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L’assedio al Palazzo dei 50mila. Berlusconi: «andate a studiare», di Mariagrazia Gerina

Dimissioni, dimissioni», avanza come in un film verso il parlamento blindato il popolo dei ventenni, scesi a migliaia dai tetti degli atenei, dai licei occupati, dalle università in rivolta. Studenti di geologia, di scienze ambientali, di storia, di ingegneria, di matematica. «Assediamo Montecitorio», scandiscono mentre dalla Sapienza e dagli altri atenei romani si riversano in massa per le vie di Roma. Cinquantamila, forse di più: «Se ci bloccano il futuro noi blocchiamo la città», cantano mentre la gente dalle finestre, e persino dalle macchine bloccate, applaude. Davanti, i libri di gomma- piuma a fare da scudo. Giallo, come Gomorra. Verde, come il Satyricon di Petronio. Blu, come la Costituzione. Rossi, come i tagli alla ricerca e all’università scritti a pennarello. Dietro una marea di zainetti e giacche a vento che mentre corre verso il parlamento, in omaggio a Monicelli intona «Brànca-brànca- brànca…leòn-leòn-leòn». «Gli studenti veri sono a casa a studiare, a protestare ci sono solo quelli dei centri sociali e i fuori corso », assicura Berlusconi, da Palazzo Grazioli. I blindati cominciano da lì e cingono in una doppia fortezza Palazzo Chigi, Montecitorio, il senato. «Allora davvero hanno paura di noi?», si domanda spaesata una ragazza mentre cerca di capire che si fa. «Ci eravamo scordati che in questo paese le cose possono cambiare, il governo aspetta di sapere se avrà la fiducia dal parlamento, masiamo noi l’unica sfiducia di cui si dovrebbe preoccupare», scandisce dal megafono Tiziano, 24anni, studente di Scienze Politiche. Il parlamento, dietro la cortina difensiva, sembra un miraggio, irraggiungibile. C’è solo un corridoio, lasciato aperto, a mo’ di suggerimento. È da lì che l’armata studentesca, passando tra i turisti accanto al Pantheon, conquista l’avamposto più vicino all’aula dove nel frattempo hanno cominciato a votare i primi emendamenti. Montecitorio appena si intravede dietro i blindati che sigillano l’accesso alla piazza. È un cul de sac, basterebbe niente per scatenare un massacro. E invece il temutissimo assedio si limita a un lancio fitto di uova, farina, ortaggi, lattine. I tuorli si spiaccicano contro i vetri della polizia. Il grido arriva fino alle finestre di Palazzo Chigi: «Dimissioni, dimissioni ». Alternato a: «Vergogna, vergogna ». Meno di un’ora e il primo blitz è finito. E un olè per il governo che intanto «è andato sotto».

L’ARMATA BRANCALEONE È solo l’inizio di una giornata incredibile. La Camera blindata che vota la riforma dell’università. Efuori, tenuti lontani da un dispiegamento di forze mai visto, cinquantamila studenti, tramortiti dalla pioggia, che continuano a tentare l’assedio. Sempre più simile a un labirinto attorno al Minotauro. Gli studenti non hanno fretta. La prendono larga. Si auto- dirottano sul Lungotevere che si fa deserto al loro passaggio. Ma nel pomeriggio tentano il secondo blitz. Questa volta direttamente da via del Corso. La trovano sbarrata dopo poche centinaia di metri. Il parlamento è ancora molto lontano. I blindati sigillano il passaggio. Parte un nuovo lancio. Stavolta però agli ortaggi e alle lattine qualcuno unisce anche qualche sasso. Qualcun’altro prova a rovesciare il blindato, finché non partono i primi lacrimogeni. E una doppia carica di polizia e carabinieri, con i manganelli in pugno, fa il resto. Bilancio: un carabiniere contuso alla spalla e un manifestante fermato. Un minorenne. «Questa è la loro risposta», grida Marina, laureanda in Filosofia,mentre il corteo, dietro i libri di gomma- piuma, arretra: «Non ci permettono di arrivare a Montecitorio dove si decide sulle nostre teste il nostro futuro, hanno blindato ogni via di accesso, questa è l’unica risposta che sanno darci: vogliono far credere che la crisi di questo governo è solo dentro al palazzo, invece è nelle strade, qui c’è una intera generazione che si ribella contro una precarietà che fa spavento». «Quale futuro su queste macerie », recita lo striscione stretto in pugno mentre il corteo, sotto la pioggia, continua ad arretrare, fino a piazza del Popolo. Si incammina lungo il Muro Torto, paralizzando ancora una volta il traffico, verso l’università.Maè a quel punto, quando sembra battere in ritirata, che l’armata brancaleone ha un nuovo guizzo. «A Termini», grida qualcuno. E gli altri dietro, verso la stazione. Trovano ancora la forza di piombare in corsa tra la folla che si accalca davanti ai treni. In un attimo occupati dieci binari: «Se bloccate il futuro, noi blocchiamo l’eurostar». «Ci scusiamo per i disagi e per i ritardi, causa occupazione dei binari…», annuncia una voce dall’altoparlante. Ogni treno cancellato è un boato. I più giovani vorrebbero restare a oltranza. I più grandi sanno che bisognerà reggere molto più a lungo. «Almeno fino al 14dicembre», scandiscono contando gli ultimi giorni dell’impero. E corrono ad occupare di nuovo le facoltà. «Fermarci adesso? Non credo proprio: il governo sta crollando e saremo noi a dargli l’ultima spallata».

