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Riforma Gelmini è legge. Finocchiaro: Una foglia di fico", di Maria Zegarelli

Con 161 sì, 98 no e 6 astenuti nella votazione di ieri al Senato la riforma dell’Università è legge. Come da programma ieri la Riforma dell’Università firmata Gelmini è legge: è stata approvata con 161 sì, (Pdl, Lega e Fli) 98 no (di Pd e Idv) e sei astenuti (Udc, Api, Svp e Union Valdotaine), che al Senato valgono come voti contrari. Il dibattito in Aula è finito così come era iniziato: con un clima infuocato tra maggioranza e opposizione, da una parte la necessità di approvare il ddl senza modifiche per scongiurare la quarta lettura alla Camera (diventata ormai un incubo per il premier) e dall’altra il tentativo di migliorare una legge sbagliata e contraddittoria. Maggioranza incattivita, malgrado il clima natalizio, tanto da spingere la capogruppo Pd Anna Finocchiaro ad alzare la voce e interrompere il suo intervento. Gongola il governo che ha salutato il voto finale come un evento storico. «Credo che sia una bella giornata per il Paese e le università italiane», il commento della ministra Gelmini che ha ringraziato il premier, promesso i decreti attuativi entro sei mesi e un costante controllo sul funzionamento della riforma. Complimenti dalla collega Mara Carfagna, «per il coraggio», esultante Maurizio Gasparri che legge nel voto «un passaggio fondamentale della legislatura». «Ottimo risultato» fa rimbalzare Silvio Berlusconi. «Degno suggello del decennio berlusconiano» a completare «una delle scelte strategiche più disastrose della destra italiana: il disinvestimento sulla conoscenza e l’istruzione»,commenta invece Marco Meloni, responsabile Università Pd. AULA AGITATA «Si risparmia sulle università pubbliche e si elargisce generosamente nei confronti di atenei telematici e privati – tuona durante la discussione Finocchiaro, prendendo la parola in Aula -. Questa riforma è una foglia di fico sui tagli che il governo ha impresso all’università e alla ricerca dopo averli impressi alla scuola. Una legge che si sovrappone a una vergogna». Poi, guardando la ministra aggiunge: «Nei giorni scorsi lei ha detto con compiacimento “qui finisce il ‘68”. Evidentemente lei non lo sa, ma ha un debito con quel movimento delle donne che nacque nel ‘68 e che le consente oggi di essere una giovane donna ministro di un grande Paese. Dovrebbe avere orgoglio di questo». Mentre la senatrice ricorda i movimenti di contestazione di quegli anni dai banchi del centrodestra iniziano i brusii che poi diventano boati, insulti. Finocchiaro perde la pazienza, alza la voce: «Avrei da leggere una cosa che avevo preparato per fare un omaggio al ministro Gelmini ma mi rifiuto di andare avanti in questo modo. Sono tre versi, ma capisco che viene di fatica, tutta di salita ascoltare tre versi». È con un gesto di stizza che allontana il microfono mentre con lo sguardo fulmina i senatori della Lega, dopo aver urlato «irresponsabili, qui stiamo parlando dei vostri figli». Schifani prova timidamente e inutilmente a far concludere l’intervento. Una riforma veramente «terribile e noi ci siamo sentiti umiliati», commenta Francesco Pardi, Idv, «votiamo una legge contraddittoria che non garantisce il diritto allo studio riducendo le borse di studio. È una menzogna che sia una riforma contro i baroni perché i baroni sono gli unici componenti delle commissioni di concorso». «Tanti punti oscuri e ambigui, ma anche alcuni principi condivisibili che dovranno trovare concretizzazione nei decreti attuativi che il governo sarà chiamato ad approvare nei prossimi mesi», dice invece l’Udc Gianpiero D’Alia, spiegando l’astensione. «Sia chiara una cosa – commenta nel pomeriggio Pier Luigi Bersani – se tocca a noi governare, noi porteremo correzioni a queste leggi, dalla scuola elementare in su».

