Forse gli occhiali da vista. Oppure i capelli a mezza lunghezza. Il poco trucco, la sobrietà che un primato può imporre. Non è facile cogliere cosa accomuna, almeno a un primo sguardo, tutte le “prime donne” italiane. Non le dive dell’opera, né tantomeno quelle figure professionalmente eccellenti ma anche umanamente antipatiche che l’espressione evoca. No, sono le donne che “per prime” sono entrate in mondi riservati agli uomini, scardinando la monorappresentatività e spesso anche la monotonia di luoghi e istituzioni, e che per prime si sono beccate conseguenti sguardi di curiosità e spesso anche di sarcasmo. Ma comunque le prime.
Susanna Camusso, nuova leader della Cgil, è l’ultima di queste “prime”: se non consideriamo il nuovo nome dato dal Patto di Roma del ’44, il più importante sindacato italiano esiste dal 1906. Centoquattro anni, animati spesso dalle donne. Eppure, lei è la prima a diventare “segretario”. Un titolo per il quale si pone un dilemma: a essere politically correct si dovrebbe dire “segretaria”, ma non si fa perché forse si rischierebbe di affondare un titolo di eccellenza in un’atmosfera di scrivanie e unghie da smaltare fra una telefonata e l’altra. Per evitare equivoci, ecco che anche per la prima donna leader della centenaria Confindustria, Emma Marcegaglia, si è mantenuto il titolo di “presidente”, come per Federica Guidi, a capo dei Giovani di Confindustria, che però è la terza a ricoprire questa carica.
In ogni caso, l’Italia ha dovuto aspettare gli anni ’70 per iniziare a vedere le donne entrare nelle istituzioni più importanti: per la presidenza della Camera dei Deputati si è dovuto aspettare il 1979 con Nilde Iotti, con il suo chignon morbido come la sua voce e il suo sguardo ricco di saggezza politica. Tutta un’altra cosa dalla spigolosità acerba della giovane Irene Pivetti, che quando divenne la seconda donna a guidare la Camera nel 1994 aveva appena 31 anni e dei foulard dai toni più che sobri.
Ancora prima della Dc Tina Anselmi, che nel 1976 fu la prima donna ministro della Repubblica italiana, (e che ministero: quello del Lavoro, in quegli anni), fu un’altra democratica cristiana, Angela Cingolani, che aveva già partecipato all’assemblea costituente, a ottenere nel 1951 da Alcide De Gasperi il primissimo ruolo in un governo: quello di sottosegretario per l’artigianato al Ministero dell’Industria e del commercio. Con lei nell’assemblea costituente c’era anche la prima donna a entrare in Senato, la padovana Lina Merlin, che però divenne più famosa per la legge 75/1958, quella che aboliva la prostituzione legale in Italia, e per aver decretato la scomparsa della dicitura “figlio di N.N.” dai documenti.
Socialista appassionata, come Ada Natali, primo sindaco d’Italia a Massa Fermana, nelle Marche, figlia a sua volta di un sindaco e che nel 1948 fu l’unica donna della delegazione del neonato parlamento della Repubblica italiana a partecipare al viaggio diplomatico a Mosca. Si era anche laureata in giurisprudenza in anni in cui poco più dello 0,1% dell’intera popolazione italiana aveva mai messo piede in un’università. La prima donna dell’Italia unita a laurearsi fu Ernestina Paper, nata Puritz-Manasse, a Firenze, nel 1877, con una tesi in medicina guardacaso sulla salute delle donne.
Nella Chiesa della solitudine della sua Nuoro è sepolta Grazia Deledda, che con un’istruzione ferma alla quarta elementare nel 1926 fu la prima donna italiana a ricevere un premio Nobel, per la letteratura: «Per i suoi scritti idealisticamente ispirati nei quali con chiarezza plastica dipinge la vita della sua isola nativa e con profondità ed empatia si occupa dei problemi umani», scrissero gli accademici di Stoccolma nella motivazione del premio. Nel 1977, invece, fu l’italiana Lina Wertmüller la prima donna a essere stata mai candidata dagli Academy Awards al premio Oscar per la migliore regia. “Pasqualino Settebellezze” non vinse. Ma con i suoi occhiali da vista – bianchi – Lina il suo primato lo aveva avuto lo stesso.
Il Sole 24 Ore 07.11.10