Appena nato il Polo della nazione è già alle prese con i primi problemi, e il presidente della camera è criticato dai suoi.
«Non è certo un terzo polo nato per fare la politica dei due forni, ma un’area di centrodestra che non si riconosce nella ricetta berlusconiana della guerra continua». Come volevasi dimostrare: dare corpo al Terzo polo tra i futuristi per Fini non sarà una passeggiata. Ieri non è stato soltanto il triestino Roberto Menia, responsabile organizzativo di Fli e una tra le figure più solide e toste tra i finiani, con le sue nette parole, a mettere pesantemente i piedi nel piatto della questione. Lo va dicendo da settimane, Menia.
Così come del resto aveva già lanciato il sasso nello stagno la politologa Sofia Ventura, una delle teste d’uovo futuriste. Passata l’emergenza del 14 dicembre, dopo la sfiducia a Berlusconi votata con sofferenza ma per lealtà al leader Gianfranco Fini rifiutandosi di pugnalarlo alle spalle ora, all’interno di Fli, è esplosa la grana del Terzo polo.
Una grana tutta politica che era in incubazione da tempo e che vedeva in Menia (fondaatore insieme all’ex camerata Moffa – che ha poi voltato le spalle a Fini – di Area nazionale, la prima “corrente” interna a Fli), ma anche in robusti settori della fondazione Fare- Futuro, un roccioso fronte di resistenza con cui si sapeva che Fini avrebbe dovuto, prima o poi, fare i conti. Menia, uno dei sottosegretari finiani che s’è dimesso dal governo dopo la svolta di Bastia Umbra, era soltanto la punta di un iceberg fatto di mille dubbi e perplessità dei futuristi rispetto al Terzo polo.
Sollevando argomenti politici su cui chiedono un confronto interno, ieri sono usciti allo scoperto anche altri finiani più che critici rispetto all’operazione di rassemblement tra Fini, Casini, Rutelli. Tra questi non poteva non far particolarmente rumore il levarsi della voce del professor Alessandro Campi. Il direttore di FareFuturo è tranchant: «Il Terzo polo non è mai nato, è un progetto piuttosto evanescente, una sommatoria di forze politiche che possono diventare elemento di disturbo in una competizione elettorale. Per il resto non c’è una leadership, né un programma o un disegno complessivo».
È un ragionamento, questo, che attraversa da settembre il complesso pianeta finiano e che va oltre il perimetro che salda l’analisi di Campi con le preoccupazioni di Menia su un forte ancoraggio a destra di Fli e il pensiero dell’attore e deputato futurista Luca Barbareschi: «Non si può essere solo un agglomerato, Fli ha molte più potenzialità di tutto il terzo polo». La politologa finiana Sofia Ventura ha ampiamente argomentato, in questo senso, la necessità di correre da soli in caso di elezioni anticipate. Perché questo è, alla fine dei conti, il vero e solidissimo punto di caduta della discussione che si aprirà martedì sera nel vertice di Futuro e libertà convocato a Fini: fare liste finiane alla camera e liste comuni con Udc e Api al senato? Oppure fare solo liste finiane per camera e senato?
La Ventura non ha dubbi: «Fini dovrebbe avere il coraggio di presentare il suo partito da solo, sia alla camera che al senato », senza vagheggiare «ipotesi di Terzo polo». Di più: la Ventura ritiene opportuno che a questo punto Fini «si dimetta da presidente della camera» per guidare in prima persona il partito: tra le nostre file c’è «molta confusione, mancanza di coordinamento e controllo» per l’assenza di un leader che possa seguire in prima persona la situazione.
Se si va avanti così, continuando a «disorientare» la base futurista con «una navigazione a vista di piccolo cabotaggio », c’è il rischio di «disperdere un grande patrimonio». «La crisi non andava aperta, non si doveva arrivare alla rottura», dice la Ventura. «Non andavano chieste le dimissioni di Berlusconi», concorda Campi.
