E’ l’estate dei morti, il due novembre, mi ritrovo su un terrazzino di Mondello a chiacchierare con Roberta Torre, palermitana d’adozione, della Sicilia, di Palermo, del suo film, delle morte stagioni, del periodo della speranza, della presente e viva e del suo rumore ormai insopportabile, del futuro: già, quale futuro?
A chi tocca ridefinirlo? Forse a noi? Le difficoltà: cosa vuol dire tornare,vivere, andare via da questa città. Si parla di rifiuti soprattutto, ma ci rifugiamo tra gli angeli. Angeli, sì: sul terrazzino c’è anche Tommaso, neo18enne figlio della regista e del mitico Franco Maresco/cinico tv, che traffica con la madre e con del fil di ferro, ovatta e vinavil.
“Dai mamma, le ali”, cerco di rimanere seria e non mi accorgo che loro lo sono, serissimi. Tommaso sta preparando i costumi per un cortometraggio. Non si scherza, niente dilettantismi. Tra l’altro Tommaso Maresco è l’autore delle musiche dell’ultimo film di Roberta, I baci mai dati, presentato a Venezia e in uscita tra qualche settimana, dopo Natale. Eppure tra il filo, di ferro, e la colla ci si infila la rivoluzione, cambio registro e mi metto a chiacchierare col ragazzo.
Che vuol dire avere 18 anni a Palermo?
E’ difficile. Inconsciamente ci si sente isolati perché senti che c’è una differenza, te la porti dentro pronta a esplodere la prima volta che lasci la Sicilia. Essere di Palermo ti dà un imprinting, è uno status a parte. No, non la metafora di Sciascia, ma semplicemente l’espressione che vedi su chi ti guarda quando dici che sei di Palermo e ti accorgi di avere questa identità fortissima di cui non hai mai avuto la consapevolezza. Quando sei qui odi la tua città: abbiamo (si riferisce ai coetanei) il mito dell’Italia progredita, quella al di là. Anche se “quelli di fuori” ci sembrano fatti con un unico stampo, omologati. Poi, una volta fuori, ne intuiamo la grandezza. E’ come se vivessimo un altro tempo: nel bene e nel male, e il senso d’impotenza si lega a doppia mandata con un opposto senso d’onnipotenza. Però è come se questa forza non trovasse vie di fuga: rimane un sottotesto, non appagata. Del siciliano, del palermitano rimane il fisico. Ma le vedi le facce dei tuoi alunni? (le vedo, le vedo..ma io non me ne rendo conto più…) E poi i rapporti familiari fortissimi mischiati con il legame alla terra. Si, si, siamo diversi. E lo sentiamo noi ragazzi.
Senti, tutto sta crollando, il futuro è un ipotesi, il presente è durissimo: perché non fate la rivoluzione?
Ci avete dato tutto e subito perché sbatterci con la rivoluzione? Viviamo di narcosi: non sentiamo forte l’esigenza di pretendere qualcosa perché in fondo abbiamo tutto. Io rappresento una media: sono figlio di persone “illuminate”, frequento un liceo moderato, ho degli affetti e i bisogni soddisfatti. Il problema è un altro: l’inconsapevolezza. Ci manca l’umanità e siamo sommersi d’indifferenza. Siamo cresciuti sommersi di tv e adesso di internet: sono dei filtri. Ogni emozione ce l’hanno già macinata e proposta. Mangio e sento di Sarah Scazzi, magari tu ti indigni, io mangio. Ma non perché non mi rendo conto: è che l’ho vista mille volte quella storia. Viviamo di inganni perché è fortissima la preoccupazione di apparire. Tanti miei compagni, quasi tutti direi, si affannano a capire come conciarsi. E’ un gioco di apparenze, uno spot continuo. E’ fondamentalmente insicurezza. Tolte le emozioni reali, siamo rimasti senza sentimenti. Io sento intorno a me una paura di vivere terribile. Vedo mia madre, mio padre e mi sento fortunato: mi hanno istillato sentimenti. Vedo voi di due o tre generazioni passate e sento ad esempio una canzone di Battisti: c’è la voglia di vivere a tutti i costi. Tu hai una voglia di vivere a tutti i costi, la si tocca. Noi no: siamo incellophanati. Lo definisco analfabetismo affettivo. Il nostro malessere più grande è il benessere. Quello che abbiamo e quello che si ostenta. Se non hai non sei. Più hai meglio è. Ma si finisce col perdere di vista proprio se stessi.
