Il gioco a indovinare quel che dirà, a fine anno, il Presidente della Repubblica, questa volta è facile. Aiuta molto il suo discorso del 20 dicembre: uno dei più impegnati ragionamenti che siano mai usciti dal Quirinale. Ed anche una delle più nette assunzioni di responsabilità costituzionale del Capo dello Stato. Quando c´era il re, si diceva che i governi e i parlamenti dovevano “coprire la Corona”. Ora accade il contrario. È il Presidente che “copre” istituzionalmente governo e Parlamento contro le insensatezze delle stagione politica. Da garanzia d´attesa, il suo ruolo è diventato di garanzia attiva.
Lo induce all´azione preventiva la preoccupazione di «colmare il distacco ormai allarmante tra la politica, le istituzioni e le forze sociali e culturali». Avverte «la stanchezza, verso la chiusura in se stesso del mondo politico, verso la quotidiana gara delle opposte faziosità, verso il muro dalla incomunicabilità tra maggioranza e opposizione».
Eppure, suggerisce, vi potrebbe essere un luogo, una «sede di riflessione e ricerca bipartisan». È il posto in cui dibattere le grandi e concretissime questioni di politica europea, in cui è l´Italia in gioco e non i governi che passano. Come affrontare la crisi dell´euro con soluzioni non precarie? Dove destinare le risorse pubbliche disponibili: in maniera che la riduzione del debito non impedisca la crescita? Come disegnare una linea di stabilità finanziaria che equilibri i punti di tenuta economica nazionale con le esigenze contabili dell´Unione? Sono tra le domande a cui deve rispondere «lo Stato unitario: presidio irrinunciabile nell´era globale in cui siamo chiamati a misurarci». Pur con il superamento di «ogni residuo storico di centralizzazione», pur «con l´evoluzione in senso autonomìstico e federalistico», non si può infatti cancellare la necessità di unità geopolitica dell´Italia.
È dunque questa ragione di Stato (che già lo ha indotto a “congelare” una crisi che, a tempi stretti, avrebbe avuto probabilmente esito diverso) a portare il Presidente a una durissima posizione contro le elezioni anticipate. «Quella degli scioglimenti anticipati è stata improvvida prassi tutta italiana: al cui ripetersi sono tenuto a resistere nell´interesse generale, in periodi cosi gravi di incognite». Riaffermando la più importante «prerogativa del Capo dello Stato: e poco importa che la si possa beceramente sminuire a parole».
Il Quirinale ha dunque già indicato quelli che sono – qui ed ora – due pilastri di saggezza politica. Considerare la crisi finanziaria europea come fattore che condiziona ogni altro discorso di politica interna. Considerare la continuità della vita istituzionale (e della legislatura) come valore che viene prima di ogni calcolo di opportunismi elettorali. Ne viene fuori un disegno di ruolo che ci fa vedere, con la cruda luce di questo tempo, risvolti finora in penombra delle funzioni costituzionali della Presidenza.
Si capisce ed è il primo punto, che la responsabilità di rappresentanza dell´”unità nazionale” di cui parla l´articolo 87 della Costituzione non si esercita più solo nell´ordinamento statale. Si svolge anche in quell´ordinamento composito europeo (fatto di istituzioni e funzioni sovrastatali strettamente intrecciate con quelle statali) di cui l´Italia fa parte con limitazioni accettate di sovranità (articolo 11).
La responsabilità per la tenuta dell´Unione è così inseparabile ormai da quella per la tenuta interna dello Stato. Ferme le competenze di Parlamento e governo per le decisioni concrete nell´Unione, vi è ora, nella logica stessa della Costituzione, questa necessità di garanzia istituzionale per il principio di integrazione europea, come parte del nostro patrimonio costituzionale. È questa specifica unità nazionale che ora è rappresentata dal Capo dello Stato nell´ordinamento europeo.
Si capisce poi – ed è il secondo punto – che la veemente difesa della continuità istituzionale («nella prospettiva di una efficace azione di governo») non è arroccamento su attribuzioni e prerogative formali della Presidenza della Repubblica. Dal Quirinale si vede bene che quello che era stato un singolare sistema politico, percorso e battuto dalle passioni del suo tempo, è ora semplicemente una rete smagliata. E nessuno sa più dove sono i nodi della politica. Restano perciò solo i nodi della Costituzione: le istituzioni, le garanzie. Ma sotto la minaccia continua di chi vuole “sciogliere” anche queste e quelli in nome di un relativismo costituzionale che chiamano falsamente “costituzione materiale”. Questo, mentre nel mondo intorno a noi non si “rottama” niente: ma sulla base dell´esperienza dei due secoli passati, si cerca di rendere più sicure, più vicine, più coinvolgenti le istituzioni di rappresentanza e di garanzia dei cittadini.
Di fronte a questa crisi di sistema il Presidente della Repubblica risulta davvero l´ultimo punto di resistenza per la normalità costituzionale e per cominciare a tessere il filo di un discorso nazionale: se non comune, almeno di reciproco ascolto. Se i sondaggi sono veri, la gente in altissima percentuale lo capisce. Le riflessioni, che su questo punto sembrano assai simili, dei Presidenti delle due Camere dicono che il Quirinale non è solo. Rischia la solitudine semmai chi, invece di affrontare la crisi con la politica dei fatti e migliorando le istituzioni, continua a chiedere elezioni, come una medicina per tutto. O anche come un alibi alle proprie paure e ai propri ritardi di fronte a questioni che aspettano da troppo tempo.
Le parole del Presidente nella «notte più vecchia» forse saranno diverse; con un sapore più vicino alla voglia di serenità della pubblica opinione. Ci sono tante altre cose da dire alla gente (che anche nei giorni di Natale, a “giocofermo”, ha dovuto subire, come ulteriore imbarbarimento, l´ossessivo “presentismo” del premier in tv). Ma il “già detto” sarà la musica di fondo della ripresa politica ad anno nuovo. Come nell´antica filastrocca infantile “stretta la foglia, larga la via; dite la vostra che ho detto la mia”.
La Repubblica 28.12.10