I ricercatori anti-riforma continueranno a rifiutarsi di insegnare gratuitamente. Le proteste contro la riforma Gelmini dell’università non termineranno con la sua approvazione al Senato. I ricercatori manterranno la loro indisponibilità ad insegnare gratuitamente e non escludono di adottare altre forme di dissenso quando la riforma verrà tradotta in regolamenti e decreti. Quelli di Tor Vergata hanno nel frattempo espresso la loro indignazione «per il vergognoso trattamento subito da tutti i fermati» durante la manifestazione di martedì a Roma, insieme alla solidarietà per Gerardo Morsella, matematico trentasettenne, anche lui fermato ingiustamente e poi rilasciato. «Penso che quella di martedì sia stata un’enorme esplosione di indignazione – afferma Alessandro Ferretti, fisico e membro della rete 29 aprile – catalizzata dalla contigente e indegna votazione sulla fiducia al governo, ma anche da anni di malgoverno e dall’insofferenza per la pessima distribuzione della ricchezza e del lavoro nel nostro paese. Spero che i giovani non restino abbacinati dalla sensazione liberatoria dovuta allo sfogo di una rabbia repressa e continuino a mobilitarsi con la stessa forza e maturità che hanno dimostrato in questi mesi».
Il governo però tira dritto e approverà il Ddl. Perché tanta determinazione?
In questo comportamento c’è un forte desiderio di destrutturare l’istruzione pubblica. Sono arrivati al punto che ora o mai più. Del resto, con tutto quello che è successo, se si tirassero indietro ora la loro sarebbe una sconfitta culturale, prima ancora che politica.
Una sconfitta culturale?
Sì, perché vogliono far diventare l’università un’istituzione che prepara le persone allo sfruttamento e non all’autonomia. Una persona che non ha gli strumenti per comprendere il mondo, non può difendersi dalla forza di chi ha il potere. Bisogna invece pensare ad un altro modo di concepire l’istruzione e la formazione. Dare cioè una preparazione che mira a far maturare la persona e non a darle esclusivamente competenze di tipo tecnico o applicativo.
Che ne sarà della vostra protesta dopo l’approvazione del Ddl?
Manterremo l’indisponibilità. Presto si aprirà la partita degli statuti degli atenei che dovranno essere riscritti. Ci muoveremo per compensare i disastri della riforma adottando statuti il più possibile democratici. Ad esempio, la scelta dei consiglieri di amministrazione dovrà rispondere a criteri scientifici, e non solo gestionali. Dovranno essere eletti da studenti, precari, tecnici amministrativi, oltre che da ricercatori e docenti.
E se l’indisponibilità non bastasse?
Non parteciperemo alle commissioni che organizzano la didattica e la ricerca. E potrebbe essere dirompente la richiesta del numero legale nei consigli di facoltà che non viene quasi mai raggiunto.
Perché avete rifiutato la promessa del ministro Gelmini di 1500 concorsi da associato in tre anni?
Perché la nostra protesta non è corporativa. I finanziamenti devono essere equamente distribuiti e devono garantire anche il reclutamento dei precari, oltre che l’attività didattica e di ricerca.
Avete l’impressione che la vostra sia una voce isolata nel mondo accademico?
Al contrario, molti professori iniziano a rendersi conto del problema. Per il Conpass, il coordinamento degli associati, faranno ricerca senza fondi, contando ancor meno negli organi accademici. Certo, non è la stessa situazione dei precari, ma rende l’idea della crisi di un intero sistema.
Sono giustificati i timori di chi pensa che la riforma bloccherà gli atenei?
Questo è sicuro. La riforma Gelmini per funzionare necessita di centinaia tra regolamenti e decreti. Se pensiamo che quelli della legge Moratti non sono ancora stati emanati è facile pensare che l’approvazione della legge implicherà un congelamento delle attività a tempo indeterminato.
Il Manifesto 18.12.10