A meno di due anni dall’approvazione del piano Bertolaso che avrebbe dovuto risolvere definitivamente l’emergenza rifiuti in Campania è scoppiata una nuova crisi. Perché? Non sono state individuate soluzioni condivise sulla localizzazione degli impianti. La realizzazione dei tre inceneritori e delle dieci discariche previste è in forte ritardo. I politici locali hanno interesse a cavalcare il malcontento dei loro elettori. Ora anche il presidente del Consiglio ha sconfessato il piano originario. Prevedibile che l’emergenza rifiuti si ripresenti entro breve tempo.
A meno di due anni dalla dichiarazione di fine emergenza, Napoli e l’area metropolitana sono di nuovo invase dai rifiuti: come è potuto accadere, e soprattutto perché?
Nel 2008 l’emergenza rifiuti a Napoli e in Campania aveva raggiunto il suo culmine, ma in realtà altre fasi di crisi c’erano state sul finire degli anni Novanta e nel 2002-2003, per poi acuirsi di nuovo a partire dal 2006.
IL PIANO BERTOLASO DEL 2008
Il motivo delle crisi ricorrenti è sempre lo stesso: la mancata realizzazione di impianti sufficienti per lo smaltimento dei rifiuti, a causa dell’incapacità della classe politica di individuare soluzioni condivise, di fronte alla feroce opposizione delle comunità locali a tutti i tentativi di localizzare impianti anche nei siti più isolati.
Vale la pena ricordare alcuni dati: ogni giorno in Campania si producono circa 7.500 tonnellate di rifiuti: di queste circa 4.400 tonnellate al giorno sono prodotte in provincia di Napoli, e di queste circa 1.450 nella città di Napoli. Il 53 per cento dei cittadini della Campania vive sull’8,2 per cento del territorio, in provincia di Napoli. La Campania è l’unica Regione in cui è stata introdotta per legge regionale la “provincializzazione” del rifiuto: gli Rsu prodotti in una provincia devono essere smaltiti nei suoi confini.
Nel 2008 il governo approvava, con un decreto poi convertito in legge (legge 123/08 del 14/7/2008), il cosiddetto “piano Bertolaso” per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Il piano prevedeva la costruzione di tre inceneritori (Acerra, Salerno, Napoli) e dieci discariche, conferendo una serie di poteri speciali al capo della Protezione civile, e dichiarava, tra l’altro, i siti scelti per lo smaltimento aree strategiche protette dall’esercito.
Il piano prevedeva anche un forte, compulsivo incremento della raccolta differenziata nei comuni della Campania, con sanzioni gravi, fino al commissariamento, per quelli inadempienti.
Finora è stato messo in esercizio il solo inceneritore di Acerra e cinque discariche delle dieci previste. Ma il piano è entrato in crisi solo dopo due anni, a causa della mancata realizzazione di alcune discariche indicate dal piano, e in particolare quella di Cava Vitiello, a Terzigno (che, con un invaso di circa quattro milioni di metri cubi, costituiva il polmone principale del sistema), insieme al forte ritardo nella realizzazione dei due inceneritori di Napoli e Salerno (per i quali ad oggi non è stata nemmeno bandita la gara).
Il sistema è quindi rigido e fragile, perché “tirato” al limite e privo di soluzioni di riserva da utilizzare in caso di imprevisto; per esempio, è basato sull’ipotesi di produzione massima dell’inceneritore (2mila tonnellate al giorno) per 365 giorni l’anno. Ogni volta che si ferma una linea, occorre trasferire 650 tonnellate di rifiuto al giorno alle discariche. Quando si sono fermate due linee contemporaneamente, si è andati vicini al collasso, con 1.300 tonnellate di rifiuto in più da collocare in discarica ogni ventiquattro ore, tutte in provincia di Napoli, e quindi a Terzigno, dato che la discarica di Chiaiano ha vincoli molto stretti sulla quantità massima di rifiuti che può ricevere nelle ventiquattro ore.