E la politica?
Indifferenza. Disillusione. Scetticismo. Questo è per i miei compagni la politica. Si vive come se nulla riguardasse noi, come se fossero problemi esterni e chiunque si avvicina si sporca. Se ci pensi io ho conosciuto solo il modello politico berlusconiano. E dunque antiberlusconiano. In questo ci avete fregati. E il bello è che noi la libertà di mente non la vogliamo più: come nel grande inquisitore. Ci basta il pane quotidiano, anzi, il dolce quotidiano. E’ triste no? Far diventare i bisogni immediati un sistema culturale di massa. Hanno vinto. E’ una schiavitù inconsapevole. Siamo deportati senza saperlo. Altro che Olocausto.
La scuola, i professori…
Distanza totale. Posso confessartelo? Molti studiano per educazione perché in realtà parliamo una lingua completamente diversa e voi ancora non lo avete capito. Cioè non tu, la tua categoria. E poi il nostro è un altro mondo. Voi siete abituati a un rapporto diretto, all’uso della parola, del pensiero espresso, costruito. Noi no: viviamo di filtri. Tv, cellulare, web. Comunichiamo attraverso filtri. Cosa rimane? Emozioni frigide che durano pochissimi, senza stupore. Frasi brevi. Pensieri brevi. Noia: siamo come gatti annoiati e invece a 18 anni dovemmo fremere no? E intanto alla cattedra parlano parlano e si allontanano. Magari però io sbaglio: tutto sommato i miei modelli di riferimento sono in fondo passati: il cinema del passato, i discorsi frequenti e lunghi a cui i miei mi hanno abituato.
Il futuro?
Un dramma non espresso. Non hanno idea di cosa fare dopo. Crisi totale. Molti hanno il mito della tecnologia, dell’ingegneria: quella che ti consente di materializzare delle cose da fare. Voglio dire: se scegli di iscriverti a filosofia oggi sei un pazzo sfigato. La verità è che c’è una crisi di linguaggi estrema. Il vostro linguaggio, quello dei prof, è diverso non più soltanto nella forma, ma nella sostanza e nelle sinapsi che sottende (lo avevamo sospettato, noi docenti si, anche i più “antichi”. Gli altri ancora fanno finta di non capire…).
La famiglia? I genitori?
Molti miei coetanei sono abbandonati dai genitori anche se ci vivono sempre insieme. Anche lì: lingue diverse. C’è il desiderio di parlarsi eppure questo desiderio non trova corso. Non trovano gli strumenti per portarli fuori. Eppure , ripeto, la voglia è grande. Io sono “amico delle mamme” e me lo dicono, me la raccontano questa voglia di capire la figlia, il figlio. E viceversa: alcuni compagni vorrebbero. Altri invece se chiedo dei genitori evitano il problema e liquidano tutto con un “boh…” e io vado al classico.
Come si affronta il mondo?
Si è sostanzialmente soli e non si hanno gli strumenti per capirlo. Ogni cosa pensi che sia un bluff: la tv ci ha istillato uno strano cinismo che anche una incapacità di vivere sul serio. L’abbuffata di informazione ci sta stufando. Un fatto di cronaca terribile viene affrontato ovunque come la 3 puntata di Beautiful. Voglio dire: sempre ci sono stati eventi tragici. Oggi è la teatralizzazione, la generalizzazione dell’apparire che ti confonde e non ti accorgi nemmeno che stai male. E’ possibile che la cosa di cui si preoccupava la probabile assassina della cugina fosse “cosa stava dicendo la tv di lei”? Io non me ne stupisco: ormai la mente di tutti è condizionata da questo sistema.
Senti, devo chiedertelo: i tuoi genitori? Il loro lavoro?