L’Unità 01.12.10

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«Ci bloccano il futuro, blocchiamo l’Eurostar», di Raffaella Troili

I manifestanti: la rabbia è cresciuta, adesso anche i prof sono con noi. Ha una faccia pulita, anche se il suo è un lavoro sporco. «Ci toccano la ricerca, la formazione… Se non protestano gli studenti, chi lo fa? La gente che lavora, che ha famiglia non può fare più di tanto, tocca a noi scendere in piazza». Ma sente la radio, guarda la tv e non si dà pace Stefano, che voleva fare «una manifestazione pacifica» e invece a fine giornata si è trovato a occupare perfino i binari della Stazione Termini. «Se ci facevano entrare a Montecitorio noi ce ne stavamo buoni buoni e i treni sarebbero passati in orario…».
Ha 22 anni, studia Chimica a Tor Vergata, è un contestatore a modo, come tanti vicino a lui. «Ci dispiace per il disagio ai cittadini ma non abbiamo scelta. Perché dobbiamo esser costretti a scappare dall’Italia?».
Per non scappare dall’Italia hanno cercato di farsi sentire tutto il giorno per le strade di Roma. In serata si radunano alla Stazione Termini causando pesanti disagi ai viaggiatori. C’é chi vuole occupare a oltranza e chi tornare nelle facoltà. Alla fine si decide per lo sgombero dei binari. «Ma il 9 blocchiamo la città. Quando il ddl dovrà passare al Senato speriamo che arrivino in forze delegazioni da tutta Italia», sogna Paolo, 24 anni, studente di Archeologia. Non cercavano scontri, un po’ di caos quello sì. Dicono che è l’unico modo per farsi ascoltare. «Me state a fa’ fa’ tardi, però bravi», ha gridato loro qualche automobilista e ne vanno fieri. Si sentono meno soli, anche se avvertono di avere comunque poche chance.
«Le nostre alternative sono la diaspora o la fame. Eppure in noi c’è la volontà di restare in questo paese» aggiunge Andrea, 22 anni, iscritto a Ingegneria. Pacati, lucidi e stanchi, ciondolano per i sotterranei della Stazione Termini borbottando ancora «perché ci hanno negato qualsiasi accesso» e pensando ai colleghi dell’Aquila «siamo solidali con loro, vorremmo che lo fosse anche il Governo». E’ quello con la faccia più cupa Niccolò, 20 anni, studente di Filosofia. «La nostra è una manifestazione ideologica. Unisce le fasce, quelle più deboli, che il Governo Berlusconi ha sempre attaccato: lavoratori, studenti, ricercatori». Intanto i treni per un’ora sono tutti fermi, ad essere occupati sono nove binari. Da una parte le forze dell’ordine: in tenuta anti sommossa sono schierate all’inizio del binario 1. Dall’altra i manifestanti: urlano dai megafoni «è iniziata l’era del conflitto» e «se ci bloccano il futuro noi blocchiamo l’Eurostar». In “mezzo”, un muro di gente si assiepa neanche troppo agitata (dopo una giornata del genere, a che serve?) davanti ai pannelli elettronici. Gli altoparlanti della Stazione annunciano ritardi di treni, 10-20-30 minuti, molti vengono dirottati a Tiburtina e Ostiense, e avvisano i viaggiatori dell’occupazione. Anche Manuel e i suoi amici di Scienze della comunicazione arrivano in ritardo. Restano sulla banchina, ascoltando su Radio popolare l’esito della votazione. «Siamo contro il decreto perché sospende le borse di studio legate al reddito e perché con l’apertura agli esterni dei cda universitari prevede una sorta di privatizzazione a danno dell’indipendenza degli atenei».
Sui binari vuoti si accende un fumogeno giallo, Irene Masala, 24 anni, si guarda intorno, ripensa a tutta la giornata, si tormenta. «Il problema è che nessuno ci ha dato la possibilità di manifestare, di dialogare, di esprimersi. Era tutto blindato, come se volessero spingerci al disordine. Hanno costretto gli studenti a fare qualcosa qui alla Stazione». Francesca Licata la pensa come lei. «Che paura questa città militarizzata. Forse, chissà, si sono accorti che non è la solita vecchia protesta ma che la situazione di disagio sociale è forte. Ma in questo modo non viene garantito il nostro diritto a manifestare, ci costringono a lanciare uova, occupare». Tutto per farsi sentire. Stefano Mazzara, 24 anni, milanese, anche lui di Scienze della comunicazione, vorrebbe mettersi nella testa della gente: «Oltre a pensare che sì, ti ho fatto perdere il treno, pensa anche al perché l’ho fatto». E confida: «La rabbia è cresciuta, anche i prof sono con noi. Questa non è una riforma è solo un taglio: alle borse di studio, ai ricercatori, a tutto ciò che l’università dovrebbe essere».

Il Messaggero 01.12.10