L’Unità 24.12.10

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Atenei, dal Senato via libera alla riforma Gelmini: “Pronta a incontrare gli studenti”, di Marina Cavallieri

Bagarre in aula. Napolitano: io ascolto, le decisioni spettano ad altri. Euforico il ministro: inizia una nuova stagione. Sacconi: ricreazione finita. Polemica la sinistra. «Credo che oggi sia una bella giornata per il Paese e le università italiane. È stata archiviata la cultura falsamente egualitaria del ´68. Comincia una nuova stagione». Il ministro Gelmini è soddisfatta quando al Senato, orgogliosa, incassa la vittoria. La riforma dell´università viene approvata. La lunga corsa è finita. Hanno votato a favore Pdl, Lega e Fli, contrari Pd e Idv. 161 sì, 98 no e 6 astenuti. Votazioni avvenute dopo una guerra degli emendamenti durata quattro giorni tra grida, liti e schiamazzi in aula finiti anche su YouTube.
Ora che la riforma è approvata, il ministro abbassa le difese e tende una mano all´avversario: «Ci sarà la massima disponibilità a correggere il testo nella fase attuativa. Dopo le feste incontrerò anche il Consiglio nazionale degli universitari». Gli studenti del Cnsu avevano scritto una lettera al presidente Napolitano chiedendogli di intervenire. E il capo dello Stato ha risposto: «Avremo modo di chiarire tutti gli aspetti di una situazione complessa rispetto alla quale io peraltro mi limito ad uno sforzo di analisi, di comprensione, astenendomi dall´esprimere qualsiasi opinione di merito su scelte legislative che appartengono alle responsabilità del governo e del Parlamento».
Il testo di legge riforma, in parte, la vita degli atenei, un dibattito durato due anni da quando per la prima volta il ddl arrivò in Parlamento, uno scontro tra governo e opposizione più che un dialogo, alterato da un clima politico rovente e da incrostazioni ideologiche. E gronda ideologia anche il commento del ministro del Lavoro Sacconi: «La riforma dell´università è forse l´atto più significativo con cui si è posta fine alla lunga “ricreazione” nel sistema educativo iniziata nel 1968. La fine dell´epoca del debito pubblico irresponsabile». Non la pensa così Antonio Di Pietro, leader dell´Idv: «Siamo alla deregulation del diritto allo studio. Il ddl Gelmini è stato un provvedimento imposto dall´alto che non hai mai tenuto conto delle richieste degli studenti, dei professori e dei ricercatori». Ostile Anna Finocchiaro, senatrice Pd che ha guidato l´opposizione: «Una riforma dell´università è necessaria ma la riforma non è all´altezza di questa sfida».
Scettici o contrari i sindacati. «Si è voluto in modo autoritario, sulla base della sola forza dei numeri in Parlamento e non di solide ragioni riformatrici, approvare un provvedimento regressivo», afferma Mimmo Pantaleo, segretario generale Flc-Cgil. «Il vero problema della riforma dell´Università è come si fa a fare una riforma senza il becco di un quattrino, come si fa a fare le nozze con i fichi secchi», dice Raffaele Bonanni, segretario generale Cisl. Soddisfatto invece il presidente della conferenza dei rettori, Enrico Decleva: «Abbiamo un punto di partenza che ora deve essere riempito di buoni regolamenti fatti in fretta, in collaborazione con il mondo universitario».
Dunque si va avanti. Per il ministro Gelmini i fondi per rendere attuativo il ddl ci sono, «sono sufficienti per la spesa corrente, gli scatti dei docenti e le borse di studio». Ma la partita non è chiusa. Ci sono ancora circa 50 decreti attuativi da varare. E questa è una partita tutta da scrivere.

