Finocchiaro: «L’allarme deve essere alto, Berlusconi non conosce limiti». Franceschini: «I sistemi autoritari sono più pericolosi quando arriva la fine». Dal Colle nuovo richiamo alle priorità: fare la finanziaria, e poi toccherà alle mozioni e alla crisi
Ma preoccupa l’agitarsi del premier: «La sua lettera alle Camere è un tentativo disperato». «Vigilanza democratica», scandiscono in coro Dario Franceschini e Anna Finocchiaro. «Anche se queste parole non si dovrebbero pronunciare in una grande democrazia occidentale», spiega la capogruppo Pd al Senato. Però il momento è grave. «Il livello di allarme deve essere alto, Berlusconi ci ha abituati a qualsiasi stravolgimento delle regole e ad una spregiudicatezza senza limiti». Franceschini è sulla stessa linea: «Tutti i sistemi con qualche venatura autoritaria diventano più pericolosi quando si avviano alla fine».
Passano poche ore e i timori, già alimentati nei giorni scorsi dalle parole del premier da Seul sulla «guerra civile» da scatenare contro un eventuale ribaltone, trovano un’ulteriore conferma, quando Berlusconi annuncia la sua personale road map parlamentare: una lettera ai presidenti delle Camere per forzare le tappe della crisi, e ottenere la fiducia dal Senato prima della sfiducia a Montecitorio.
Un modo chiaro per mettere il Colle davanti al fatto compiuto, e «provare a forzare la mano per il voto anticipato, impedendo la nascita di un governo diverso dal suo», come spiega Maurizio Migliavacca. «Solo chi è nemico dell’Italia può pensare al voto anticipato in questa situazione economica», denuncia Veltroni. E Franceschini: «La lettera del premier è un tentativo disperato e tardivo di evitare la mozione di sfiducia alla Camera, e una grave scorrettezza istituzionale. Non si è mai visto che il presidente del Consiglio, di fronte a una mozione di sfiducia formalmente depositata in una Camera, possa decidere di andare a chiedere la fiducia in un’altra».
IL TIMING DEL QUIRINALE
Un percorso a ostacoli, dunque. Un tramonto berlusconiano che rischia di essere pieno di colpi di coda, persino di macerie. L’unico punto fermo sembrano i tempi. Ieri la moral suasion del Colle ha convinto tutti i protagonisti dello scontro, da Berlusconi e Bersani, a rinviare le ostilità, e la guerra delle mozioni, a dopo la Finanziaria. Nel tardo pomeriggio è arrivata una nota ufficiosa del Quirinale, che plaude alla convergenza delle forze politiche «sulla necessità di dare la precedenza alla necessaria approvazione della legge di stabilità e del bilancio in entrambi i rami del parlamento, per affrontare subito dopo la crisi politica». Esattamente come avvenne nel 1994, fanno notare dal Colle, quando il primo governo Berlusconi entrò in crisi solo dopo l’approvazione della manovra.
Con un timing deciso d’intesa dal Capo dello Stato e dai presidenti delle Camere. L’intervento del Quirinale toglie di scena un rischio: e cioè che Berlusconi ottenesse un voto di fiducia al Senato già nei prossimi giorni, mentre la Camera sarà impegnata sulla Finanziaria. Ora l’orologio della crisi si sposta in avanti, almeno a metà dicembre.
LA “VIGILANZA” DEL PD
Un percorso lungo. E i rischi sui colpi di coda del Caimano restano tutti. L’adunata di piazza, annunciata giovedì dal premier, non spaventa più di tanto il Pd. Ma la mossa della fiducia in Senato sì. «Mi appello alla terzietà istituzionale del presidente del Senato», dice la Finocchiaro. «Quella mozione è un atto ultimo di disperazione, tutto sta crollando e loro vogliono ancora ballare il valzer sul ponte della nave, mostrando un disinteresse intollerabile per il Paese». «Non mi illudo», confida la capogruppo Pd. «Per un uomo così spregiudicato e disperato, temo che neppure l’autorevolezza del Quirinale possa rappresentare davvero un limite». «Non si comporterà come un leader che ha a cuore il suo Paese, userà tutti gli arsenali di fuoco di cui dispone», avverte Pierluigi Castagnetti. Per questo i democratici vogliono «fare in fretta». Il Pd è pronto a utilizzare i gazebo già previsti da ieri e per tutti i weekend di novembre per impugnare la Costituzione. «Difenderemo le sue regole e i suoi equilibri in centinaia di piazze», dice la Finocchiaro. Fino alla manifestazione di San Giovanni l’11 dicembre. «C’è il rischio di un finale “alla Caimano”, Berlusconi è disposto a tutto per di non mollare la preda», rincara Rosy Bindi. «Per lui non finisce solo un governo, ma un’intera stagione politica e sappiamo bene quali sono i suoi timori una volta uscito da palazzo Chigi. Confido sul senso di responsabilità di tutte le altre forze politiche, e spero che anche la Lega prenderà le distanze». I rischi non mancano. «Ma non possiamo rinunciare a muoverci per paura che lui scateni il caos», chiude la Bindi. «È un rischio che dobbiamo correre».
l’Unità 14.11.10
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Pierluigi Bersani: L’alternativa: «Non si fa senza il Pd. Senza di noi ci si tiene Berlusconi. «Niente melina, sfiducia dopo la legge di stabilità», di Simone Collini
«Quello che andremo a dire noi al Quirinale si sa». Pier Luigi Bersani sembra dare per scontato che entro breve si apriranno le consultazioni al Colle (e di fronte a Giorgio Napolitano il segretario del Pd sosterrà la necessità di dar vita a un governo di transizione che in un anno circa approvi una nuova legge elettorale, una riforma fiscale e una serie di
misure per l’occupazione giovanile). Ma dà altrettanto per scontato che ora Berlusconi tenterà «colpi di coda» di ogni tipo, anche piegando le regole istituzionali a suo uso e consumo, «dando pericolosi scossoni ai pilastri costituzionali».