Sono due parti di me. Cinico tv è metà di me stesso. Da un lato l’umanità e il forte sentire delle opere di mia madre, dall’altra la potenza della morte che trasuda in ogni cosa di mio padre. Sono dentro di me e non posso prescinderne. Da un lato il crudo iperrealismo di Franco Maresco e dall’altro il realismo trascendentale delle cose di mamma, erotiche nel loro senso attrattivo. Non palro solo dei film ma del forte sentimento che trasuda da entrambi. Ecco: io per fortuna non ho esempi di emozioni frigide. In questo sono fortunato. Se invece devo analizzare il loro cinema. Oggi molto cinema è “parlato”, ma senza diventare mai “cinema”. Quello di Maresco è cinema, è grandioso. E averlo vicino …beh..Ho la fortuna di avere con loro un discorso reale, adulto, di sostanza, ininterrotto. Per quel che riguarda il cinema, che forse potrebbe essere anche il mio mestiere, vedo in loro la qualità del lasciare indefinito. Alcune cose è meglio non dirle, non vanno dette. Maresco ha il senso dell’indefinito. Mamma è calore, è sentimento, è colore. Papà ha fatto un cinema che poi “non hai dove andare”. Gaurdo i primi corti di mia madre, o Angela, e vedo un film francese: rappresentano entrambi la vita come una forma di pensiero.
Com’è stato scrivere le musiche di un film?
E’ partito come un gioco e poi si è trasformato in una fatica immane, in una responsabilità. Il mio timore era di non concludere, di non finire. La musica è nata prima del film e piano piano ho sentito che ci stava bene. Adesso questa cosa cammina da sola. Mi piace scrivere, mi piace ogni forma di espressione. Non posso dire con certezza: “voglio fare il regista”, ma esprimermi. Quello sì. Le immagini o la parola? Adesso la parola, ma le immagini hanno una forza e una potenza maggiore: trapassano l’anima quando funzionano. Il mondo adesso è difficile, è triste, se dobbiamo sentire dell’enorme consumo di psicofarmaci ma non bastano per dire: non mi va di stare qua. Dobbiamo capire come trovare un modo che ci faccia stare bene e qua.
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Era circa un mese fa. La settimana scorsa Tommaso, insieme ad altri studenti del liceo classico Meli, scuola notoriamente moderata, all’interno della crescente protesta contro il ddl Gelmini decide di occupare. Intorno si scatena il putiferio: a Palermo sono 17 gli istituti superiori occupati, la città è attraversata per tre giorni di fila da cortei e blocchi in più punti. A differenza che altrove sono gli studenti medi a “fare casino”, gli universitari meno. Per motivi di spazio non riporterò tutte le vicissitudini che hanno portato alle singole occupazioni e che Tommaso mi racconta in modo concitato, quasi come delle successive prese della Bastiglia. Sento quello che mi aspetto di sentire, lo ammetto, con intima soddisfazione: il tempo si ferma quando si ascolta un giovane che lotta per qualcosa di nobile, ha il sapore di epopea e non esagero.
Non sono passati nemmeno 15 giorni da quando parlavamo di rivoluzione mancata e narcosi collettiva che la realtà ci smentisce Tommaso: la protesta alla fine è cresciuta. Eppure c’è un dubbio amletico che mi assale: lo scorso anno si è consumata la riforma delle superiori. Vi hanno tagliuzzato peggio che in Edward mani di forbice e voi fermi, muti e assenti. Adesso invece vi siete svegliati all’improvviso per il ddl che riguarda gli universitari. Cosa è successo?
Non me lo spiego nemmeno io. Sono i misteri del domino. Cioè: quelli veramente consapevoli di quanto sta accadendo e quanto è accaduto, il contenuto dei decreti, gli effetti dei tagli, siamo pochissimi, mi riferisco ad esempio al mio liceo. Su millecinquecento studenti saremo non più di una ventina ad avere la consapevolezza reale di cosa accade. E penso sia così anche nelle altre scuole. Lo scorso anno la maggior parte degli studenti non ha capito nulla della riforma delle superiori, per questo non è successo granchè. Non so di chi sia la colpa: degli “adulti”? della cattiva informazione che passa, anzi, che non passa, da giornali e tv? O del disinteresse globale per la politica dei miei coetanei? Mistero. Quello che accade adesso è da riferire all’azione dei collettivi studenteschi: coloro che ne fanno parte ne sanno qualcosa, del decreto e della riforma, e hanno consapevolezza, gli altri vanno a ruota. Un po’ per fare casino, un po’ perché intuiscono che è giusto farlo, ma senza nemmeno approfondire, un po’ per attirare l’attenzione.
Il sito Spinoza.it scriveva oggi “Gli studenti italiani occupano, salgono sui tetti: non otterranno un c…o però adesso sono famosi anche in Giappone”, certo la consapevolezza dei ricercatori è ben diversa da quella dei tuoi coetanei, ma Spinoza.it ha colto nel segno, a sentir te.
