«L’Italia ancora una volta rimane indietro. Aumenta il conto delle riforme mancate, o incomplete o inadeguate. Con la Germania il confronto è impietoso». Il Centro studi di Confindustria lancia un nuovo allarme sulla situazione economica del Paese, sparando ad alzo zero sulle politiche «mancate». E il governo ammutolisce. Silvio Berlusconi non risponde a chi gli chiede commenti. «Sì, ho sentito…», replica laconico. Maurizio Sacconi sminuisce: «Sono esercizi che durano un giorno, non credo valga la pena di commentare». Renato Brunetta parla di «questioni di lana caprina». Su tutti spicca Paolo Romani, che per «contratto» dovrebbe occuparsi di sviluppo: «I dati non sono poi così negativi».
DATI Certo, ci vuole coraggio a considerarli positivi. Gli esperti rivedono al ribasso le stime di crescita: il Paese è fermo all’1% quest’anno (dall’1,2 stimato in precedenza), all’1,1% l’anno prossimo (dall’1,3%) e all’1,3 l’anno successivo. la frenata estiva è stata più dura del previsto. La risalita è lenta e impervia. La crisi è stata un tonfo: -6,8. In pochi trimestri si è tornati indietro di otto anni e mezzo. Oggi il recupero è lentissimo. Si tornerà a livelli pre-recessivi solo nella primavera del 2015. Per riagguantare entro la fine del 2020 il trend registrato tra il 2000 e il 2007 bisognerebbe crescere del 2% all’anno: siamo alla metà. Insomma, «la malattia della lenta crescita non è mai stata vinta – scrivono gli economisti – Il comportamento durante la crisi ha dissipato ogni dubbio al riguardo». L’obiettivo del2% non sarebbe fuori portata: lo dimostra proprio l’esempio tedesco, dove si stima quel livello già dal 2012. Ma da noi «gli strumenti messi in campo appaiono insufficienti».
LAVORO Per la vita quotidiana degli italiani questi numeri promettono lacrime e sangue. L’occupazione è la prima vittima di questa progressione lenta. Con la crisi l’occupazione è già scesa di 540mila unità, e il numero è destinato a salire. Ma l’allarme più duro sta nel fatto che «parte della disoccupazione ciclica, generata dalla recessione, rischia di trasformarsi in strutturale ».Insomma, quei posti non saranno recuperati. l’Italia impoverisce e non torna indietro. «Il Paese recupererà il livello di attività pre-recessione nel secondo trimestre del 2015,ma ciò non basterà a ritornare sul sentiero di crescita tendenziale pre-crisi». I prezzi cresceranno poco, ma saranno stagnanti anche i consumi. Quest’anno non cresceranno più dello 0,7% e l’anno prossimo appena dello 0,9%. La bassa crescita renderà difficilissimo il percorso verso il risanamento dei conti. «Pur scontando l’efficacia piena della manovra del governo – osservano gli economisti – il disavanzo e il debito risulteranno più elevati». Quest’anno il deficit sarà a quota 5,1%, l’anno prossimo al 4,2 e al 3,2 nel 2012. Secondo Confindustria, per uscire dalla gabbia della bassa crescita (più bassa anche della media europea) servirebbe il binomio di riforme e innovazione. Puntare sul settore dell’information technology farebbe aumentare il Pil dello 0,8%. REAZIONI I numeri dell’associazione degli imprenditori provocano la reazione immediata del mondo sindacale e politico. L’ostinazione di Berlusconi di tirare a campare – commenta Stefano fassina del Pd – consegna il paese alla stagnazione e alla disoccupazione soprattutto giovanile e femminile sempre più elevata». Secondo l’Idv il governo rischia di far affondare il Paese, mentre Pierpaolo baretta del Pd parla di «quadro gelido» e di «governo assente». Dalla Cgil Fulvio Fammoni parla di «dati terrificanti», mentre Raffaele Bonanni denuncia che «il governo, le amministrazioni locali e la politica in generale è affacendata in altre cose, mentre la crisi avanza». Dall’opposizione, Francesco Boccia ricorda che «sono state tante le proposte del Pd su cui il governo non ha voluto confrontarsi». Dal governo, Luigi casero prova a frenare la valanga di accuse. «Chi ci accusa dimentica le pesanti eredità che ci hanno lasciato – dichiara – come il debito pubblico». Per la verità il debito la destra lo ha sempre aumentato, lasciandolo agli altri.