La Repubblica 24.12.10

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“Ma per applicarla servono anni e soldi” Docenti scettici sulla “rivoluzione del merito”, di Franco Vanni

I regolamenti attuativi sono oltre cinquanta. Il rischio di un aumento delle rette. Il rettore della Bicocca e l´incertezza sui fondi a disposizione
Fatta la riforma, nelle università si. comincia ad aspettare. Per quanto non si sa. «Ci vogliono sei mesi per mettere insieme le commissioni che dovranno riscrivere gli statuti di ogni ateneo – mette in guardia Massimo Mario Augello, rettore a Pisa – e prima di un anno non si arriverà a una bozza da votare nei senati accademici. E sempre che il governo intanto abbia fatto i regolamenti attuativi. Capisco che il linguaggio è burocratico e poco esaltante, ma è così che funziona una riforma». E quando arriverà l´annunciata “rivoluzione del merito”? E la “lotta a parentopoli”? «Sono parole – continua Augello – ogni legge ha il suo corso. E questo sembra che sarà lunghissimo».
I ricercatori, che hanno urlato per mesi la loro rabbia per «la morte della ricerca» nelle piazze e sui tetti, dopo l´approvazione della legge sanno che la lotta non è che all´inizio. «La figura del ricercatore disegnata dal testo è disastrosa – dice Piero Graglia, della Rete 29 Aprile – ma per anni in realtà non cambierà nulla. Fino al 2013, grazie a una deroga già prevista, le università potranno assumere ricercatori a tempo indeterminato come oggi, non con la nuova formula dei 3 anni più 3. E i primi ricercatori “a tempo determinato” dovrebbero scadere nel 2017. Fino ad allora la legge è a impatto zero».
I ricercatori calcolano che l´approvazione dei regolamenti attuativi (oltre cinquanta, più di quanti ne siano stati fatti in materia di università nell´intera storia della Repubblica) richiederebbe a un governo efficiente due anni. «Il paradosso è che le università ancora non sanno dal ministero dell´Economia quanti soldi ci saranno per chiudere il bilancio 2010», dice Marcello Fontanesi, rettore dell´università di Milano Bicocca. E il “commissariamento per le università con i conti in rosso”, fiore all´occhiello della Gelmini, come si applica se non si sa quanti soldi ci sono? Di certo c´è invece quello che la legge non prevede, nemmeno in teoria. «La riforma non punisce quelle università che chiedono troppe tasse agli studenti – dice Giorgio Paterna, 26 anni, iscritto a Economia ad Ancona e leader del gruppo Unione degli Studenti – il rischio è che, per il terrore della bancarotta, i rettori mettano sempre più le mani nelle tasche dei ragazzi». Per legge gli atenei non potrebbero raccogliere dalle tasse più del 20 per cento di quanto prendono dallo Stato. Non lo dice la riforma Gelmini di là da venire, ma una norma in vigore dal 1997. E 25 università italiane oggi non la rispettano.

La Repubblica 24.12.10

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“Gelmini, la vendetta”, di Roberto Ciccarelli

