A differenza di quanto avverrà per tutto il pubblico impiego, al personale della scuola non verrà applicato il posticipo di un anno del primo assegno pensionistico dalla data di maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi. Brutte notizie, invece, per insegnanti (in primis maestre d’infanzia e di primaria) e Ata donne 60enni: l’entrata in vigore di quota ‘96’ e l’equiparazione dal 2012 agli uomini ne fermerà a migliaia.
Tra tagli agli organici, riforme poco entusiasmanti e minacce di blocco degli aumenti automatici, ogni tanto arriva qualche buona notizia: stavolta riguarda tutti coloro (insegnanti e unità di personale Ata, nel 2010 furono oltre 30mila) che a settembre 2011 lasceranno il servizio per la meritata pensione e che non dovranno sottostare alla nuova norma decisa dal Governo di far slittare di un anno (i privati addirittura 18 mesi), la somministrazione del primo assegno pensionistico: ebbene, il provvedimento, che di fatto posticipa di un anno, non si applicherà ai dipendenti della scuola. Che continueranno ad abbandonare il servizio come sempre (il 31 agosto) e a percepire la pensione entro un paio di mesi di tempi ‘tecnici’.
La deroga, l’unica per i dipendenti pubblici, si deve alla necessità di lasciare per il personale della scuola un’unica ‘finestra’ di uscita, in corrispondenza con il termine del vecchio e l’inizio del nuovo anno scolastico. Niente slittamento, quindi, almeno per questo motivo dell’entrata nel regime pensionistico.
E le buone notizie finiscono qui. Da fonti sindacali, confermate dal ministero del Lavoro, anche se con numeri più ridotti, si apprende che saranno diverse migliaia le insegnanti e le unità di personale amministrativo, tecnico ed ausiliario di sesso femminile a rimanere bloccate, fino a quattro anni, a seguito della `stretta’ sui requisiti per accedere alla pensione: alla prevista introduzione per tutti i dipendenti pubblici, dal 1° gennaio 2011, della quota minima ’96’, derivante da almeno un’età anagrafica di 60 anni e 36 di contributi, introdotte con la riforma Damiano del 2007, le dipendenti del comparto scuola dovranno fare i conti con il diktat imposto da Bruxelles (con la legge n. 102/09) che dal 2012 allineerà – a 65 anni – le pensioni di vecchiaia delle donne a quelle degli uomini.
La doppia penalizzazione comporterà la permanenza forzata in servizio di circa 32 mila donne della pubblica amministrazione: considerando che il 48% delle donne dipendenti della Pa appartiene alla scuola (su oltre un milioni di docenti e Ata l’84% sono donne), ne consegue che di queste almeno 15 mila fanno capo proprio al comparto istruzione. Si salveranno dall’ulteriore ‘stretta’ sulle pensioni solo coloro che avranno accumulato almeno 96 anni – tra età anagrafica (minimo 60 anni) e servizio, poi `97′ nel 2013 – e quelle che avranno maturato 40 anni di contributi a prescindere dall’età. Tutte quelle che hanno iniziato a lavorare dopo i 30 anni, e non hanno da riscattare laurea, saranno invece costrette a rimanere in servizio fino al compimento del 65esimo anno.
Numeri alla mano, saranno principalmente le maestre della scuola d’infanzia e della primaria a rimanere bloccate, fino a quattro anni, a seguito della `stretta’: si tratta dei due profili prevalenti tra le 15mila donne che operano nella scuola e che rimarranno coinvolte nell’innalzamento della quota minima (dal 2011 portata a `96′) per l’assegno di anzianità e nell’applicazione della legge n. 102/09, che dal 2012 allineerà le pensioni di vecchiaia delle donne a quelle degli uomini a 65 anni. Nei 10.400 istituti italiani, dove l’età media di docenti e Ata è pari a 53 anni e la presenza delle donne sfiora l’84%, lo sbilanciamento è infatti particolarmente alto nei gradi scolastici più bassi: nella scuola d’infanzia le maestre rappresentano il 99,5% del corpo insegnante, leggermente di meno alle ex elementari, dove rispetto agli uomini rappresentano il 96%.
da Tecnica della Scuola 29.12.10