Non sarà una passeggiata applicare la legge sull’università approvata ieri definitivamente. Dopo due anni, le proteste di un movimento diventato sempre più grande mentre lei tirava dritto e svariati incidenti di percorso – molti dei quali causati da colleghi ministri (Tremonti) e da ex colleghi di partito che pure a questa legge tenevano assai (leggi Futuro e libertà) –, Mariastella porta a casa il pacco dono firmato palazzo Madama. E fuori tempo massimo incassa una riforma che le ha fatto sudare le famose sette camicie e provocato (immaginiamo) ben più di un travaso di bile.
Il ddl che porta il suo nome ora è legge, a dispetto di quegli emendamenti dell’opposizione fatti passare per errore da Rosi Mauro e nonostante il cortocircuito fra gli articoli 6 e 29 che si contraddicono l’un l’altro.
Cortocircuito che ha fatto di nuovo materializzare sul provvedimento lo spettro della quarta lettura alla camera. Cioè la madre di tutte le disgrazie per questa legge manifesto del governo Berlusconi la cui maggioranza a Montecitorio ormai naviga palesemente a vista. Scongiurata – pare – con qualche correzione da inserire nella prossima conversione in legge del decreto milleproroghe.
Il ministro dell’istruzione ha ottenuto la riforma, portando a casa la fase 1. Ora, però si tratta di applicarla e chiudere anche la fase 2. E per quanto Gelmini assicuri che al Miur si sta già alacremente lavorando ai decreti attuativi, in particolare a quello – fondamentale – sul reclutamento, l’attuazione del provvedimento non sarà una passeggiata e rischia di avere tempi che vanno ben oltre i sei mesi preventivati dal ministro.
Per come è costruita, infatti, la riforma dell’università rimanda – e molto più di altri provvedimenti – a regolamenti di attuazione e decreti successivi. Molti dei quali suscettibili di ulteriori vagli da altre istituzioni e con caratteristiche diverse gli uni dagli altri. In particolare, ci sono decine di misure di attuazione che il ministero dell’istruzione deve predisporre, per molte delle quali è obbligato un passaggio in consiglio dei ministri.
Una di queste è proprio il decreto sul reclutamento che Gelmini ha annunciato per il primo consiglio dei ministri dopo la pausa natalizia. Se così sarà, lo scopriremo solo vivendo.
Ciò che abbiamo finora già scoperto è che più di un regolamento della riforma della scuola dato per fatto, poi non s’è visto. Come, per esempio, quello sulla formazione dei docenti, che doveva arrivare a settembre – così aveva detto il ministro – e che ancora non c’è.
A questi atti da predisporre si aggiungono poi una cinquantina di decreti che, essendo il ddl Gelmini una legge delega, dovranno passare al vaglio di camera e senato. Uno di questi riguarda l’articolo 5, che, fra l’altro, ha a oggetto il diritto allo studio e la valutazione delle politiche di reclutamento su cui è prevedibile un nuovo, acceso, dibattito parlamentare Ma i regolamenti, una volta fatti, vanno anche recepiti. Un esempio? Con imprinting centralista – il ddl Gelmini riforma la governance dell’università.
Affinché la cosa sia effettiva, però, non basta un provvedimento di dettaglio messo appunto dal Miur: è anche necessario che ogni sede universitaria italiana cambi il proprio regolamento di istituto. Mentre i concorsi che la legge dovrebbe sbloccare rimarrano fermi fino all’emanazione delle norme di attuazione. L’ultima volta c’è voluto un anno e mezzo.
I tempi, dunque, si allungano.
Dando agli studenti nuove occasioni di mobilitazione alla ripresa. Dopo le manifestazioni pacifiche e il colloquio col capo dello stato, il movimento si è rinvigorito e conta di andare avanti. Il prossimo grande obiettivo è arrivare allo sciopero generale. Nel frattempo, i ragazzi hanno già fatto sapere che impediranno l’applicazione della riforma nelle loro università.
da Europa Quotidiano 24.12.10