Signor Presidente, un autorevole esponente del suo Governo ha detto: la cultura non si mangia. È vero, la cultura non si mangia: la cultura si respira, è come l’aria e dalla qualità di quest’aria dipende la qualità della vita di un Paese, anche di coloro che non hanno mai messo piede a Pompei e non hanno visto le meraviglie di quel luogo. È la qualità di quest’aria che rende al nostro Paese la possibilità di essere ciò che esso storicamente è stato. È la qualità di quest’aria che fa l’identità italiana e che sancisce la nostra unicità.
Signor Ministro, prima, nella sua esposizione, ha affermato che esiste una storica sottovalutazione da parte delle classi dirigenti del tema relativo alla cultura. Posso risponderle come si dice nella mia città: «Parli per lei». Infatti, in tempi duri e difficili, quando doveva essere realizzata la manovra per l’Europa e il Ministro Ciampi e il Presidente del Consiglio Prodi chiesero al Paese un sacrificio di 30 miliardi di euro, le spese per la cultura raddoppiarono: si passò, infatti, da 900 milioni a 2 miliardi di euro. I Governi di centrosinistra, nel corso degli anni, anche successivi ai primi due della loro esperienza, aumentarono le spese per la cultura.
Perché quella per la cultura è una spesa che è investimento, che è anticiclica, produce occupazione, genera turismo, produce una ricchezza diffusa sui territori dell’immenso, e diffuso in tutto il Paese, patrimonio artistico e culturale.
Pompei è il gioiello di tutto questo. Uno dei tanti gioielli di un Paese che, per fortuna, ha visto nel corso di questi anni crescere l’attività di restauro. Tanti beni – penso a Venaria Reale e a tanti altri – sono tornati a essere fruibili grazie al fatto che c’è stato, in questo Paese, chi ha ritenuto che questa fosse una priorità, che la cultura si respirasse e che poi non si mangiasse, ma potesse anche dare da mangiare.
Per Pompei, come lei sa, nel 1997 approvammo una legge, che il suo collega Malgieri giudicò un felice passo in avanti. Una legge che stabilì alcune novità. La prima era quella di consentire alla sovrintendenza di incassare direttamente le risorse disponibili e che fece passare da 4 milioni annui a 20 milioni di euro gli incassi disponibili per Pompei; introdusse una figura di manager che si affiancava al sovrintendente, al quale restava la sovranità scientifica della definizione degli interventi; fu approvato un piano programma che praticamente triplicò il numero delle aree messe in sicurezza.
Cosa è successo dopo? Dopo è successo che si sono ridotti i fondi e che è saltata la governance: 30 milioni di euro sono saltati nel 2006, 40 milioni nel 2008. Nei due anni in cui lei è Ministro ci sono stati tre sovrintendenti, due dei quali ad interim; e poi, non manager culturali, ma un prefetto in pensione; e poi, la protezione civile chiamata anche ad esercitare un ruolo all’interno di Pompei, uno dei luoghi culturali fondamentali del Paese.
Non è vero che non fosse annunciato quello che è accaduto. A gennaio di quest’anno il muro della «casa dei casti amanti», a 100 metri dalla «casa dei gladiatori», è crollato; poche settimane fa il «vicolo di Ifigenia», che costeggia ad est la «casa dei gladiatori», ha subìto un crollo.
La verità è che non si è fatto e non si fa quanto si deve per il restauro, perché si è spostato tutto sulla cultura della valorizzazione, che pure è una cultura necessaria e che io, per primo, considero essere la seconda parte di un progetto culturale, e i soldi per i restauri, la percentuale di investimenti per i restauri si è ridotta al 25 per cento.
Il crollo di Pompei ha fatto il giro del mondo, e lei oggi ci ha detto che va tutto bene, che tutto è stato fatto perfettamente e che anzi ci sono risultati mirabili, salvo poi dirci che sono previsti altri crolli. Una frase che non può che gettare tutto il Paese e la comunità internazionale – è di ieri l’appello dell’Unione europea – in una condizione di assoluta preoccupazione.
Quel crollo racconta come una metafora lo sfarinamento del nostro Paese. E anche la sua trasformazione: crolla Pompei e si immagina di fare una gara di «Formula uno» nel cuore della città di Roma.
Vede, questa vicenda non è qui in quest’Aula, e noi non siamo a chiederle un atto di responsabilità per un episodio specifico. Lei ha ragione: ci sono stati in tante circostanze – lo può dire chi ha governato – momenti nei quali si viene chiamati a rispondere anche di cose di cui non si ha responsabilità immediata e diretta. No, le si chiede un atto di responsabilità per lo stato di abbandono della cultura italiana: il cinema, la lirica, il patrimonio culturale, la serrata dei musei, la riduzione permanente e costante dei fondi (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).
Signor Ministro, in quattro anni i fondi del suo Ministero passeranno, per leggi da lei votate e da lei sostenute, da 1.718 milioni di euro a 1.417 milioni di euro, con buona pace della tutela del patrimonio.
Concludo dicendo questo: noi le chiediamo le dimissioni per tutto questo, non per una circostanza specifica.
Credo che tutti voi sappiate, perché siete persone responsabili, che si è chiuso un ciclo. Si dice che bisogna spegnere la luce: la luce è già spenta e c’è un buio fitto. Cerchiamo di fare in modo che questo Paese possa uscire da questo tunnel (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).
(qui) l’intervento del Ministro Bondi