Un doppio intervento di Elena Cattaneo su «Embo Reports», giornale dell’European Molecular Biology Organization (il primo è un’intervista, il secondo un articolo scritto insieme a Gilberto Corbellini) accende i riflettori della comunità scientifica internazionale sul difficile rapporto fra politica e ricerca in Italia. Ma per illuminare i fatti, bisogna innanzitutto rievocare l’antefatto. L’anno scorso il ministero della Salute ha pubblicato un bando di finanziamento sulle cellule staminali, escludendo espressamente i progetti che contemplassero l’uso di staminali embrionali umane. Da qui il ricorso di tre ricercatrici (la stessa Cattaneo, con Elisabetta Cerbai e Silvia Garagna), dato che la legge 40 non vieta d’utilizzare queste cellule, e dato inoltre che l’articolo 33 della Costituzione protegge espressamente la libertà della scienza, che è in primo luogo libertà dalla politica, dai suoi artigli, dai suoi pantagruelici appetiti.
Risultato? Prima il Tar del Lazio, poi il Consiglio di Stato hanno respinto l’istanza di sospensione del bando. Sul merito del ricorso si vedrà più avanti, ma per l’appunto i segnali non sono affatto incoraggianti. Nel frattempo succede, per esempio, che lo stesso ministero dispensi 10 milioni di finanziamento (senza bando) al team di Barbara Ensoli che lavora sul vaccino anti-Aids, nonostante le perplessità dell’immunologo Aiuti e di vari altri suoi colleghi. Ma soprattutto succede che se alzi il dito contro l’invadenza del ministro di turno ti ritrovi solo: scarsa solidarietà dai tuoi colleghi, indifferenza da parte del l’opinione pubblica. Per quale ragione? Perché chi dirige un laboratorio o un centro di ricerca non ha voglia di litigare coi padroni del vapore, sa per esperienza che subirebbe ritorsioni, afferma la Cattaneo senza troppi giri di parole. Perché la comunità scientifica italiana è molto piccola, e dunque facilmente perforabile dai politici. E perché la società civile non è mai stata educata a riconoscere l’importanza della scienza: colpa della scuola, e perciò ancora colpa della politica, da cui dipendono i programmi scolastici.
Comunque si concluda la vicenda giudiziaria, possiamo allora trarne almeno due lezioni. La prima investe la responsabilità degli uomini di scienza, anche se in questo caso sono le donne a rinfrescargli la memoria. Diceva Max Weber (La scienza come professione) che la ricerca scientifica, al pari dell’arte, reclama una dedizione assoluta, senza pause, senza intermittenze. La Cattaneo aggiunge che il tempo speso in carte bollate non è stato sottratto al suo lavoro: ne fa parte. La seconda lezione tocca il rapporto fra i palazzi della scienza e quelli del potere. C’è una politica attraverso la ricerca, che consiste nell’utilizzarne i risultati a vantaggio della collettività. Ma c’è anche, o meglio dovrebbe esserci, una politica per la ricerca, per incoraggiarne lo sviluppo, per garantirne la piena indipendenza.
Il guaio è che in Italia, durante gli ultimi vent’anni, ha preso corpo una politica contro la libera ricerca. Battezzata dalla destra ma cresimata poi dalla sinistra, se ricordiamo per esempio l’altolà dell’ex ministro Pecoraro Scanio rispetto agli Ogm. Nemica di ogni agenzia indipendente di valutazione (l’European Research Council). Intessuta di regole bizantine su cui affondano le mandibole dei Tar. Gravata da lentezze burocratiche che si scaricano sui ricercatori (nel campo delle staminali, l’esito del bando 2009 è stato reso noto dopo 14 mesi). E che ha scoperto infine l’arma più letale: il rubinetto dei finanziamenti, aperto per gli amici, chiuso per i nemici. Alle nostre latitudini, il censore indossa una divisa da cassiere.
Il Sole 24 Ore 12.12.10