L’Aquila ha chiamato l’Italia e l’Italia ha risposto, con entusiasmo e con generosità. Sorprendenti le code di tanti cittadini, per firmare la proposta di legge popolare. Una prova tangibile che una tragedia come questa non si può gestire con ordinanze o decreti, ma è necessaria una legge che stanzi risorse concrete, dia certezze sui tempi della ricostruzione e restituisca poteri agli enti locali. Dispiace constatare l’assenza, per la prima volta di alcuni gonfaloni, tra cui quello della Provincia dell’Aquila. Una mancanza di rispetto per i 25mila che hanno sfilato, anche sotto la pioggia battente. Al governo chiediamo di dare risposte alle istanze della popolazione. Non ci accontenteremo di altre vane promesse o di inutili ed estenuanti rinvii, a cui finora siamo stati costretti.
* Responsabile nazionale PD per la ricostruzione
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L’Aquila chiama Italia: in migliaia sotto la pioggia battente per gridare il dolore della città
«Riprendiamoci la città». Uno striscione lungo oltre dieci metri è stato srotolato all’Aquila al passaggio del corteo dal ponte Belvedere, uno dei ponti simbolo della città, alle porte dellazona rossa. Il corteo, che sfila fino a piazza Duomo nel cuore del centro storico, attraversa via XX Settembre, una delle arterie più devastate dal terremoto del 6 aprile 2009. Oltre 13mila persone sotto la pioggia per la mobilitazione “L’Aquila chiama Italia”, molti con caschi da cantiere, per dire «L’Aquila è nostra», per chiedere garanzie per la ricostruzione, per gridare il dolore dei terremotati, di hi ha perso affetti, casa e lavoro. C’è anche un grande striscione in ricordo delle vittime del sisma.
Tra le prime delegazioni arrivate davanti a Piazza d’Armi sono quelle di Terzigno (Napoli) e Boscoreale (Napoli): ad accogliere i manifestanti c’è una lavatrice gigante fatta in cartone con dei panni appesi e uno striscione con la scritta «Basta speculare sui nostri panni». Non mancano le carriole, ormai diventate simbolo della protesta dei terremotati e gli striscioni con le scritte “Macerie di democrazia”.
L’arcivescovo dell’Aquila, Giuseppe Molinari, ha rivolto un appello «a tutti gli aquilani migliori di fare in modo che questa manifestazione di domani sia veramente un grido al Governo, allo Stato, per dire che L’Aquila c’è e ha i suoi problemi, ma esorto tutti a eliminare possibili infiltrazioni e strumentalizzazioni».
In concomitanza con la manifestazione nazionale «Sos: L’Aquila chiama Italia» è partita laraccolta delle 50mila firme necessarie per presentare in Parlamento una proposta di legge di iniziativa popolare per la ricostruzione post-sisma e la messa in sicurezza di tutti i territori italiani, scritta proprio dai cittadini aquilano. Numerosi pullman sono giunti all’Aquila da tutta Italia, per sostenere la causa dei cittadini abruzzesi, che chiedono a tutti di sfilare senza bandiere di partito. Ha firmato anche il vicesegretario del Pd, Enrico Letta, giunto nel capoluogo d’Abruzzo per dare solidarietà alla mobilitazione. «È stato un anno estremamente complicato – ha commentato Letta – con tante promesse da parte del governo, e alla fine i risultati sono stati assolutamente deludenti».
In corteo le delegazioni istituzionali a partire dal Consiglio Comunale dell’Aquila che ha votato l’adesione all’unanimità. Ci sono sindacati, associazioni, l’università e la locale squadra di rugby, rappresentanze di altri Comuni del cratere, anche se i sindaci di sette amministrazioni (Barete, Cagnano Amiterno, Capestrano, Capitignano, Caporciano, Carapelle Calvisio, Poggio Picenze) hanno deciso di rinunciare visto che la manifestazione è stata, a loro dire, «strumentalizzata dal centrosinistra per criticare il Governo». Per il sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente, queste assenze sono «un errore molto grave perchè è una manifestazione che nasce dalla società civile, dal sindaco e dai comitati cittadini e le istituzioni devono stare al loro fianco. È un errore strategico anche per l’immagine che diamo complessivamente».
Sono presenti le segreterie di buona parte dei partiti di opposizione: Pd, Radicali, Sel, Prc, Sinistra critica, Psi, Comunisti italiani e Italia dei Valori.. «L’Aquila ci chiama – ha detto Di Pietro – perché da troppo tempo viene presa in giro, perché è stata cinicamente usata come vetrina propagandistica per una falsa ricostruzione, perché il centro storico e i comuni vicini sono ancora seppelliti da tonnellate e tonnellate di macerie che né Berlusconi né Bertolaso hanno pensato di sgombrare». Questo Governo, ha commentato Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista e Federazione della sinistra, «ha tramutato il terremoto in uno spot, ma dietro lo spot non c’è niente. Pieno sostegno alla proposta di una legge di iniziativa popolare, unica strada per la ricostruzione». Per l’esponente di sinistra la vergogna di questo Governo è anche «i soldi per le grandi opere, per i caccia bombardieri e non per le ditte che stanno lavorando per la ricostruzione aquilana».
Il Sole 24 Ore 20.11.10
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L’Aquila c’è Ma l’Italia dov’è?
