In politica, si sa, le parole valgono più dei fatti. Ma le parole senza fatti poi hanno le gambe corte e i nodi vengono sempre al pettine. Sto parlando di federalismo fiscale. Sono anni che, sotto la spinta della Lega, nel nostro paese si parla d’introdurre un sistema federale. E finalmente i prossimi mesi dovrebbero vedere il coronamento di questo progetto con la definizione dei diversi decreti d’attuazione. Fra questi, quello del federalismo fiscale che avrebbe dovuto sancire un’autonomia impositiva come contropartita dell’autonomia di gestione degli enti locali. Nulla di tutto ciò, malgrado le trionfalistiche affermazioni della Lega che smania per poter dichiarare di aver raggiunto i suoi proclamati obiettivi.
In effetti, più che un’autonomia fiscale, gli enti locali (regioni, province e comuni) con questo decreto avranno la garanzia di alcuni trasferimenti da parte dello stato con piccoli margini di modifica, ossia con la possibilità di mettere delle addizionali molto limitate (sulle imposte personali, sull’Irap e quant’altro). Il decreto del federalismo fiscale si è ridotto nell’identificazione dei cespiti che andranno a finanziare gli enti locali, ma la maggior parte di questi cespiti saranno sempre gestiti a livello nazionale. È così che il cittadino (o l’impresa) continuerà a pagare le sue tasse allo stato secondo leggi nazionali e poco gli importerà se proprio quei soldi o altri andranno a finanziare la regione o il comune. Per lui rimarrà il rapporto con lo stato, a meno di qualche addizionale marginale, che comunque verrà pagata assieme alla tassa nazionale e con essa finirà per confondersi.
In altre parole, non ci sarà un rapporto diretto tra cittadino e amministrazione locale nel pagare le tasse, sicché il cittadino sarà sempre critico sulla pressione fiscale nei confronti dello stato e chiederà sempre più servizi pubblici all’amministrazione locale. Gli amministratori locali non saranno giudicati per le tasse che metteranno, ma solo per i servizi che daranno, esattamente com’è ora. D’altra parte, gli eletti locali potranno continuare a dire che hanno ricevuto pochi soldi dallo stato e non saranno giudicati elettoralmente per le loro deficienze. Tutto il contrario di quello che avrebbe dovuto portare un vero federalismo fiscale, dove le regioni e gli altri enti locali hanno libertà d’imposizione e di esazione fiscale su specifici cespiti di reddito, in modo che i cittadini possano confrontare quello che pagano come tasse con quello che ricevono come servizi. Un confronto che è la base democratica per decidere a chi dare il voto. In un sistema veramente federale i trasferimenti dello stato sarebbero una forma residua di finanziamento locale, volto a perequare situazioni di effettiva diversità economica in regioni o zone svantaggiate.
Nei paesi federali, e anche in quelli dove c’è una certa autonomia locale, gli enti locali hanno la loro base fiscale distinta da quella nazionale, spesso costituita dalle case, dai terreni e dagli immobili, ossia dal patrimonio che è più rappresentativo sul territorio. Ma questa base fiscale nel nostro paese è stata demagogicamente eliminata con la soppressione dell’Ici sulla prima casa, per cercare di acquisire consensi elettorali. Solo per i comuni oggi, molto timidamente, si parla forse di ripristinare una qualche imposizione sulla casa (senza nominarla) attraverso quella che, in un decreto d’attuazione del federalismo, viene definita come “imposta municipale”.
A marcare questo “imbroglio federale” c’è inoltre il mantenimento di competenze separate fra enti locali: la regione non avrà capacità d’imporre specifiche soluzioni alle province e ai comuni, che resteranno autonomi. Sicché la regione non sarà come un piccolo stato che si confronta con altri piccoli stati nell’Italia supposta federale. Sarà invece una delle tante amministrazioni locali con compiti limitati ad ambiti particolari (sanità, trasporti ecc.) senza poter incidere se non marginalmente sulle scelte del proprio territorio. È così che chiameremo pomposamente “governatore” il presidente di regione che non governerà granché sul proprio territorio, dove comanderanno province e comuni, con grande frustrazione di tutti.
Dunque, questo conclamato federalismo italiano altro non sarà che una sorta di decentramento di alcune funzioni così com’è sempre stato nella nostra storia repubblicana. Forse questa soluzione ipocrita è quella che soddisfa tutti. Soddisfa la Lega che potrà così far finta di aver effettivamente introdotto il federalismo in Italia. Soddisfa il ministro dell’Economia che mantiene, almeno sulla carta, una forte centralizzazione delle entrate e della spesa pubblica. Soddisfa quanti, e sono tanti compreso il sottoscritto, non vedono alcuna necessità di passare a uno stato federale, ma credono nel decentramento operativo.
Tutto bene dunque? Non proprio. Aver battuto la grancassa sul federalismo farà sì che gli eletti nelle regioni, nelle province e nei comuni crederanno veramente di essere autonomi e di dover rispondere solo a quanti li hanno eletti. Si dedicheranno a soddisfare le richieste dei loro elettori (o dei gruppi di pressione che li hanno favoriti) e spingeranno sulla spesa, salvo lamentarsi con lo stato perché i trasferimenti non saranno sufficienti.
Avremo così creato le premesse per un allargamento del disavanzo pubblico, in barba a tutti gli standard di spesa che avremo inventato e in barba anche a tutte le sanzioni che potremo immaginare (ineleggibilità o quant’altro come pare sia previsto in questo ipotetico federalismo fiscale). Se in democrazia è la volontà del popolo quella che conta, allora gli elettori privilegeranno coloro che più spendono. C’è una sola condizione per fermarli. Che gli eletti siano responsabili e obbligati ad aumentare le tasse sugli elettori. Ma, come detto, questa possibilità è molto remota se non impossibile con quello che da noi viene chiamato “federalismo fiscale”, sicché ci aspettano anni di spesa pubblica fuori controllo se non fermeremo questo progetto federale.
Occorre che le parole, anche nella politica, alla fine corrispondano ai fatti. Se si va avanti sulla strada fin qui disegnata, occorre essere onesti e parlare di un decentramento amministrativo. Se invece si vuole veramente il federalismo fiscale, allora bisognerà cambiare del tutto il progetto in Parlamento e dare una reale autonomia e capacità impositiva agli enti locali.
Il Sole 24 Ore 29.12.10