichiarano la «guerra commerciale» al Brasile. La «banda degli smemorati »: quella di chi fa finta di non capire, o non sapere, che il Brasile non è, quanto a diritti e libertà garantite, assimilabile alla Libia del Colonnello Gheddafi o alla Russia di Vladimir Putin. La «banda degli smemorati» o degli «indignati a tempo scaduto», vanta ministri di primo piano, il titolare della Farnesina, Franco Frattini, e il suo collega alla Difesa, Ignazio La Russa; ministri di seconda fascia, Giorgia Meloni, capigruppo dalla mazzata (verbale) facile,comeMaurizio Gasparri, e altri ancora…Tutti indignati contro l’ex presidente brasiliano- Luiz Inacio Lula da Silva, lo stesso magnificato dal Cavaliere oggi silente: «Io e lui ci siamo capiti bene subito, fin dall’inizio…». GARA DI GRIDA La «banda degli smemorati» calza ora l’elmetto e tuona: con il no all’ estradizione di Cesare Battisti, tra Italia e Brasile si è creato un clima che mette a rischio «le relazioni commerciali», avverte dalle colonne de La Stampa Ignazio La Russa. Ed ora; sentenzia il ministro della Difesa, «il meno che possa capitare è rinviarli (gli accordi commerciali, ndr) a dopo la decisione della Corte brasiliana…». «Questo non è un clima favorevole per ratificare» Trattati, incalza il ministro degli Esteri, Franco Frattini, tanto presente sulle pagine dei giornali quanto assente nella diplomazia che conta per il presidente del Consiglio: quella degli affari. Stop ai Trattati, è il coro che si alza dalla «banda degli smemorati». NUMERI DA RICORDARE Domanda: ma sanno di cosa stanno parlando? La gara a chi la spara più grossa copre una amara verità: quella di una Italietta berlusconiana che nel mondo non conta nulla, se non in una tenda libica o in una dacia russa. Una Italia senza credibilità. Ai (finti) smemorati vorremmoricordare che i trattati dadisdettare vanno dalla difesa ai trasporti, dall’energia all’agricoltura, alla costruzione di strutture sportive per i mondiali di calcio del 2014 e le Olimpiadi di Rio del 2016…Alla «banda degli smemorati» ricordiamo dei numeri. Significati. Quelli dell’interscambio. Nel 2009 l’Italia ha superato la Francia come partner commerciale di Brasilia, diventando l’ottavo Paese esportatore con una quota di quasi il 3%. E negli ultimi anni – quelli della presidenza Lula – il numero di imprese che hanno aperto filiali in Brasile è più che raddoppiato, da 120 a 300. Qualche nome: Fiat, Iveco, Pirelli, Telecom, Eni, Impregilo, Finmeccanica, Fincantieri, Techint…E grazie all’Accordo di partenariato strategico firmato a Washington in aprile, gli spazi per gli appalti si sono estesi ulteriormente. Fincantieri e Finmeccanica sono interessate aun contratto per il rinnovamento delal flotta marina e fluviale brasiliana che potrebbe ammontare a 6 miliardi di euro. Per Fiat, il Brasile è il secondo mercato più importantedopol’Italia, vava rimarcato l’ad Sergio Marchionne dopo la visita in Italia di Lula nel novembre 2008. Tesi che Marchionne ha rinverdito pochi giorni fa, il 28 dicembre, quando ha posato la prima pietra del nuovo centro Fiat di Ipojuca (200mila auto l’anno, 3500 addetti, 4,4 miliardi di euro in investimenti). Un’occasione nella quale erano state siglate altre importanti intese. Tra l’altro,unaccordo quadro di collaborazione nel campo della difesa tra il ministro LaRussa e l’omologo brasiliano Nelson Jobin; in ballo 5 miliardi di euro per quattro fregate e cinque pattugliatori Fincantieri conarmamento Finmeccanica. Non basta. In campo anche l’alta velocità (giro di affari calcolato attorno ai 15 miliardi di euro), con Ansaldo Breda e Ansaldo sps; la collaborazione tra Agenzia spaziale italiana e brasiliana; i sistemi aeronautici con Alenia. El’elenco potrebbe proseguire. A lungo. INIZIATIVA BIPARTISAN «Governo, maggioranza e opposizione siano unite e facciano una sola battaglia per l’estradizione del criminale Cesare Battisti. Sosterremo le iniziative del ministro Frattini, compreso il ricorso al tribunale dell’Aja, per riconsegnare Battisti al nostro Paese..», afferma il capogruppo Idv alla Camera Massimo Donadi. A sostegno si schiera anche il capogruppo di Fli alla Camera, Italo Bocchino. Bene Frattini, dice, maaggiunge, con la penna intinta nel veleno: «Servirebbe adesso un passo ulteriore a tutela della nostra dignità nazionale da parte del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che farebbe bene a recarsi immediatamente a Brasilia per incontrare la Rousseff comunicandogli l’interruzione di tutti i rapporti commerciali tra i due Paesi, anche per dimostrare che il nostro esecutivo non privilegia gli affari ai principi. Nel caso Berlusconi accettasse il nostro consiglio questa volta farebbe bene a non farsi accompagnare dai giocatori brasiliani del Milan, madai parenti delle vittime di Battisti ». «Non lasceremo niente di intentato per riportare Battisti in una prigione italiana, non ci fermeremo di fronte a nessuna difficoltà», ribadisce in serata Frattini ai microfoni del Tg2. L’ultima parola spetta al Cavaliere silente. Che calzi l’elmetto è tutto da vedere.
da www.unita.it