Non c´è nemmeno un Andy Warhol alla vaccinara, una versione provinciale dell´arte-provocazione, dello scandalo creativo. C´è soltanto l´insipienza estetica del sindaco di Roma coniugata con la furbizia imprenditoriale di un allegro neocostruttore d´auto. Il risultato è l´esibizione – gratis – dentro l´Ara Pacis, di due modelli di una stessa utilitaria.
Il lancio commerciale della Dany, una piccola automobile che, per quello che si vede, somiglia a tutte le altre utilitarie del mondo. Ma se è vero che questa automobile stona dentro il museo, non stona certo come accadde ai baffi sul viso della Gioconda, senso forte dei tempi moderni, né ha la forza dei monumenti impacchettati dal bulgaro Christo, non è l´ossimoro visivo, non è la contaminazione dei generi, ma è solo una delle mille volgarità – piccola questa volta, anche se significativa – commesse di questi tempi contro la cultura italiana.
Gli avessero almeno chiesto dei soldi a Stefano Maccagnani, che adesso non sa spiegare perché hanno concesso a lui quello che hanno negato a tanti altri, Maserati compresa: «È vero, mi hanno fatto un favore, forse per premiare un prodotto tutto italiano, che sarà costruito interamente a Roma». E se invece Maccagnani, che prima produceva materiale militare per la Difesa e aveva fatto parte della cordata messa assieme da Berlusconi per salvare Alitalia e, nel giorno della fiducia, ha pure scritto un´appassionata lettera al presidente del consiglio, se invece Maccagnani dicevamo, fosse solo un raccomandato, come tutti quelli che sono stati assunti nelle municipalizzate romane? «No. Al massimo sono più simpatico degli altri».
Certo, se gli avessero imposto almeno un ticket per l´uso privato del museo, ora staremmo a discutere se è giusto o sbagliato affittare i monumenti a fini commerciali, se è lecito noleggiare il Pantheon per una “convention”, far sfilare l´alta moda all´Altare della Patria, promuovere un profumo davanti alla Primavera del Botticelli, vendere lingerie alle mademoiselles d´Avignon. I monumenti non sono certo sacri, e restituirli alla vita guadagnando qualche soldo forse potrebbe non essere male.
E invece la gratuita esposizione pubblicitaria della versione elettrica e della versione a benzina di questa Dany è stata voluta dal Comune «per amore della cultura». E si capisce subito che quest´auto dentro l´Ara Pacis fa il verso a invenzioni, slogan, immagini della grande arte, alle peripezie dei pennelli di Boccioni, di Picasso e di Magritte. Ma è un orecchiare appunto. Perché qui non c´è neppure la raffinatezza maliziosa della pubblicità, della cartellonistica e degli spot che chiedono solidarietà, ammiccano, seducono e sempre impongono un rapporto di grande complicità. C´è soltanto un´auto dove non dovrebbe stare col risultato di imbruttire sia l´auto sia il museo. E si ritrova come costante la cecità o, se preferite, l´insensibilità estetica di una generale amministrazione dei beni culturali ed artistici alla quale non importa nulla né di Pompei né dell´Ara Pacis.
È vero che l´Altare alla pace romana ha già subito ogni genere di insulto, da quel gabinetto che fu abbandonato all´ingresso del museo nel 2009 sino al disprezzo del sindaco Alemanno il quale appena eletto dichiarò di voler distruggere la teca di Richard Meier. «Ho scelto l´Ara Pacis perché e un luogo ameno» mi dice invece Maccagnani che forse non sa cosa significa “ameno”, ma ha l´aria furba di chi pensa di passare alla cassa sfregiando un capolavoro o montando il destriero del Gattamelata.
Di sicuro questa autopromozione è stata approvata della sovra-intendenza di Roma e benedetta del sotto-segretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta: «Mi ha fatto l´onore di venire». Ed è forse tutto qui l´evento: un “sotto” che si crede “sopra”, un favore promozionale spacciato per sapienza estetica, roba da chiamare la polizia del buon gusto, se esistesse.
Considerando che nella Roma di Alemanno i raccomandati “simpatici” sono battaglioni è possibile che questo nuovo buon gusto prenda piede nei luoghi e nei simboli d´arte e si faccia moda, con la complicità appunto tra il sotto e il sopra, tra la sotto-Italia e la sovra-Italia, tra il sotto-segretario e la sovra-intendenza.
La Repubblica 18.12.10