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"Marchionne gioca al gatto col topo", di Raffaella Casciolo

Ci risiamo. È ancora una volta la Fiat formato Marchionne quella che ieri ha fatto saltare il banco in quell’eterno gioco tra gatto e topo. Stavolta Marchionne ha finalmente calato la maschera: Fiat utilizza i tavoli con i sindacati per scardinare il contratto nazionale e portarsi nei fatti fuori da Confindustria.
Ad essere saltato stavolta è il tavolo (l’ennesimo tavolo Fiat) sul piano Mirafiori visto che l’azienda, mentre l’intesa era in dirittura d’arrivo, ha parlato di trattativa finita (e fallita). E, purtroppo, in tempo di crisi economica e di lavoro, quella che per Fiat è la fine della trattativa, per i sindacati – o meglio per una parte di questi – è solo una sospensiva. Una pausa di riflessione.
Una nuova convocazione sarebbe attesa per la prossima settimana, sebbene al Lingotto non si sa se e quando riprenderanno gli incontri. E, certo, non contribuisce all’intesa né l’intransigenza Fiat su quello che potrebbe essere un accordo di compromesso né tanto meno il clima politico da fine legislatura che pure rende per molti versi improcrastinabile un’intesa. Anche se l’invito al dialogo del ministro Sacconi appare quantomeno pleonastico.
Se, dunque, il fattore tempo gioca a favore di Fiat il problema emerso ieri è stato soprattutto un di contenuto, ma anche di contenitore. Al centro del discutere è il tentativo, l’ennesimo, di creare un contratto Fiat, diverso da quello dei meccanici e per molti versi avulso da esso. Restano irrisolti, al di là degli umori caratteriali dell’ad di Fiat, i difficili rapporti tra Marchionne e la Marcegaglia. E proprio in quest’ottica va inserito il tentativo di Fiat di forzare la situazione con un nuovo contratto collettivo per le tute blu che lavoreranno per la nuova joint venture tra Fiat e Chrysler. Se dunque non è certo indifferente se il contratto di riferimento sia quello attuale e valido a livello nazionale, peraltro non riconosciuto da Fiom, o uno proprio Fiat, c’è poi un nodo legato direttamente alle forme di innovazione che il Lingotto vuole introdurre. Eppure il vizio di forma di tutta la trattativa che il metodo Marchionne ha importato da oltreoceano è quello dell’aut-aut, del no al compromesso che invece è per se stesso il cuore della contrattazione del vecchio continente. Ieri la discussione si è interrotta alle 13,15 con una scarna nota diffusa dalla Fiat secondo cui «non esistono le condizioni per raggiungere un’intesa sull’investimento». Ma cosa è cambiato nel corso di una notte per arrivare a una rottura dopo che si era stati a un passo dall’intesa? Il no dell’azienda alle richieste “migliorative” avanzate da Fim e Uilm, oltre che dalla Fiom. E, soprattutto, il fatto che all’ultimo la delegazione del Lingotto abbia escluso ogni tipo di collegamento tra il contratto dei dipendenti della nuova newco e quello nazionale dei metalmeccanici. La Fiat punta infatti a un pre-accordo transitorio aziendale totalmente svincolato dal contratto nazionale. Di qui le perplessità di Fim e Uilm. Per il responsabile auto della Fim, Bruno Vitali, la situazione «è complicatissima e si è inceppata»: «abbiamo mantenuto la riserva sul contratto nazionale perché per noi va applicato anche alla joint venture». Della stessa opinione il segretario Uilm Eros Panicali che ha denunciato l’intenzione dell’azienda di fare un contratto Fiat: «Noi non abbiamo interrotto la trattativa, avevamo chiesto alcuni giorni per fare una valutazione complessiva con i lavoratori e la risposta dell’azienda è stata una presa d’atto che non ci sono le condizioni per fare l’investimento». E se per il numero uno della Cgil, Susanna Camusso a questo punto il tema va rovesciato perché «non è più la Fiom che non firma gli accordi ma è la Fiat che non riconosce più il contratto nazionale e vuole uscire da Confindustria», per il segretario della Cisl Raffaele Bonanni, «non vengono certo da noi gli ostacoli e le difficoltà a concludere positivamente la trattativa».

da Europa Quotidiano 04.12.10

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“Mirafiori, è rottura tra Fiat e sindacati”, di Raffaella Polato

«Non esistono le condizioni per raggiungere un’intesa sul piano di rilancio di Mirafiori». Salta tutto, la trattativa è finita (per adesso). Il negoziato che solo il giorno prima era sembrato «questione di ore» — sintesi dell’ottimismo Fim, Uilm, Fismic, Ugl, e insieme dei timori Fiom — naufraga bruscamente sullo scoglio del contratto nazionale. Che la Fiat notoriamente considera «inadeguato». E che però i sindacati — a partire questa volta proprio di Fim e Uilm, che pure a Pomigliano avevano alla fine difeso l’uscita dal «quadro Federmeccanica» — anche al tavolo di contrattazione definiscono «irrinunciabile». Così, tra giovedì notte e ieri mattina, si va alla doppia forzatura.

