attualità, politica italiana

"Il Cavaliere tenta la riscossa", di Marcello Sorgi

Al di là dell’estemporaneità di certe proposte, come quella di chiedere lo scioglimento della sola Camera, e non anche del Senato, se i deputati dovessero negargli la sfiducia, c’è un aspetto determinante della crisi, che viene negato a dispetto della sua evidenza: Berlusconi non ha affatto deciso di farsi da parte, ed anzi è tornato da Seul deciso a battersi con tutte le sue forze. Per restare al suo posto, o per tornarci a furor di popolo dopo le elezioni.

Non lo sfiora minimamente l’idea di arrendersi al logoramento a cui è sottoposto da settimane, e a cui negli ultimi tempi era sembrato sul punto di soccombere.

Non lo preoccupano, né l’incalzante campagna dei finiani, che ha portato, tra l’altro, nuove defezioni dal Pdl verso il Fli. E neppure la nuova inchiesta dei magistrati milanesi sul giro di escort, forse di droga, e magari ai suoi danni, nelle sue ville e nelle sue residenze. Sulla nascita del terzo polo, la novità politica degli ultimi giorni di cui gli parlano continuamente i suoi collaboratori, si diverte addirittura a scherzare, prendendo in giro i tre grandi leader fondatori stretti in un ambito così piccolo.

Si dirà – e sono in tanti a dirlo – che l’uomo non è più lucido; che la storia ha visto prima di lui tanti altri personaggi avviarsi al tracollo senza rendersene conto; e che in un modo o nell’altro, quando il Parlamento gli imporrà le dimissioni, Berlusconi gioco forza dovrà adattarsi alla realtà. E’ possibile. Ma proprio perché non è sicuro e siamo solo all’inizio della crisi, forse conviene non dare del tutto per scontato un Cavaliere finito e vicino ad arrendersi. Berlusconi, certo, è messo male. Ma ha ancora qualche freccia al suo arco.

La prima l’ha già scoccata con il rifiuto netto delle dimissioni, intimategli da Fini domenica scorsa. Non che il Presidente della Camera si fosse illuso di ottenerle tanto facilmente, ma neppure si aspettava che l’avversario fosse pronto a sfidarlo in Parlamento. In metà del quale, per inciso, Berlusconi è sicuro di vincere, potendo contare al Senato su una maggioranza senza il Fli. E nell’altra metà pensa di poterla giocare, a dispetto dei pronostici negativi nati dalle ultime votazioni sfavorevoli per il governo.

L’uscita sullo scioglimento della sola Camera, da questo punto di vista, non va valutata solo in base alla sua scarsa praticabilità. Ma come inizio di una campagna che in questi giorni, mentre si aspetta il varo della legge di stabilità, sarà condotta a tutti i livelli, porta a porta, singolo deputato per singolo deputato. Qualcosa di più e di diverso dal “calciomercato” tentato confusamente, e fallito, a settembre, in vista della fiducia sui cinque punti. Diversamente da un mese e mezzo fa, Berlusconi giudica più chiara, stavolta, l’alternativa tra sostegno al governo e scioglimento. Ogni deputato incerto, pur di non rimettere in gioco il proprio seggio, dovrà riconoscere che per evitarlo non c’è altra strada che votare la fiducia.

Quanto possa poi tirare avanti un governo che si salverebbe con una maggioranza raccogliticcia, al premier al momento non interessa, essendo persuaso che la sconfitta in aula della sfiducia porterebbe insieme una sua resurrezione e un azzeramento del progetto politico finiano. E’ difficile far capire a Berlusconi, come tentano inutilmente i suoi più stretti collaboratori, che questa non può essere una strategia. Anche perché il premier, con l’intervento morbido fatto all’ultima direzione del Pdl, considera pagati tutti i prezzi richiesti dall’ala più moderata del suo partito. Quella, per intendersi, contraria alla rottura con Fini, che ha preso atto a malincuore della richiesta di dimissioni venuta dal leader del Fli, e alla quale Berlusconi può dire risolutamente che quando c’è la guerra, si prendono le armi e si va alla guerra.

Per lo stesso motivo, al primo no alle dimissioni, Berlusconi si prepara a farne seguire altri due, contro il Berlusconi-bis che considera una trappola, e per il quale si aspetta condizioni inaccettabili, a cominciare dalla riforma della legge elettorale, e contro un altro governo di centrodestra, anche guidato da una persona di sua stretta fiducia come Gianni Letta, e corredato della promessa di un salvacondotto definitivo per i guai giudiziari. Quanto al governo tecnico, da Fini a Vendola, di cui si continua a parlare (ma di cui dubita che Napolitano si farebbe sostenitore), si accomodino, ripete il premier, Pdl e Lega staranno all’opposizione.

Tanta sicurezza, tanta determinazione, nascono da una precisa convinzione: basta stare fermo, per arrivare a elezioni. Berlusconi ci scommette e sostiene che alla fine giocherà a suo favore anche tutto il confuso agitarsi degli avversari: ovunque, in Parlamento, nel Paese e nei programmi televisivi che tutte le sere fanno a gara per ospitarli, diffondendo la sensazione di una sorta di golpe contro il voto di due anni fa che aveva riportato il centrodestra al governo, e creando un legittimo desiderio di rivincita tra gli elettori.

Naturalmente, è possibile che Berlusconi si sbagli, che queste riflessioni con cui è tornato in Italia, dopo i giorni neri di Seul, rappresentino l’ennesimo abbaglio di un leader che ormai da tempo non ci prende più ed è incapace di accettare l’uscita di scena. Se invece, com’è già accaduto, alla fine dovesse aver ragione lui ancora una volta, si può star certi che avremo delle sorprese e ne vedremo di tutti i colori.

La Stampa 15.11.10