I fatti di questi giorni, anzi di queste ore, invitano a tornare nuovamente sulle parole pronunciate giorni fa da Marchionne in tv. Perché dietro a quelle parole non c’era “solo” il futuro della Fiat, ma anche il destino della politica industriale e i rischi a cui questo governo sta inutilmente esponendo l’intero paese.
Andiamo con ordine. Sergio Marchionne, quando ha accusato gli stabilimenti italiani del gruppo – e quindi i lavoratori – di essere poco produttivi e per nulla redditizi, ha mostrato di avere poca memoria. Si è infatti dimenticato che i risultati conseguiti dal Lingotto nel mondo, Brasile in primis, sono il frutto, specie nel campo dei motori, di una tecnologia all’avanguardia che è in tutto e per tutto Made in Italy. Cioè frutto dell’intelligenza e del lavoro di progettisti, tecnici e operai italiani.
Ha poi dimenticato che se i bilanci sorridono e gli azionisti brindano agli utili – nonostante la gravissima crisi che stiamo attraversando – lo si deve anche ai sacrifici che in questi ultimi anni hanno dovuto sopportare i lavoratori italiani, costretti a lunghi periodi di cassa integrazione con conseguente decurtazione del reddito.
Nel mercato globale la sfida della competitività è continua. Chi oggi ha i conti in ordine domani può ritrovarsi coi bilanci in rosso e viceversa. Proprio per questo, però, non può essere condivisa una logica che allude a un potenziale taglio di rami secchi basato unicamente su un risultato di conto economico.
Noi siamo per accettare la sfida che Marchionne ha lanciato col piano industriale 2010–2014, ma non alle sue condizioni. Siamo perché il progetto di «Fabbrica Italia», annunciato in aprile in uno squillar di fanfare, finalmente decolli. Non condividiamo però la filosofia che sembra sottendere. Le imprese devono fare profitti per avere un futuro,ma hanno anche una responsabilità sociale. Mentre la realtà ci dice che molti di quegli stabilimenti italiani da cui si pretendono utili sono praticamente fermi.
Il problema però non sono solo le affermazioni di Marchionne. Mentre la Fiat si internazionalizza e guarda sempre più all’America, il governo dorme. Tutti i paesi industrialmente avanzati si sono dotati, per i propri settori strategici, di politiche industriali in grado di sostenere innovazione e ricerca. Noi no. Berlusconi e i suoi ministri, su questo fronte, continuano a non dare segni di vita. Al contrario, e come se non bastasse, Sacconi annuncia lo Statuto dei Lavori, che rappresenta il compimento del disegno controriformatore del governo sui temi del lavoro.
Il Pd continuerà a incalzare il governo perché sostenga, con incentivi mirati, lo sviluppo di quelle tecnologiem che sono state finora alla base dei successi dell’industria italiana. Dopo la cura dei tagli, è ora di passare, nei fatti, agli investimenti e a una nuova politica industriale.
L’Unità 13.11.10