La prima la tentano i metalmeccanici (tranne Fismic e Ugl), l’altra sera: «Troppo deboli i richiami nazionali». È solo tattica, probabilmente. Ma non va a segno. Provoca anzi la reazione opposta. Forse altrettanto tattica, però molto più dura: se sull’aspetto «politico» del tema c’era stato un minimo di apertura, dal Lingotto, ora al muro si risponde col muro. E arriva la seconda forzatura. Quella dell’azienda, ieri mattina: fermiamoci qui, dice Paolo Rebaudengo dopo una breve riunione «ristretta» con i soli leader torinesi, se il compromesso proposto non va bene lo togliamo semplicemente di mezzo. Ma questo significa, appunto, che «non esistono le condizioni per raggiungere un’intesa».

È l’ora di pranzo, gli uomini Fiat si alzano e se ne vanno. I rappresentanti delle tute blu pure. Preoccupati. E spiazzati (tutti, esclusa la Fiom). I cellulari, caldissimi prima della rottura, diventano roventi. Rebaudengo da Sergio Marchionne (rientrato in serata da Bruxelles) aveva ovviamente già ricevuto l’okay definitivo. Adesso sono i sindacaliFiat-Chrysler, però «nell’ambito di Federmeccanica», il Lingotto si era presentato l’altra sera con questa «concessione»: contratto ad hoc, «specifico» per Mirafiori, e legami con quello nazionale su fondo pensione, inquadramento, provvedimenti disciplinari, ferie, permessi, festività. A Fismic e Ugl sarebbe andata bene. Il «non se ne parla» della Fiom in Fiat era messo in conto. Quello di Fim e Uilm, forse, no. Invece anche loro si «riservano di decidere»: troppo poche, le concessioni, così «si svuota il contratto nazionale», la formula migliore sarebbe un dettagliato contratto aziendale e un «per tutto il resto si fa riferimento a quello nazionale». È a questo punto, però, che passano in secondo piano i «sì» quasi raggiunti su altri punti-chiave, dai turni alle pause. Ieri mattina non si incomincia neppure, a riprenderli. Perché la Fiat di contratto nazionale ora non parla proprio più: dal testo ha tolto qualsiasi accenno.

Provocazione? Non tanto e non solo. E lo dimostrano le reazioni. La Fiom canta vittoria, nel senso che Maurizio Landini vede la conferma della propria linea: l’ha sempre denunciato

Il Corriere della Sera 04.12.10

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“Il contratto nel mirino”, di Luciano Gallino

CHE cosa c’è di tanto ostico nel contratto nazionale dei metalmeccanici del 2008, dal punto di vista della Fiat, da spingerla a interrompere una trattativa in cui si giocano centinaia di milioni di investimento, la produzione di centinaia di migliaia di auto, e l’occupazione di migliaia di lavoratori, pur di non applicarlo più a Mirafiori? Uno ha un bello scorrere il centinaio di articoli che formano il contratto, ma risulta difficile individuare quelli che proprio la Fiat non può accettare. Saranno i diritti sindacali di assemblea, affissione e uso di strumenti informatici?

O le tipologie della prestazione? Oppure la regolamentazione del lavoro a cottimo? O, ancora, si tratterà di questioni legate all´orario di lavoro? Non sembra proprio si tratti di questo o quell´articolo, anche perché i sindacati, Fiom compresa, si sono dichiarati disposti a trattare quasi su tutto. Persino sul passaggio dall´orario di otto ore per cinque giorni a quello di dieci ore per quattro giorni – roba da far barcollare dalla fatica, a fine turno, perfino un trentenne.
Un primo dubbio viene leggendo la premessa del contratto. In essa si parla infatti di funzione primaria, per la gestione delle relazioni di lavoro, del metodo partecipativo, al quale le parti riconoscono un ruolo essenziale nella prevenzione del conflitto. Sin da quando, nel maggio scorso, Fiat presentò il piano per la ristrutturazione di Pomigliano, nel quale l´azienda diceva che se di esso si toccava qualcosa cadeva tutto, apparve evidente che questa primissima parte del contratto nazionale alla Fiat di Sergio Marchionne versione 2010 non andava più bene. Partecipare non significa soltanto ascoltare.
Ma forse il problema, per la Fiat cui pure va riconosciuto di dover fare fronte in questo periodo a serissime difficoltà di produzione e di organizzazione, non è la premessa del contratto. È il contratto stesso. Troppo ingombrante, troppo complicato, troppo lungo, con le sue 136 pagine di testo. La competitività esige che non solo la produzione sia snella, ma lo siano pure i contratti. Meglio se scritti dall´azienda stessa, e prontamente sottoscritti dai sindacati.
Pare una conclusione troppo cruda? Sarebbe semplice smentirla. Riaprendo subito una vera trattativa, che comunque vada sarà durissima per il sindacato. Ma che dovrebbe avere la funzione fondamentale di dimostrare che la Fiat non ha davvero l´intenzione di affossare il contratto nazionale, ma piuttosto di apportarvi qualche modifica che tenga conto delle gravi difficoltà in cui si dibatte. Forse sarebbe ora che l´azienda si decidesse a spiegare quali sono le sue reali difficoltà, in Italia e negli Stati Uniti, piuttosto che presentare piani tipo “prendere o lasciare” dai quali è impossibile capire quali sono le incognite che deve affrontare in termini di modelli, organizzazione globale della componentistica (che fabbrica due terzi delle sue auto), mercati internazionali, costo effettivo del lavoro e della produzione. Finora di tutto questo, nel progetto Fabbrica Italia non si scorge quasi nulla. Se il Lingotto facesse vedere qualcosa in più delle sue carte, forse anche i sindacati sarebbero disposti a concedere qualcosa in più. E magari proporre soluzioni cui qualcuno lassù, ai piani alti, non aveva pensato.