L’Unità 17.12.10
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“Crescita piatta L’Italia delude Confindustria”, di Roberto Giovanni
Due stilettate. La crescita economica? «L’Italia delude». Stiamo uscendo dalla crisi? «Ancora una volta si rimane indietro». Il Centro studi di Confindustria nel corso di questa fase di recessione ha sempre puntualmente centrato numeri e tendenze, facendo arrabbiare più di una volta premier e ministri. E anche ora che – più male che bene – si comincia a uscire dalla crisi, la lettura delle ultime stime degli economisti di Viale dell’Astronomia non fa certo piacere all’esecutivo.
Più che altro, non fa piacere agli italiani che le cose vadano tanto male. Confindustria infatti ha rivisto al ribasso le stime sull’andamento del Pil, prevedendo che la crescita del 2010 si fermerà al più 1% (la precedente stima era del +1,2%) e addirittura a un modestissimo +1,1% nel 2011 (dal +1,3%). Insomma «la malattia della lenta crescita non è mai stata vinta», e «il confronto con la Germania è impietoso». Peggio ancora le cose vanno sul fronte dell’occupazione. Secondo il Csc, «il numero delle persone occupate continuerà a diminuire nel 2011», con un calo atteso dello 0,4%. Il tasso di disoccupazione toccherà il 9% nel quarto trimestre 2011 e «inizierà a scendere molto gradualmente nel corso del 2012». Ci sono 2,167 milioni di disoccupati a ottobre 2010, più del doppio rispetto ad aprile 2007. Dall’inizio della crisi – dal primo trimestre 2008 al terzo trimestre 2010 – sono stati bruciati esattamente 540 mila posti di lavoro, senza contare le persone poste in cassa integrazione, che equivalgono ad altri 480 mila occupati. Sempre la crisi ci ha fatto perdere il 6,8% del Pil. Con questo ritmo «non si ritornerà sui valori pre-recessivi che nella primavera del 2015. Per riagguantare entro la fine del 2020 il livello del trend, peraltro modesto, registrato tra 2000 e 2007, l’Italia dovrebbe procedere d’ora in poi ad almeno il 2% annuo». Un obiettivo «raggiungibile in un arco di tempo ragionevole, come insegna la lezione tedesca, entro il 2012 secondo gli stessi documenti governativi». Ma «per coglierlo gli strumenti messi in campo appaiono insufficienti».
«Dai dati emerge che l’Italia continua a crescere troppo poco», dice la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, secondo cui «non siamo solo sotto la Germania ma anche sotto la media europea, questo è un problema serio». La crescita lenta «è un problema per il tasso di disoccupazione che rimane alto» ed è «un problema per le imprese che hanno un problema di competitività e di redditività». Cose che Confindustria dice «da molto tempo». Soltanto che da noi questi nodi non si riescono a sciogliere, spiega il rapporto del Csc: la frenata estiva e autunnale è stata molto più forte dell’atteso e il 2010 si chiude con produzione industriale e Pil quasi stagnanti.
Dal governo, come detto, giudizi per nulla positivi sui numeri del Csc. Silvio Berlusconi decide di non commentare le analisi di Confindustria, mentre è molto duro il giudizio del ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. «Sono esercizi statistici che durano un giorno – dice -. Non credo che valga la pena commentare». Il suo collega Renato Brunetta spiega che «la revisione al ribasso di qualche decimale è una questione di lana caprina». «Non mi sento di dire che il dato è particolarmente indicativo come qualcuno ha fatto», afferma invece il ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani, secondo cui «sappiamo che il sistema italiano ha delle lentezze a mettersi in moto». Il leader della Cisl Raffaele Bonanni al contrario dice di condividere «le critiche di Confindustria al governo, ai governi locali e alla politica in generale che, come si vede, è in tutte altre cose affaccendata». Fulvio Fammoni, segretario confederale della Cgil, parla di «numeri terrificanti e reali, non solo per i dati quantitativi, in sé gravissimi ma già conosciuti e ulteriormente peggiorati nel quarto trimestre, ma – aggiunge – perché confermano un ulteriore peggioramento per i prossimi due anni». «Il rapporto del Centro studi di Confindustria ribadisce un punto imprescindibile: senza crescita non c’è risanamento della finanza pubblica», spiega Stefano Fassina, della segreteria del Partito democratico.
La Stampa 17.12.10