C’è un felice paradosso in quello che è accaduto ieri al Partito democratico. A Roma si sono riuniti i segretari dei circoli, duemila persone – per la maggior parte giovani (l’80 per cento ha meno di quarant’anni) – e il segretario Pier Luigi Bersani ha annunciato che, dopo il porta a porta, i democratici scenderanno in piazza l’11 dicembre. Dopo essersi “rimboccati le maniche” si sporcheranno le mani. A Firenze altrettante persone si sono incontrate per ragionare attorno al futuro del partito e dell’Italia. Se quell’assemblea non fosse stata inizialmente identificata con un aggettivo infelice – “rottamatori” – probabilmente la platea romana non avrebbe salutato con i fischi il nome di Renzi. Il quale, e gliene va dato atto, da Firenze ha risposto con un rasserenante applauso. Crediamo che i fischi e gli applausi individuino stati d’animo presenti in tutte le anime del Pd, a Firenze come a Roma, in tutta Italia: il fastidio per le divisioni causate da personalismi o tentazioni correntizie (i fischi) e la volontà di affrontare con determinazione e orgoglio i giorni che ci aspettano (gli applausi).
Sono mesi che, quando si parla di Partito democratico, i termini più usati sono “divisione”, “stanchezza”, “inadeguatezza”. E la concomitanza delle due manifestazioni sembrava quasi sancire questa condizione di infinita ricerca di un’identità comune. Il felice paradosso sta in questo. Che, al netto delle polemiche della vigilia, al netto dei fischi e degli applausi, ieri il Partito democratico ha avuto una riconferma plebiscitaria (a Firenze e a Roma) delle sue ragioni e del suo ruolo. Bersani ha parlato di “orgoglio”. Ci sono molte ragioni per provarlo. Migliaia di persone che ragionano democraticamente del futuro del Paese. Che si preparano a incontrarlo per illustrare una proposta di cambiamento. E che ambiscono a governarlo, a diventare la prima delle forze politiche. «Basta con gli autolesionismi» è un appello che richiama uno dei motti più amari della sinistra di questi anni. «Continuiamo così, facciamoci del male», diceva Moretti.
I processi democratici sono lunghi e complessi, punteggiati di errori e di contraddizioni, di entusiasmi e di disillusioni. Non sono illuminati dalle luci soffuse dei predellini e dei palchi di cartapesta. I processi democratici sono fatti di fatica e di complessa condivisione, ma quando partono muovono milioni di uomini ed è molto difficile fermarli. No, non siamo all’ennesima “ripartenza”. La “partenza” è avvenuta molti anni fa quando fu scritta la Costituzione che oggi i democratici sono impegnati a difendere. È andata avanti nella ricostruzione, negli anni del centrosinistra, nelle conquiste sindacali, nella lotta al terrorismo. È andata avanti – con i successi e le sconfitte, le contraddizioni e gli entusiasmi – fino a oggi. L’orgoglio è questo: poter guardare il futuro con la consapevolezza di aver radici lunghe e sane. E con la lucidità di chi sa riconoscere i momenti cruciali, quelli della battaglia. In questi momenti (ce ne sono stati tanti nella nostra storia) gli obiettivi si chiariscono: sono vitali. Democrazia, lavoro e solidarietà: la base della convivenza civile, bisogna difenderli. Il berlusconismo – la sua indecenza costituzionale – quando finirà, perché finirà, avrà lasciato un terreno avvelenato. Servirà tempo per bonificarlo, dopo Berlusconi. Molto tempo e molto lavoro da parte di molti. Ci sarà posto per tutti.
L’Unità 07.11.10