Il telegiornale tedesco informa con sobria soddisfazione come Angela Merkel, al G20, abbia trattato da pari a pari con i Grandi del mondo. Poi, dopo alcuni istanti, sullo stesso schermo il panorama muta drasticamente: un amaro servizio dall’Italia parla di Pompei che si sbriciola, metafora della società italiana che si sfalda. L’accostamento mediatico dei due eventi colpisce. Dopo la fase della critica, dello sdegno, del sarcasmo verso il nostro Paese, è rimasto soltanto lo stupore che chiede – invano – spiegazioni. Chi avrebbe immaginato l’abisso che nel giro di pochi anni si sarebbe creato tra Germania e Italia, a livello di opinione e di immagine pubblica? Chi poteva prevedere l’attuale indifferenza reciproca delle classi politiche?
E l’enorme fatica dei rapporti culturali? La stagione dei rapporti costruttivi tra Germania e Italia – al di là delle ovvie differenze -, la stagione politica degli Andreotti e dei Genscher, per citare due testimoni viventi, sembra preistoria.
Conosco le irritate reazioni degli alti funzionari ministeriali a quanto sto dicendo: elencano i comunicati degli incontri bilaterali italo-tedeschi, rituali e sempre più rari. O l’elenco delle manifestazioni di arte e spettacolo. O le cifre degli ottimi rapporti commerciali tra i due Paesi. Certo, gli affari vanno bene e l’arte italiana attira sempre. Ma è nettissima la percezione che si è rotto qualcosa di profondo.
Conosciamo le ragioni storiche oggettive di quanto è accaduto nell’ultimo quindicennio: il mutato equilibrio geopolitico in Europa che ha portato la Germania verso un nuovo ruolo continentale e ha spinto l’Italia alla periferia Sud-europea. L’allargamento dell’Ue, che ha declassato l’Italia tra le nazioni di media rilevanza. Ma dietro queste spinte e fatti oggettivi ci sono uomini e politiche di governo che hanno la loro responsabilità.
Da un lato c’è la Germania della Merkel che sta orientando autorevolmente di fatto la politica europea senza pretendere di comandarla. Dall’altro c’è l’Italia (post) berlusconiana che arranca per non precipitare nel vuoto. Ma non è più soltanto un problema di prestazione economica, bensì di tenuta spirituale (se mi è consentito questo impegnativo termine, diventato obsoleto).
Non è colpa di un solo uomo ma della compartecipazione di una classe politica, di un ceto dirigente e della complicità di una parte consistente della società civile. Ora l’edificio si sta sfaldando?
La metafora di Pompei-Italia, diventata mediaticamente potente, merita di essere presa sul serio.
Mettiamoci nei panni dello spettatore tedesco che guarda con doloroso stupore all’accaduto. Gli viene detto che la colpa è del governo che ha tagliato indiscriminatamente i fondi per il mantenimento del patrimonio artistico; viene messo sotto accusa il ministro dei Beni culturali, che si difende in modo maldestro e patetico; si denuncia la incompetenza delle autorità locali preposte. Ma lo stato d’abbandono e di degrado dell’area di Pompei (messa impietosamente in luce dai media ma da tempo ben nota ai visitatori) mostra un livello di indecenza e di diseducazione civica che va ben oltre la responsabilità dei singoli amministratori. È la metafora della società italiana – indifferenza e inciviltà alla base, incompetenza nell’amministrazione, incapacità della politica.
Da che parte incominciare per invertire la rotta? Dal vertice? Se si cambia un governo rivelatosi incapace, si rimette tutto a posto? L’eccesso di personalizzazione che ha caratterizzato la politica di Berlusconi rischia di trasformarsi in un boomerang di aspettative eccessive per un suo ipotetico allontanamento.
Per questo l’opinione pubblica tedesca è sconcertata. Non riesce a capire che cosa sta succedendo a Roma e si chiede se è davvero pronta una nuova classe politica capace e competente per un dopo-Berlusconi frettolosamente preannunciato. Questa nuova classe politica può uscire dalla composizione attuale del Parlamento? O saranno necessarie nuove elezioni? E se invece tutto si ricompattasse come prima?
Il pubblico tedesco è in attesa. In altri tempi la solidarietà tra le «famiglie politiche» europee – democristiana, socialista e anche verde – avrebbe portato spontaneamente a forme di consultazione e sostegno reciproco. Ora non è più così. Gli italiani sono soli. E sotto scettica osservazione.
La Stampa 14.11.10