La Repubblica 04.12.10

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“La linea di Marchionne spiazza Bonanni-Angeletti e rompe con Confindustria”, di Paolo Griseri

Confindustria rischia di perdere un associato. Non ci sarebbe da allarmarsi se non si trattasse della Fiat che con la sua sola quota associativa mantiene una parte significativa delle strutture di Federmeccanica. Ma non è una questione contabile. L´uscita del Lingotto dal contratto nazionale dei metalmeccanici è destinata, se verrà realizzata, a mettere in discussione un bel po´ di certezze sui due fronti del lavoro, quello delle imprese e quello dei sindacati.
La scelta dell´azienda torinese di tenere fuori da Confindustria anche la seconda newco dell´era Marchionne (dopo quella di Pomigliano) conferma quel che la Fiom aveva previsto in estate. E infatti ieri Giorgio Airaudo, responsabile auto dei metalmeccanici della Cgil, aveva gioco facile a ricordare: «Quando dicevamo che Pomigliano non era un´eccezione tutti ci criticavano. Oggi anche Fim e Uilm riconoscono che avevamo ragione». E Camusso chiedeva ai colleghi: «E adesso? Cisl e Uil ci spieghino loro quale rapporto ci deve essere tra una grande azienda e il contratto nazionale».
Forse quel rapporto non c´è più. E la linea di Marchionne di fare un contratto valido solo per le newco della Fiat, va al di là del dispetto a Confindustria (dove pure le notizie da Torino hanno provocato ieri parecchia irritazione) o della voglia di avere fabbriche normalizzate senza la Fiom. Prelude a un modello in cui il sindacato entra ed ha agibilità solo se è un sindacato aziendale. Lo schema è quello di Bob King, il potente leader del sindacato Chrysler, l´uomo che ha concordato con Marchionne la rinuncia allo sciopero in cambio del salvataggio della fabbrica e delle pensioni dei suoi ex dipendenti.
Il problema è che in Italia un Bob King non c´è. E che i sindacati italiani hanno una logica opposta a quella dei colleghi negli Usa. Il sindacato italiano è confederale perché ha come obiettivo quello di migliorare le condizioni di chi lavora a prescindere dall´azienda in cui lo fa. Per questo è un sindacato egualitario che segue la logica: a lavoro uguale salario uguale. E per questo il sindacato italiano nasce con i contratti nazionali che stabiliscono le condizioni minime di salario e diritti per tutti coloro che fanno lo stesso lavoro. E´ un sindacato che ha come obiettivo la solidarietà tra lavoratori.
Il modello del sindacato aziendalista è per molti versi opposto. L´obiettivo dei sindacalisti come Bob King è quello di mediare tra gli interessi dei dipendenti che rappresentano e quelli dell´impresa. Non è detto che non sia in certi momenti anche un sindacato conflittuale ma certo non si pone il problema della solidarietà con i lavoratori delle imprese concorrenti. Non è un sindacato che guarda al generale, è un sindacato che vive nel particolare. In Italia l´unica organizzazione che ha caratteristiche simili è il Fismic, l´ex sindacato giallo della Fiat, non a caso l´unico che ieri era pronto a sottoscrivere senza indugi l´accordo con il Lingotto. E non per caso ieri mattina Roberto Di Maulo, il Bob King italiano, dichiarava: «Con la scelta di non firmare per salvare il contratto nazionale, Fim e Uilm si assumono una grave responsabilità».
Perché Marchionne ha scelto una linea che premia solo Il Fismic e l´ala più radicale della Fiom mettendo in difficoltà tutti coloro che stanno in mezzo e in queste settimane hanno tentato una mediazione? Forse perché non ha alternative dovendo spiegare al Tesoro americano che vale la pena investire 500 milioni a Torino in una fabbrica normalizzata e senza conflitti. O forse perché, temevano ieri i vertici nazionali dei sindacati confederali, la Fiat si prepara, dopo lo spin off di gennaio, a cercare acquirenti o soci per le newco. Sapendo che se un´azienda non applica il contratto nazionale italiano può applicare quello di un altro paese europeo. Sembra un paradosso ma c´è già chi teme in futuro un contratto polacco a Pomigliano.

La Repubblica 04.12.10