In un brutto giorno per l´immagine del nostro Paese nel mondo, il Presidente del Consiglio ha incassato tre sfiducie, che lo rendono ormai palesemente inadatto a governare una grande democrazia occidentale.
In Parlamento Fini, Casini, Rutelli e Lombardo hanno portato tutti i loro uomini a firmare una formale mozione di sfiducia nei confronti del governo e dunque a partire da oggi, sommando queste firme con quelle già pronte del Pd e dell´Idv, il ministero Berlusconi non ha più una maggioranza politica.
Ma dalla valanga di WikiLeaks emerge un altro elemento di drammatica e crescente fragilità. È la insistita e costante diffidenza dell´amministrazione americana – espressa nel normale svolgimento del suo lavoro quotidiano riservato e dunque autentica – nei confronti del Premier italiano a causa del suo rapporto pericoloso con Putin. Una relazione che la diplomazia americana sospetta basata su affari inconfessabili e addirittura su tangenti, oltre che su un mimetismo machista e autoritario: e che viene descritta nei dispacci riservati come innaturale per un leader occidentale, dunque politicamente allarmante.
Infine, com´era naturale attendersi, questa serie crescente e patente di anomalie (che Repubblica denuncia da anni, ma che molti scoprono solo oggi, di rimbalzo dall´America) provoca delusione, disagio e inquietudine all´interno dello stesso santuario del potere berlusconiano in disfacimento, da dove escono i racconti ormai rassegnati ed esasperati dell´inner circle del Premier: dall´ossessione per i festini agli scontri con Napolitano, all´uso politico pilotato degli scandali altrui, nel tipico disvelamento che accompagna ogni crepuscolo di regime.
Davanti a queste tre sfiducie il Presidente del Consiglio ha un dovere preciso. Salga dal Capo dello Stato per assumersi per una volta la responsabilità di questo indebolimento del Paese e del suo sistema politico e istituzionale, e annunci subito che si dimetterà un minuto dopo il voto sulla legge di stabilità economica: evitando così di provocare altri danni all´Italia.
La Repubblica 03.12.10