C’era una volta una bella riunione di uomini di buona volontà che decisero di darsi da fare per ridurre il proprio impatto ambientale sul pianeta. Partirono dal clima, che si stava surriscaldando, e stilarono un protocollo, a Kyoto, che non sarà stato un granché, ma almeno pretendeva impegni precisi e imponeva una legislazione dove prima c’era deregulation assoluta. Quegli uomini si sono riuniti tante volte dal 1992 (anno del primo summit per la Terra a Rio de Janeiro) al 2010 (Copenaghen), ma non sono riusciti ancora a mantenere nemmeno una delle loro promesse. Quegli stessi uomini si riuniscono ora a Cancun, in Messico, nel disinteresse generale. Ma c’è da meravigliarsi se l’attenzione dei cittadini e dei media sia spostata altrove?
Quando si grida all’allarme per tanto tempo e poi non si prende nemmeno una decisione coraggiosa e, anzi, si lascia che le cose vadano come sempre o quasi, il minimo è che la credibilità si perda per strada.
Quando il problema è troppo grande noi uomini preferiamo distogliere lo sguardo, impicciati come siamo in meccanismi più concreti e immediati, come resistere alla crisi economica. Ci si mettono poi anche gli scettici, quelli che, raramente in buonafede, seminano dubbi sul fatto che il cambiamento climatico dipenda dalle attività industriali, richiamando in causa balle spaziali come le macchie solari o i raggi cosmici (che, insieme, assommano al 5%, forse, del forcing attuale sul clima). O coloro i quali aggiungono che l’1% degli scienziati che non concordano sulle responsabilità umane possa comunque avere ragione. La cosa è vera, in linea di principio, ma voi a chi dareste retta se nove dottori su dieci vi consigliassero di operare vostro figlio malato e uno no, suggerendo che sarebbe meglio risparmiare visto che siamo in crisi?
I dati attuali sono preoccupanti. L’anidride carbonica in atmosfera è aumentata del 38% rispetto all’epoca pre-industriale (387 ppm), mentre il metano del 158% e il protossido d’azoto del 19%. Tutti questi gas hanno il potere di riscaldare dal basso l’atmosfera e cambiare il clima e dipendono quasi esclusivamente dalle nostre attività. I ricercatori indicano da tempo cosa fare: ridurre subito le emissioni clima-alteranti (che significa ridurre anche quelle inquinanti in generale, particolare non trascurabile) del 60% per sperare in qualche effetto nei prossimi cinquant’anni (se azzerassimo all’istante tutte le emissioni, la temperatura dell’atmosfera continuerebbe ad aumentare per altri 50 anni a causa della grande inerzia del sistema). A Copenaghen, dove si sono solo posti i fondamenti politici, si era deciso, implicitamente, che le emissioni clima-alteranti dovessero essere ridotte di almeno 12 miliardi entro il 2012. Non facendo nulla, infatti, le emissioni globali al 2020 salirebbero a circa 56 miliardi di tonnellate per anno. Ma per mantenere il surriscaldamento globale al di sotto di 2°C (il livello invalicabile deciso a Copenaghen) le emissioni globali non dovrebbero superare i 44 miliardi di tonnellate al 2020, cioè 12 miliardi di tonnellate al 2012. Questo se si vuole stare sicuri.
Ma che cosa sta accadendo in realtà? Che la riduzione massima a livello globale, entro il 2020, sarà attorno a tre miliardi di tonnellate rispetto alla crescita tendenziale esistente. Questo significa che le emissioni globali al 2020 saranno probabilmente di circa 53 miliardi di tonnellate, un valore totalmente incompatibile con l’obiettivo dei 2°C. Anche in questo caso si saprebbe cosa fare: abbassare le emissioni in casa propria e incentivare su quella stessa via, con denaro e tecnologie, i Paesi non sviluppati. Vi pare stia accadendo? E ci vogliamo meravigliare se nessuno si fila il vertice di Cancun?
La Stampa 30.11.10