Oltre 20mila persone hanno partecipato alla manifestazione organizzata dal Comitato 3.32. Stufi del “catastrofe show”, in attesa di una ricostruzione che non arriva, gli aquilani hanno presentato una legge d’iniziativa popolare
di Sara Picardo
foto di Sara Picardo (immagini di foto di Sara Picardo)
L’Aquila chiama Italia. E l’Italia risponde. Dai No Tav torinesi alle mamme di Terzigno, dai terremotati irpini ai genitori dei piccoli morti dopo il crollo della scuola di San Giuliano Marche. Dalla vicina Capitale alla lontana Sicilia. Oltre 20mila persone sono giunte alla manifestazione organizzata dai cittadini aquilani per ricordare che il capoluogo abruzzese, dal tragico sisma delle ore 3.32 del 6 aprile 2009, è una città morta, abbandonata a se stessa, sotto “macerie di democrazia” appunto, come recita il titolo scelto dai promotori della giornata.
Anche il cielo ha pianto insieme a parenti e amici delle vittime, accompagnando il corteo partito da piazza d’Armi alle 2 del pomeriggio sotto una pioggia battente. Un numeroso spezzone si è allontano dal percorso stabilito, entrando nella zona rossa, nessun ostacolo sul cammino, ai lati un cimitero di palazzi abbandonati, i resti di una città fantasma. Quasi 12mila case totalmente danneggiate nei centri storici per cui non sono ancora cominciati i lavori.
“Il progetto C.A.S.E. accoglie 14.205 persone, non 30mila, come aveva dichiarato ad agosto del 2009 il nostro premier Silvio Berlusconi e da gennaio molto probabilmente dovranno tornare a pagare l’affitto, mentre ci hanno fatto la carità di prorogarci il pagamento delle tasse per altri 6 mesi”, racconta una ragazza del Comitato 3.32, promotore insieme ad altri della manifestazione. Mentre parla indica i negozi chiusi e mezzo crollati lungo la strada. Solo un bar è rimasto aperto.
“Quasi 7mila persone vivono nei Moduli Abitativi Provvisori, 1.410 alloggiano in appartamenti in affitto concordato con la Protezione civile, quasi 3mila vivono ancora in albergo, per lo più anziani. E dei single non si sa più niente. Ormai la gente lascia L’Aquila, non c’è più lavoro né futuro”, le fa eco Angelo, di Epicentro Solidale. “Nessuno vuole più venire qua, ma noi vogliamo restare”.
Sono stufi, non ce la fanno più di passerelle mediatiche, del “catastrofe show” inventato per il pubblico del consenso, di commissari straordinari ‘spreconi’, di ordinanze di Protezione civile in deroga a ogni legge, (ben 40 dall’inizio del sisma) di affaristi e speculatori ridanciani. Per questo gli aquilani hanno presentato una legge di iniziativa popolare, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale il 17 novembre scorso. “Da oggi parte la raccolta delle 50mila firme necessarie per la presentazione del testo in Parlamento. Per questo, adesso, ci serve l’Italia, quella solidale, che ci è stata vicino fin dal primo momento”, commenta Elena, sfollata del progetto Case, che da quel giorno d’aprile non ha più rimesso piede nella sua vecchia abitazione.
“La nostra legge l’abbiamo scritta noi cittadini dopo centinaia di assemblee utilizzando la piattaforma informatica open source e collaborativa “Wiki””, racconta uno studente universitario, che dopo il terremoto non ha ancora una mensa dove mangiare.
“Con questa legge chiediamo che avvenga subito la ricostruzione socio economica del cratere del sisma e che il compito sia affidato, non alle ordinanze di protezione civile, bensì agli Enti locali competenti”, spiega Marco, del comitato dei parenti delle vittime della casa dello studente.
“L’Aquila non è solo una città piena di macerie e dimenticata da tutti – racconta Umberto Trasatti, segretario provinciale della Cgil de L’Aquila – ma anche una città che sta morendo sotto il punto di vista lavorativo. Prima del terremoto, a causa della crisi del comparto informatico, c’erano 850mila cig, ora ce ne sono 7milioni e 250mila, il 736,1% in più!”.
Dietro di lui le lavoratrici e i lavoratori della Vibac: 280 persone in cassintegrazione. Li seguono i lavoratori dell’Abruzzo Engineering: 193 persone che verranno licenziate a gennaio. “Siamo noi che abbiamo lavorato, prima del terremoto, al famoso rapporto dal titolo ‘Censimento per il rischio sismico’ che censiva edifici pubblici a rischio, tra cui la casa delle studente. Nessuno ci ha ascoltato, ora ci licenziano”, dice una donna bionda, con le lacrime agli occhi e una foto appesa al collo. Le sta vicino una dei 50 co.oo.co della Giunta regionale che da gennaio non avrà più un lavoro. “Sono precaria da 10 anni, non ho più una casa, vivo in albergo, la scuola di mia figlia è crollata e dove va ora non ha più una palestra e deve farsi ogni mattina un’ora di provinciale in mezzo al traffico, perché nessuno ha pensato, mentre faceva le C.A.S.E., che doveva fare pure le strade. Che Paese le sto lasciando, mi domando? Per questo voglio che la nostra legge passi, così non succederà più quello che è successo qui da noi, in nessun posto”.
“Ti offro un caffè?”, scherza una signora indicando un palazzo transennato e mezzo distrutto, mentre uno spezzone del corteo passa per la zona rossa del centro. La facciata è crollata, si vede il bagno e la camera da letto. I quadri sono ancora tutti appesi lì.
Quando il corteo arriva davanti al Duomo nessun politico sale sul palco, solo cittadini e istituzioni locali. Un minuto di silenzio per le vittime. Poi partono le penne, sotto il tendone accanto al palco: -59 giorni all’ora X per ottenere ben 50mila firme. L’Aquila chiama Italia. L’Italia risponda.
da Rassegna.it
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