COMBATTIMENTO E NIENTE MELINA
Ecco perché incontrando militanti e simpatizzanti del Pd in un quartiere popolare romano, affiancato dal presidente della Provincia Nicola Zingaretti, avverte: «Ci aspettano settimane di combattimento». Quante? Per Bersani non dovranno essere più di due, massimo tre, perché da questa «palude» bisogna uscire in fretta. «Noi abbiamo presentato la mozione di sfiducia. Ora qualcuno ci dice: “Volete far saltare in aria la Finanzia-
ria?”. No, no… Siamo dispostissimi a far votare la sfiducia in Parlamento dopo l’approvazione della legge di stabilità. A condizione, però, che la destra non faccia melina sulla legge di stabilità».
Al leader del Pd non piace né il «balletto» dell’idea di sciogliere solo una delle due Camere né il tentativo di Berlusconi di far passare la crisi prima per il Senato e poi per la Camera. «Berlusconi deve andare a casa perché è un tappo micidiale per il Paese.
Di case ne ha… scelga lui. Magari la più lontana». Se ci scherza anche su è perché forse qualche segnale in più di ottimismo Bersani inizia a vederlo: «Siamo arrivati a un punto in cui è veramente possibile che Berlusconi vada a casa», dice. «E non pensino d’inventarsi un’uscita dalla crisi interna al centrodestra dice facendo riferimento all’ipotesi di un esecutivo guidato da Tremonti, Alfano o altri esponenti vicini al premier la crisi è di Berlusconi e del centrodestra, la soluzione non può venir da lì».
IL PORTA A PORTA
L’obiettivo del Pd rimane il governo di transizione, ma il clima sa già tanto di campagna elettorale. «Dobbiamo rimettere la politica nelle mani dei cittadini», dice Bersani inaugurando un porta a porta nel vero senso della parola, nel senso che dopo un breve comizio nel cortile di un condominio a Pietralata si infila in un portone e suona campanelli, entra in un paio di case a parlare di lavoro, tasse, scuola dei figli, accettando bicchieri d’acqua e caffè, firma autografi ai bambini che lo bloccano nell’androne («aho mi’ madre la stima troppo»), risponde con un sorriso alle signore che si offrono di cucinare «du’ spaghetti» o che gli dicono che «è più bello che in tv», stringe mani a vecchietti che qui sono la minoranza ma tanto poi passa al centro anziani “1 ̊ maggio” e balla “Romagna mia” con l’ottantacinquenne Annarella, poi va a fare un brindisi al circolo del Pd “14 ottobre” («qui prima c’era una chiesa», gli spiega un dirigente con orgoglio) che è la data delle primarie che incoronarono Walter Veltroni segretario e sancirono la nascita del Pd, un nome scelto dopo un referendum tra gli iscritti ma poi non c’è stata troppa discussione sul fatto che sui muri dovesse rimanere la foto di Antonio Gramsci e una riproduzione del “Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo.
A SAN GIOVANNI
Un pomeriggio a stringere mani e distribuire volantini con le proposte programmatiche del Pd sui temi del lavoro, la scuola, il fisco, l’immigrazione, l’ambiente. E che si ripeterà
nei prossimi fine settimana del mese, per creare il massimo della mobilitazione e poi arrivare alla manifestazione nazionale dell’11 dicembre. Dice Bersani: «Avevamo pensato ad altre soluzioni, ma il clima che si respira in tutta Italia ci ha convinto a prendere questa decisione: andremo a San Giovanni». Una scelta che effettivamente non era scontata, visto che la Cgil ha fatto sapere che spenderà tutte le proprie energie e risorse per la sua manifestazione del 27 novembre e visto che all’appello per farne un’iniziativa unitaria di Sinistra e libertà, Verdi e Federazione della sinistra, Bersani ha risposto che «sarà aperta a tutti, ma si farà sulla piattaforma del Pd» (cosa che non è andata giù a Nichi Vendola e soci).
SENZA PD RIMANE BERLUSCONI
Bersani in questa fase vuole infatti giocare anche la carta dell’orgoglio. «Deve essere chiaro a tutti che senza
il Pd l’alternativa non si fa, senza di noi ci si tiene Berlusconi». Un modo per chiedere «rispetto» e per dire al leader dell’Idv Antonio Di Pietro e a tutti quelli che «fanno le pulci» al modo di fare opposizione da parte dei Democratici che «è ora di finirla con le punzecchiature». Anche perché Bersani ci tiene a rivendicare il ruolo svolto dal suo partito per arrivare a questo punto. «Abbiamo lavorato per allargare le contraddizioni dentro il centrodestra», dice. E a questo punto nel suo entourage non si fa neanche più mistero del fatto che è da maggio che si è avviato un dialogo pressoché costante con Gianfranco Fini.
RAPPORTO COL TERZO POLO
Vuol dire che nel Pd stanno tranquilli sul rapporto che si instaurerà con Udc e Fli? Non proprio. Se nelle ultime ore sono stati cancellati i sospetti di un doppio gioco da parte di Fini e Casini, non è fugato il timore che in caso di voto anticipato il cosiddetto Terzo polo vada da solo. Il che renderebbe molto più complicato vincere alla Camera. Per questo il capogruppo alla Camera Dario Franceschini dice che «il Pd deve confrontarsi con questa forza sui contenuti» e il capodelegazione al Parlamento europeo David Sassoli sottolinea la necessità di «costruire un’alleanza stabile fra il centrosinistra e il Terzo polo per ricostruire il Paese».
L’Unità 14.11.10