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"Prima e dopo la fiducia, è un governo da bocciare comunque", di Paolo Andruccioli

La finanziaria conferma i tagli agli Enti Locali. Risultano quasi del tutto assenti misure per lo sviluppo. Tagli lineari e niente investimento sul futuro. Intanto il debito pubblico aumenta, e il sistema fiscale è sempre più iniquo e sbilanciato.
La finanziaria non si chiama più così. Ora si chiama Legge di Stabilità. Ma è una definizione che in questa situazione politica da operetta suona come una parolaccia per tutti quelli che riescono ancora a credere in qualcosa oltre il potere mefitico dei trenta denari. Così è finita la Seconda Repubblica, ma il governo del tycoon rimane incollato alle sue poltrone permettendo così ai suoi ministri di proseguire nella loro opera da guastatori.

I primi effetti del voto di fiducia, oltre al varo (istituzionalmente obbligato) della Legge di Stabilità, saranno infatti il varo della riforma Gelmini e la cancellazione dello Statuto dei lavoratori, progetto su cui il ministro Sacconi ha investito ormai tutta la sua carriera politica. La Legge di Stabilità e tutto il blocco delle politiche economiche e del lavoro del centrodestra (che equivale a parlare di meticoloso smantellamento dei diritti) non piacevano alla Cgil prima del voto di fiducia e non piacciono alla Cgil dopo il voto di fiducia. “Avremmo bisogno di politiche che affrontino la crisi e i problemi del lavoro, il rischio è quello delle code velenose”, ha commentato ai microfoni di RadioArticolo1 il segretario generale della Cgil Susanna Camusso a pochi minuti dal voto sulla fiducia. “È vero che il governo ha la maggioranza, ma serve comunque un’agenda politica nuova, oppure si restituisca la parola agli elettori”.

Le parole del segretario generale sono state pronunciate nelle stesse ore in cui Banca d’Italia diffondeva i dati del suo Bollettino di Finanza Pubblica: nei primi dieci mesi del 2010 le entrate tributarie si sono attestate a 294,307 miliardi di euro, riducendosi dell’1,8% (-5,2 miliardi) rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Lo stesso documento di Bankitalia registra anche un nuovo record per il debito pubblico, che nel mese di ottobre ha raggiunto i 1.867,398 miliardi di euro, contro gli 1.844 miliardi del mese di settembre. Rispetto all’ottobre 2009 quando il debito delle amministrazioni pubbliche era a 1.804,5 miliardi, il debito è aumentato di circa 63 miliardi. L’aumento è ancora più alto se si calcola l’incremento dall’inizio dell’anno: rispetto ai 1.763,6 miliardi di fine dicembre la crescita è stata di 104 miliardi, con un incremento del 5,9%.

Queste cifre aride solo all’apparenza significano un grandissimo segnale rosso di emergenza. I conti pubblici italiani, dietro la facciata di presentabilità del ministro Tremonti, vanno molto male. Sempre secondo Banca d’Italia, lo stock del debito pubblico italiano in rapporto al Pil si conferma il più alto in Europa: dopo il calo rilevato nel 2007, il debito ha ripreso a crescere dal 2008, aumentando di quasi 10 punti percentuali anche nel 2009, per raggiungere un valore assai vicino a quelli rilevati alla fine degli anni ’90. E come se non bastasse, le previsioni Ocse per l’Italia ridimensionano la già modesta stima di crescita prevista dal governo per il 2010 (dall’1,2% al 1,0%) e contano un aumento del debito pubblico nel 2012 a circa il 120% del PIL a fronte delle ultime stime della Dfp, la Decisione di Finanza Pubblica. Anche l’Istat non ci regala nulla: il rapporto deficit/Pil nel 2009 è quasi raddoppiato rispetto all’anno precedente (dal 2,7% al 5,3%) e, a giugno 2010 in valore assoluto, 80.800 milioni di euro, 38.225 in più del 2008.

Oltre ad essere “malati” di debito, gli italiani sono sempre più diseguali. Il sistema fiscale italiano – come si legge in un documento della Cgil nazionale – è sempre più “sbilanciato”, poiché conta su un gettito negli ultimi anni composto, da un lato, da una forte incidenza delle indirette (45% del totale, di cui l’Iva ne rappresenta il 60%, ossia il 27% del totale delle entrate), e dall’altro, dalla quota Irpef sul gettito delle imposte dirette che assume un peso particolarmente rilevante (70% delle imposte dirette e 38% del totale delle entrate), considerando, soprattutto, che tale quota per l’87% è formata da reddito da lavoro dipendente e da pensione. La distorsione è evidente a tutti. È l’Italia della disuguaglianze e delle ingiustizie. Dopo il governo da comitato di affari, ci vorrebbe un vero Clsn, Comitato di liberazione e di salute nazionale.

La manovra economico-finanziaria vale 25 miliardi di euro. Si tratta in sostanza della manovra che era stata anticipata dal D.L. 78/2010 di luglio (la cosiddetta manovra correttiva). Con Legge di stabilità si definisce meglio la previsione di spesa stabilita, pari a circa 5,7 miliardi di euro per il 2011, da attribuire sostanzialmente a rimodulazione di risorse finanziarie già inserite in bilancio. In generale, nella Legge di stabilità – come d’altronde nella previsione triennale prevista dalla manovra correttiva di luglio 2010 – sono confermati quasi tutti i tagli agli Enti Locali e, soprattutto, risultano quasi del tutto assenti misure per lo sviluppo. Tagli lineari e niente investimento sul futuro. E quello che ora più preoccupa è che questi tagli lineari saranno solo l’inizio di una nuova pesante manovra distruttiva del governo dei “guastatori”. Bisogna fermarli.

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