Il fatidico 14 dicembre consegna uno scenario prevedibile, quello di un “governo Cepu” costretto a tirare a campare, almeno fino al pronunciamento della Consulta. Piuttosto la novità è un’altra ed è giunta inattesa: Roma è stata messa a ferro e fuoco e vive ore che sembrano staccate da un album di fotografie del 1977. Con una differenza però: allora il bersaglio erano il Pci e i sindacati, la Democrazia cristiana e i fascisti, oggi lo è il Palazzo nella sua interezza come metafora della politica. I deputati, dopo il voto alla Camera sulla sfiducia al governo, sono rimasti asserragliati in Parlamento e purtroppo non esiste immagine più adatta per descrivere la situazione attuale.
Certo, la crisi economica che si prolunga induce a radicalizzare il conflitto sociale. Certo, la mancanza di un gruppo parlamentare alla sinistra del PD in grado di offrire rappresentanza istituzionale a quanto di tumultuoso si agita nella società non fa che aumentare le difficoltà presenti, ricordandoci gli ultimi sciagurati effetti di un bipolarismo forzoso, imposto con l’inganno del voto utile.
Ma il vero problema è un altro: oggi tra politica e società si distende un deserto vasto e sconosciuto ove sta germogliando il fiore nero della violenza. Bisogna anzitutto isolare i Black Bloc e spiegare che fanno il gioco della reazione in quanto è facile prevedere che i disordini odierni saranno sfruttati da chi ha bisogno come il pane di un clima di emergenza per lucrare nuovo consenso intorno a un blocco d’ordine. In tanti soffieranno sul fuoco e sarà difficile comprendere la direzione del vento: la guerriglia romana di oggi nuoce al movimento degli studenti e alla protesta di quanti scelgono legittimamente la manifestazione di piazza per protestare in modo pacifico contro l’attuale governo. Se ne è avuto palpabile e paradossale sentore nella capitale quando gli studenti sono entrati nei negozi appena sfasciati dalla furia anonima e senza insegne dei Black Bloc per scusarsi con i commercianti. Ma una simile confusione delle lingue non porta lontano, anzi lo spettro del G8 di Genova si avvicina pericolosamente: ci siamo già dimenticati quali furono i drammatici effetti dell’infiltrazione dei miliziani travestiti? Chi sono? Da dove vengono? Chi li manovra? Perché possono attaccare all’improvviso e sparire nell’impunità?
In queste ore servono soprattutto senso di responsabilità e nervi saldi: speriamo che quella di ieri sia stata solo una fiammata perché la situazione rischia di raggiungere un livello di allerta difficilmente sostenibile nell’attuale quadro politico e con un governo tanto debole e dal futuro incerto. L’emergenza chiama da sempre altra emergenza e poi, quando si vota, di solito vince chi è in grado di garantire l’ordine nel modo più rapido ed efficace. Sarebbe bene non dimenticarlo.
Il Sole 24 Ore 15.12.10