Sì, è così. Molti “giocano” alla protesta e pensano alle azioni eclatanti da mettere in campo, se poi non si finisce sui giornali lo si registra come un fallimento. Non si pensa che magari è necessario riflettere un attimo, elaborare contenuti e far passare conoscenza delle cose e consapevolezza. Se indaghi in giro pochissimi di noi sanno come funzionano Camera e Senato, cos’è un ddl, eppure c’è qualcosa di sano in quanto accade, le occupazioni, la protesta, il salire sui tetti, nonostante tutto. Lo si capisce che le cose non vanno e che quelli che la pagano di più siamo noi. E penso che lo stiamo raccontando anche ai nostri genitori. Del resto il clamore mediatico connota anche la politica di oggi. Secondo te non è la politica stessa ad essere più mediatica oggi, più interessata a comparire che a elaborare soluzioni? I capi di partiti fanno di tutto per rubarsi le prime pagine, perché condannare gli studenti che fanno la stessa cosa per farsi ascoltare? Semmai Spinoza ha ragione: l’obiettivo dovrebbe essere ottenere qualcosa, non solo andare sulle prime pagine. Eppure si spera di ottenerla qualcosa. Però sai: molti di noi sono convinti che anche se otterremo poco almeno contribuiremo a far tremare questo governo.
Ma dai: niente niente vi state interessando sul serio di politica? Volete far cadere Berlusconi? (sorride) In venti consapevoli seguiti da non so quanti inconsapevoli?
Se la coscienza di pochi fosse la coscienza di tutti avremmo vinto. Ritirerebbero il ddl e non solo quello. Ma è successo anche per le altre proteste no? Le vostre ad esempio. Se i docenti invece di pochi fossero stati tutti a protestare anche gli altri ddl sarebbero stati ritirati non credi? E poi: quanto c’è di mediatico in tutto ciò? Nelle modalità come anche nelle finalità?
In che senso?
Se il valore di qualcosa dipende da quanto fai parlare i media allora c’è qualcosa di perverso non credi? Allora Sabrina Messeri sarebbe eletta premier se si presentasse in questi giorni. Se poi aggiungi che i media sono in mano a pochi la messa è finita, il pensiero è davvero unico se non sei capace di elaborarlo, e andiamo in pace. La coscienza è abbandonata alla solitudine di ciascuno di noi. In fondo, e non è per ripetere sempre la stessa cosa: questo modello mediatico lo ha imposto Berlusconi e tutti ne siamo vittime. Stai male quando giornali e tg non riprendono una battaglia che ritieni giusta e sacrosanta. Eppure dovrebbe bastare il fatto di condurla: un individualismo metodologico in senso buono.
Cioè se sei capace di pensiero critico autonomo ne esci vivo di testa. Sennò no: sei un automa con due mani che applaudono. E vale anche per la “stampa di sinistra”? Ok, Sto divagando…Quanti sono gli istituti occupati, come pensate di procedere?
A Palermo sono 17, mentre le facoltà sono solo tre, a differenza del resto d’Italia dove la protesta è essenzialmente dei ricercatori e degli universitari. Noi abbiamo occupato fino al giorno 30. Il tema non è quanti giorni, ma come procedere e soprattutto il tema è: riusciamo a coinvolgere la maggioranza degli studenti nella consapevolezza di quanto sta accadendo? Non nell’occupazione in se, che comunque si sta rivelando una cosa complicatissima, tra servizi d’ordine e quotidianità difficili da gestire per le mille anime che ci sono nel movimento, non ultime le infiltrazioni di movimenti di destra, ma nei contenuti e nei motivi della protesta. Il problema è: come cambiano le cose (una cosa da nulla, è proprio quello il problema…) sapendo che a gennaio forse tutto ritorna normale e si ristabilisce il silenzio? Ma se non credi di cambiarle adesso che hai 17, 18 anni, quando pensi di cambiarle? Certo hai ragione quando dici che non vogliamo fare la rivoluzione ma andare sui giornali: il consenso è quello. Andare sui giornali aiuta. E alcuni piccoli successi li abbiamo avuti. Vedi il caso del mio liceo: nessuno mai avrebbe scommesso che saremmo arrivati ad occupare, era scontato per altre scuole non per noi. Eppure lo abbiamo fatto. Il collegio dei docenti è stato sparigliato: ci osservano con altri occhi. Pensano: questi hanno qualcosa in testa, non sono proprio spenti. Non è già una piccola rivoluzione?
L’Unità 07.12.10