Con 161 voti a favore, 98 contrari e 6 astenuti la maggioranza riesce nell’impresa di approvare la riforma prima delle vacanze. Prossimo fronte, il varo dei decreti attuativi di una legge che produrrà contenziosi amministrativi e giuridici a non finire. Dopo avere abolito il 68, ma non il Natale, 161 senatori della maggioranza (contro 98 colleghi dell’opposizione e 6 astenuti) sono riusciti nell’impresa di approvare la riforma dell’università prima di scambiarsi i pacchi dono. E il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha risposto ad una nuova missiva degli studenti, questa volta di Mattia Sogaro Presidente del Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari (Cnsu) in cui ha ribadito la sua volontà di astenersi «dall’esprimere qualsiasi opinione di merito su scelte legislative che appartengono alle responsabilità del governo e del Parlamento». Non ha tutti i torti chi ha sostenuto ieri che la riforma Gelmini «è il passaggio fondamentale della legislatura». Difficilmente, infatti, un governo che si regge su tre voti di maggioranza alla Camera riuscirà a fare di meglio nei prossimi sei mesi.
Non contenta però di avere sollevato le fiamme di un’opposizione ampia e determinata, il ministro Gelmini ha già promesso di aprire un altro Vietnam, quello del varo di 50 decreti attuativi ad una legge che produrrà contenziosi amministrativi e giuridici a non finire.
Nulla è mai certo nel berlusconismo, ma non è escluso che il destino delle università potrebbe essere il seguente: a partire da metà gennaio, dopo il meritato riposo dei parlamentari, il consiglio dei ministri dovrà approvare un paio di decreti a settimana. Un lavoro che potrebbe esaurire le energie creative degli uomini e delle donne al governo, senza contare il nugolo di statuti, regolamenti, norme e corollari che estenuerà le competenze degli organi accademici di tutti gli atenei. La legge che un altro soddisfatto avventore degli scranni del governo ha voluto dedicare beffardamente «ai ragazzi che hanno riempito le piazze in questi giorni» sacrificherà 60 mila ricercatori precari sull’altare di quella che è stata ribattezzata «tenure trash» (e non «tenure track») perché saranno necessari almeno 8 anni prima che qualche centinaio di baciati dalla fortuna conquistino il loro posto al sole a tempo indeterminato.
La riforma Gelmini istituirà inoltre la monarchia assoluta dei rettori e dei consigli di amministrazione e metterà 26 mila ricercatori sul binario morto in attesa dell’annuncio natalizio di 1500 concorsi da professore associato. «Basta con l’anomalia dei ricercatori a vita – ha precisato una pugnace Gelmini – anche se non abbiamo toccato lo status degli attuali ricercatori». Pur di evitare a gennaio nuove occupazioni dell’intera rete autostradale italiana, di essere meritocraticamente degno di ripresentarsi nell’urna elettorale e di non cedere ad un confronto su una legge disordinata, velleitaria e filo-baronale, il tarantolato autoritarismo del governo ha dunque riscritto le più elementari procedure liberali di funzionamento del parlamento festeggiando in questo modo la nascita dello stato di diritto ad personam.
«Abbiamo dimostrato – ha spiegato la capogruppo Pd al Senato Anna Finocchiaro – che potevamo impantanarli e li abbiamo impantanati. Abbiamo ottenuto 24 ore in più per potere illustrare le nostre posizioni e abbiamo ottenuto la ripresa in diretta delle dichiarazioni di voto». In tempi di cesarismo allo stadio terminale persino una discussione accademica in tv è una soddisfazione.
Su queste, e altre dichiarazioni surreali, resta però un mistero. Cosa è davvero accaduto durante le due ore di interruzione dei lavori al Senato tre giorni fa? Il Pd avrebbe potuto serenamente guardare i filmati su YouTube, verificare l’approvazione di 4 emendamenti e chiedere il rinvio del Ddl alla Camera o, in punta di regolamento, spostare la discussione al 24 dicembre. Sarebbe stato più utile rovinarsi la vigilia piuttosto che rifare in diretta la storia del 68 dimostrando a Mariastella Gelmini che anche lei gli deve qualcosa in quanto «giovane ministro donna». Anche perché tutti coloro che si sono mobilitati contro la riforma sono nati dopo il 68.
Sostenere invece di «avere abolito il 68» è l’ultima vendetta dei padri e delle madri contro i figli, prima di precipitarli nell’abisso di un presente e di un futuro che saranno peggiori, anche se oggi sono ancora in molti a fingere di non sapere e di non vedere.
la lettera «Sono interessato a conoscere le vostre valutazioni critiche e proposte», è la risposta del presidente alla missiva ricevuta ieri da Mattia Sogaro del Cnsu

Il Manifesto 24.12.10