Il presidente della repubblica lavora al discorso del 31 dicembre in un clima politico che appare svelenito
Giorgio Napolitano ha iniziato a lavorare al testo del discorso di fine anno. Un messaggio che si prospetta più agevole del previsto, perché la temperie politica che poteva innescarsi con un voto di sfiducia al governo Berlusconi avrebbe quanto meno imposto al presidente della repubblica un tono altamente drammatico, a cospetto di una condizione generale del paese tutt’altro che brillante.
Il capo dello stato temeva – e molto – la circostanza di un discorso di fine anno a crisi aperta. E crisi – sarebbe stata – tutt’altro che “pilotata”: dagli esiti quanto mai incerti, viceversa. Il senso della sua posizione Napolitano lo ha già esternato in occasione del saluto alle alte cariche dello stato, spezzando una lancia a favore della stabilità, il che era stato impropriamente (e propagandisticamente) interpretato come un avallo al voto della camera del 14 dicembre, cosa che ovviamente esula dalle prerogative del Quirinale. E insomma una riflessione più pacata è ben possibile in una situazione di stemperamento delle tensioni: di cui le indiscrezioni su una imminente pronunzia “salomonica” della Consulta sul legittimo impedimento dovrebbe costituire una riprova.
Se il verdetto della Corte costituzionale dovesse in buona sostanza rigettare il ricorso della procura milanese, verrebbe meno un’ulteriore motivo di tensione politica.
Ma è giusto però considerare che l’ottica di Napolitano è diversa.
Si potrebbe dire così. Proprio l’ottenimento della fiducia in entrambi i rami del parlamento toglie all’esecutivo ogni alibi: in questa condizione il premier non potrà addurre contrasti interni o il difficile rapporto col parlamento come scusanti delle proprie insufficienze. Non è più tempo di alibi, dunque, tanto più a fronte di una drammaticità della situazione economica, sociale, morale del paese che ha pochi precedenti.
Non ne minimizzerà la portata, il capo dello stato, che sicuramente intende rivolgere agli italiani un discorso di verità. Che non potrà non riguardare in gran parte lo stato di salute dell’economia e soprattutto i suoi gravissimi riverberi sul piano occupazionale, con speciale riferimento al dramma dei giovani, proprio quei giovani che il presidente ha ascoltato de visu al Quirinale il 22 scorso, al termine di una pacifica e combattiva giornata di mobilitazione studentesca.
È probabile che il presidente evochi in qualche forma anche il conflitto in queste ore più bruciante, quello della Fiat, pur senza entrare nel merito della vicenda torinese ma sottolineando l’importanza del confronto sociale.
E certamente Napolitano non tralascerà il riferimento alle condizioni dei più deboli, dei disoccupati, degli immigrati, lo stato della ricerca, dei beni ambientali del paese.
Il capo dello stato è ben consapevole del ruolo di “supplenza” che volente o nolente una grande parte dell’opinione pubblica gli affida, nell’epoca della crisi della politica.
Certi spettacoli che la politica ha offerto e offre hanno lasciato il segno, sulla pelle del paese: e il Quirinale ha visto tutto e tutto ha giudicato. Sta anche qui una radice della crescente popolarità del presidente della repubblica, giunta persino a livelli parossistici, se è vero come è vero che – ultimo esempio – il cantante Morgan a Napolitano si è rivolto per risolvere una sua questione personale, quasi che il Colle fosse diventato il depositario delle angosce dei singoli cittadini e non più solo il garante del buon funzionamento delle istituzioni repubblicane.
Un altro segno dei tempi che corrono.
da EuropaQuotidiano 28.12.10