L’incontro tra Bossi e Fini non ha sortito alcun esito: siamo di fronte al declino di un leader, all’agonia di un governo. Il Pd compie un atto di responsabilità presentando una mozione di sfiducia per provocare più rapidamente possibile, approvata la Legge di Stabilità, la crisi formale di questo esecutivo il cui “non fare”, il cui “mal fare” sta producendo danni irreparabili. Le ragioni di questo tracollo non sono nelle inimicizie personali: l’emendamento presentato in queste ore dal governo alla Legge di Stabilità è, nel suo piccolo (appena cinque miliardi!), lo specchio della politica adottata in questi due anni dal centrodestra. Berlusconi ha fallito la prova del governo, resa più complessa dalla crisi economica nellaquale l’Italia avrebbe dovuto affrontare con serietà e ambizione punti di debolezza antichi: bassa crescita, alto debito pubblico, arretratezza infrastrutturale, inefficienza del sistema pubblico, bassa produttività.
Il governo non ha voluto né saputo creare le condizioni per un nuovo “patto sociale” tra imprese e lavoratori, per un nuovo “patto istituzionale” tra Stato centrale, Regioni ed Enti Locali, per un confronto civile e costruttivo tra maggioranza e opposizione. La crisi ha fatto da detonatore per il vaso incrinato del “berlusconismo”. Intendiamoci, il “berlusconismo” è stato una cosa seria: ha interpretato una crescente spinta alla personalizzazione della politica, usato in maniera moderna la potenza dei mezzi di comunicazione per “plasmare” l’opinione pubblica, utilizzato a manbassa le paure prodotte dalla globalizzazione proponendo un impasto originale di liberismo, statalismo e populismo che è riuscito a influenzare per una lunga fase la vita politica del Paese. Ma oggi il corpo del leader, come scrive intelligentemente Calise nel suo Il partito personale, è divenuto un ostacolo insormontabile.
Il populismo è servito alla destra ancora due anni e mezzo fa per ottenere consenso elettorale ma non è servito e non può servire per governare facendo le scelte necessarie a far ripartire il Paese. Questo dato va oltre i demeriti della destra, dovremo tornarci a riflettere come Pd: la richiesta fortissima che viene dai cittadini di una riforma della politica non può essere interpretata dai progressisti attraverso scorciatoie plebiscitarie e populiste perché alla prova dei fatti e dei problemi
reali dell’Italia (e del mondo si potrebbe dire!) queste soluzioni non consentono di governare. Sabato scorso due platee diverse, l’assemblea dei circoli a Romae la convention di Renzi a Firenze, hanno mostrato una grande vitalità della base del Pd e una ricchezza che molti sottovalutano. Mai come in questo momento l’obiettivo che il gruppo dirigente del Pd – tutto –
dovrebbe porsi è quello di unire fisicamente e politicamente quelle due platee, motivarle perché l’11 dicembre sia una grande giornata, per parlare all’Italia spaesata di oggi e indicare una strada alternativa
L’Unità 12.11.10