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"Lo spezzatino dello Stelvio e le battaglie tradite di Cederna", di Vittorio Emiliani

Le finestre di casa Cederna, a Ponte in Valtellina, si aprivano sulla luminosa vallata, in pieno Parco Nazionale dello Stelvio. In particolare quella dello studio di Antonio. Ogni anno il più attrezzato dei polemisti italiani in materia dedicava almeno un articolo a quel Parco a lui ben noto, il più vasto, istituito nel 1935 dopo Gran Paradiso e Abruzzo “firmati” da Benedetto Croce ministro della PI nel 1922 assieme alla legge sulle “bellezze naturali”. I problemi posti da Cederna (mancato nel ’96, a Ponte) riguardavano una miglior tutela del parco e maggiori fondi rispetto alla solita micragna. Ma già si affacciava l’ombra dello smembramento in 3-4 parti voluto dalle Province Autonome di Trento e Bolzano. Anche per questo molto si adoperò con Gian Luigi Ceruti e altri per la legge-quadro n. 394 del ‘91 sulle aree protette, durante la sola legislatura in cui fu alla Camera (non fu rieletto).
Adesso, viene ridotto a spezzatino con una norma infilata nell’ormai solito mostruoso “milleproroghe” abborracciato a Palazzo Chigi, fra un bonus fiscale, la proroga per le case-fantasma e altre porcherie. Nel modo più becero. Da anni Trento e Bolzano chiedono di poter gestire lo Stelvio (per venire incontro ai costruttori, alle nuove sciovie e, come sempre, ai cacciatori). Ma cosa ha accelerato il grimaldello con cui il governo scassa il Parco Nazionale dello Stelvio? La gratitudine che il premier deve ai deputati della SVP per essersi astenuti sulla sfiducia dandogli un po’ di fiato. Il prezzo pagato, nemmeno dieci giorni dopo, è lo spezzatino dello Stelvio.
Ovviamente, senza tenere in alcun conto l’ordine del giorno fatto approvare dal Pd al Consiglio regionale della Lombardia contro una simile aberrazione. Che va contro ogni tendenza mondiale, come sottolinea, per esempio, Fulco Pratesi, fondatore del Wwf, il quale rimarca che Sudafrica, Zimbabwe e Mozambico si sono accordati per il Parco della Pace “garantendo spazi immensi ai grandi mammiferi finora divisi da recinzioni e barriere”, e analogamente hanno fatto Cina e Russia nell’Assur e nell’Ussuri per salvare le tigri siberiane. Da noi, si va in direzione opposta, disfacendo Parchi Nazionali vecchi ormai di 75 anni e non riuscendo a creare nel Delta del Po un Parco almeno interregionale e nel Gennargentu quello Nazionale. Sempre per l’opposizione dei cacciatori, dei costruttori e di altri interessi localistici.
Ha voglia l’assessore lombardo Alessandro Colucci a precisare che lo Stelvio rimane Parco Nazionale, soltanto “cambia la governance”. Cioè un’inezia detta in inglese ad uso degli sprovveduti, con una “governance” appunto (garantisce il ministro Fitto) “ancora più vicina alle comunità locali”. Cioè assai più localistica che nazionale. Del tutto opposta all’art. 9 della Costituzione. Decisione gravissima perché darà la stura ad altri spezzatini. Da anni la Regione Valdostana preme affinché il Parco Nazionale del Gran Paradiso venga smembrato o che, comunque, la Vallée vi abbia un ruolo preminente rispetto allo Stato. Una sciagurata miopia tutta italiana che riconduce alla ricetta di Bossi di fare dell’intero Belpaese uno spezzatino senza più collante nazionale, con una idea secessionista e non federalista di tipo, per esempio, tedesco.
Del resto, in queste stesse ore, per tornare ad Antonio Cederna, grande paladino dei Parchi e della natura e restare in Lombardia, va detto che Italia Nostra lombarda ha pensato bene di dare alle stampe da Electa – e fin qui niente di male – una raccolta di articoli cederniani coi quali però si confrontano, con scritti lontani e vicini, anche personaggi che avevano o hanno, nel modo più netto, idee opposte. Come l’arch. Gigi Mazza teorico-pratico dell’urbanistica contrattata a Milano di cui viene pubblicata una recensione-stroncatura su Cederna. Protestano, giustamente indignati, i figli di Antonio, ai quali nessuno ha chiesto il permesso. Tantomeno il presidente lombardo, Luigi Santambrogio, ai suoi bei dì assessore con Formentini. La presidente nazionale, Alessandra Mottola Molfino, manifesta imbarazzo e “disappunto”. Un po’ poco visto che Cederna fu una colonna, per decenni, dell’associazione. La sua finestra sulla Valtellina e sulla Lombardia è proprio chiusa.

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