Inutile piangere sul latte versato, «basta non versarne altro. Comunque discutiamone – dicono i “meniani” – così si fa in un partito. Sennò, per battere i tacchi, c’è già la caserma del Pdl».
da Europa Quotidiano 17.12.10
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“La freddezza dei vescovi sul Terzo polo”
Monito di Avvenire. Bagnasco: serve dialogo. Casini: ne terrò conto. Bagnasco: “C´è bisogno di dialogo nella famiglia, nella società e nella politica”.
«Non c´è bisogno di un terzo pasticcio, ma di un “di più”, di un´azione convincente che indichi una volontà e una prospettiva diverse». Il Terzo polo nasce, e il pressing di Vaticano e Cei si fa sentire subito.
Il direttore dell´Avvenire, il giornale della Conferenza episcopale italiana, Marco Tarquinio, accoglie l´esordio del nuovo “Polo della nazione” aggiungendo un altro dubbio. «L´Udc di Pierferdinando Casini – spiega nella rubrica delle risposte ai lettori – ha agito spesso in questa legislatura da “opposizione responsabile”». E prosegue: «Ieri questa impostazione è diventata l´atteggiamento programmatico di un coordinamento parlamentare che riguarda un centinaio di deputati e senatori». Osservando infine che «alle radici» del nuovo soggetto politico ci sono «seri grumi di sospetto» legati alla «storia politica di Gianfranco Fini» e alle «posizioni assunte su importanti questioni valoriali da lui e da vari dei suoi».
Una posizione, quella del quotidiano dei vescovi, che fa discutere fin dal primo mattino dopo le rassegne stampa alla radio e in tv. Casini ne parla al termine della messa prenatalizia celebrata proprio dal capo dei vescovi, il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, davanti a molti parlamentari a Sant´Ivo alla Sapienza, a due passi dal Senato. «L´Avvenire per un credente – dice il leader Udc – si deve sempre leggere con attenzione e considerazione. Il suo è un monito di cui tenere conto e anche condivisibile».
La funzione finisce per essere letta in chiave politica. «C´è bisogno di apertura e dialogo nella famiglia, nella società», raccomanda Bagnasco, e questo «vale anche per la politica». E aggiunge: «Perché il dialogo non diventi una nebbia di parole, deve rispettare alcune leggi: ci vuole la volontà, altrimenti diventa un dialogo tra sordi, dove tutto è distorto e urlato». Un invito esplicito, dopo i turbolenti giorni della fiducia al governo. Seduti sulle panche ci sono Casini, il segretario dell´Udc, Lorenzo Cesa, i fedelissimi del Pdl, Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello.
Durante la messa, Gasparri fa cenni a Casini, accompagnandoli con un gesto: «Ci parliamo dopo». E al termine Gasparri e Cesa parlano fitto. «Non alzate sempre l´asticella – dice quest´ultimo – oggi alla Camera vi abbiamo già votato tutta quella roba sui rifiuti, che non dovevamo votare». Prove di dialogo fra Udc e Pdl? Casini si limita a commentare l´omelia di Bagnasco: «La Chiesa è un punto di riferimento importante per l´unità nazionale. L´invito al dialogo è vero e reale e mai strumentale». Il presidente del Senato, Renato Schifani, ha un colloquio di 30 minuti con il cardinale: «Troppi conflitti, troppe contrapposizioni – dirà dopo – il Paese ha bisogno di governabilità e stabilità, perché tanti sono i problemi all´orizzonte: la crisi economica e la crisi del lavoro».
Alle parole di Bagnasco si aggiungono quelle del segretario di Stato vaticano, il cardinale Tarcisio Bertone, con l´auspicio che i politici italiani garantiscano «giustizia, pacifica convivenza e speranza nel futuro». Chi mostra di non tenere troppo in considerazione la posizione espressa da Avvenire è Gianfranco Fini. Ai giornalisti che lo avvicinano a margine del convegno delle fondazioni De Gasperi e Adenauer, risponde seccamente: «Non l´ho letto. Auf wiedersehen». E alla stessa conferenza Cesa conclude: «Quando faccio battaglie in Parlamento sulla vita o sulla famiglia, non devo sentire il mio parroco, né il vescovo».
La Repubblica 17.12.10