Per il governo la riforma dell’università deve passare, costi quello che costi.
Per il governo la riforma dell’università deve passare, costi quello che costi. Solo che, almeno nella versione licenziata ieri dalla commissione bilancio della Camera, questa riforma non costa nulla. E’ un «provvedimento ordinamentale», il reperimento delle risorse viene affidato alla legge di stabilità che contiene solo 800 milioni per finanziare il fondo ordinario di finanziamento (Ffo), 100 milioni di credito d’imposta a favore della ricerca nelle imprese e altri 100 milioni per il fondo per i prestiti d’onore e le borse di studio. Nessun fondo per i concorsi, come invece era stato annunciato urbi et orbi.
Preso atto del taglio di 276 milioni rispetto ad un fabbisogno di 1,76 miliardi di euro, la commissione Bilancio ha respinto la norma che prevedeva l’assunzione dei professori associati e non ha recepito quella che recuperava il taglio degli scatti stipendiali stabilito dalla manovra estiva. Lo scontro in commissione tra Lega, Pdl, Futuro e Libertà e Pd è stato duro: la mozione Pd che chiedeva di fermare l’iter parlamentare è stata respinta con un voto di scarto. Tutto è stato rimandato a lunedì prossimo quando la riforma Gelmini verrà discussa a Montecitorio e votata entro giovedì 26.
Nel fine settimana, il governo dovrà dunque trovare 70 milioni di euro per rimediare al taglio degli stipendi dei docenti (e soprattutto dei giovani ricercatori) disposto dalla finanziaria estiva di Tremonti e 850 milioni per l’assunzione di 4500 professori associati in tre anni – questo è l’ultimo numero estratto sulla ruota della legge di stabilità – senza i quali Fli proporrà il rinvio del voto a dopo il 10 dicembre. «Secondo me non li trovano – sostiene Fabio Granata (Fli), prima di imbarcarsi su un areo diretto in Sicilia – Abbiamo bisogno di una vera riforma, senza fondi è meglio non farla».
Più che una ricerca, una caccia al tesoro. La fretta di portare in aula una riforma senza copertura finanziaria ha spinto il governo ad eliminare tutte le modifiche al Disegno di legge Gelmini proposte da Pd e Fli. Una decisione che ha costretto entrambi a ripresentare più di trenta emendamenti.
Le possibilità di un nuovo rinvio della riforma per mancanza di fondi, dopo quello di metà ottobre, ha fatto cambiare posizione ai finiani. Dopo che Giuseppe Valditara, già relatore del Ddl al Senato e strenuo difensore del recupero dei tagli agli stipendi, ha ribadito la fiducia al ministro Gelmini, Fli ha capito che sta rischiando grosso. Così anche l’Udc di Casini che si è subito smarcata dall’intesa raggiunta con Gelmini solo due giorni fa: «Se le risorse necessarie non ci sono – conferma Renzo Lusetti – meglio rinviare la discussione».
Il cedimento dell’ultima diga parlamentare a difesa della riforma ha convinto anche Emma Marcegaglia a rompere gli indugi. Da Modena, la presidente di Confindustria si è detta ieri «delusa perchè il maxiemendamento non supporta la ricerca e l’innovazione. Il governo deve investire e non può dire che non ci sono soldì».
A poche ore dal voto, il fronte che ha promosso la riforma rischia nuovamente di rompersi. Per questo il governo cerca di bruciare sul tempo l’approvazione della legge di stabilità al Senato. La maggioranza è divisa su tutto e rischia di scegliere un rimedio che è peggiore del male che vuole evitare. «La verità è che oltre ai problemi economici non ci sono le condizioni politiche per discutere un provvedimento dagli impatti così dirompenti» afferma Manuela Ghizzoni, capogruppo Pd alla commissione cultura della Camera.
Nel frattempo i ricercatori della Rete 29 aprile, insieme ai professori associati del CoNPAss, ai ricercatori precari (Cpu) e agli studenti di Link e Udu chiedono alle opposizioni di ricorrere all’ostruzionismo e di unirsi alle mobilitazioni che durante la prossima settimana convergeranno tutte su Montecitorio. Tutto è pronto per la difesa contro la «malizia o la matta bestialitate» dell’attacco all’istruzione pubblica. Così ieri lo storico Carlo Ginzburg, insignito dal Presidente della Repubblica Napolitano del premio Balzan, ha descritto l’inizio della battaglia.
Il Manifesto 201.11.10