Ciò ha portato ovviamente a un aggravamento delle condizioni operative di gestione: più rifiuti significa più compattatori in fila sulle strade, più ore dedicate allo scarico e meno ore alla coltivazione (copertura del rifiuto con terra). Se poi si aggiunge che, in estate, l’ufficio regionale che gestisce centralmente i flussi dei rifiuti ha ordinato di portare a Terzigno notevoli quantità di rifiuti “vecchi” e frazione organica non stabilizzata semi-putrescente, si capiscono, anche se non si giustificano, le proteste della popolazione di Terzigno, poi degenerate in gravi atti di violenza su persone e cose, rinfocolate peraltro da una campagna mediatica alimentata da notizie false e da allarmi ingiustificati per la salute collettiva. La presenza di una discarica controllata costruita a norma non presenta alcun rischio per la salute dei cittadini delle aree circostanti, ma può causare, in certe condizioni e in alcune ore del giorno, disagi per il cattivo odore.
IL PUNTO SULLA RACCOLTA DIFFERENZIATA
Il presidente del Consiglio ha indicato come responsabile della crisi l’azienda di Napoli per gli scarsi risultati della raccolta differenziata in città.
Certamente, se la Rd avesse raggiunto in tutta la Regione la misura prevista dalla legge, e cioè il 25 per cento di raccolta differenziata entro dicembre 2009 e il 35 per cento entro dicembre 2010, la crisi sarebbe stata ritardata di qualche mese, ma sarebbe ugualmente scoppiata.
Occorre però anche qui dare qualche dato. La media nazionale della raccolta differenziata è al 30,6 per cento. Le grandi città italiane che superano il 30 per cento di raccolta differenziata (Milano 35,6 per cento, Torino 42 per cento, Bologna 33,3 per cento) hanno aziende municipali operative da decenni con una tradizione ormai consolidata di lavoro, che ha loro consentito di raggiungere obiettivi rilevanti. Tuttavia anche in queste città i progressi nella Rd si misurano in uno o due punti percentuali all’anno. Delle altre grandi città, Roma è al 19,5 per cento, Genova al 21 per cento, ma né il Lazio, né la Liguria hanno sofferto crisi.
In Campania, Salerno (intorno al 60 per cento), Avellino (62,6 per cento), Caserta (47,3 per cento ), hanno raggiunto ottimi risultati, facilitati anche dalla conformazione delle città; la provincia di Napoli è invece al 15 per cento, mentre il capoluogo, prima della crisi, era al 19 per cento circa.
Occorre però dire che Salerno ha 140mila abitanti, Avellino 57mila, Caserta circa 90mila, contro il milione di abitanti di Napoli. Per chiarire poi cosa si intende per “conformazione della città” si dà un solo dato: a Salerno vivono 330 abitanti per km quadrato, a Napoli 8.500. L’area metropolitana di Napoli è il territorio più antropizzato in Europa, in termini di numero di abitanti per unità di superficie. È chiaro quindi che ipotizzare un miglioramento della raccolta differenziata di dieci punti all’anno è molto difficile ovunque, ma in un territorio così intensamente abitato è impensabile.
Quindi, le cause della nuova emergenza non sono addebitabili alla raccolta differenziata, né tanto meno alla presunta cattiva gestione della discarica di Terzigno, ma al mancato completamento del “piano Bertolaso”, una volta terminata l’emergenza, soprattutto per quanto riguarda le discariche previste in provincia di Napoli, indispensabili nella fase intermedia fino alla messa in esercizio dell’inceneritore (tra 30 e 36 mesi dall’assegnazione della gara).
Considerato quanto prima indicato sulla concentrazione degli abitanti nella provincia di Napoli, con la conseguente enorme difficoltà di reperire aree per discariche, sarebbe stato logico, prima ancora di chiamare alla solidarietà le altre Regioni, chiedere alle altre province di ospitare i rifiuti di Napoli. La risposta è stata subito violentemente negativa. D’altra parte, nel corso degli ultimi quindici anni, numerosi amministratori locali hanno rimediato a scadenti gestioni galvanizzando i propri elettori al grido “no ai rifiuti di Napoli”, e altri hanno costruito fruttuose campagne elettorali su questo unico programma. Sembra quindi che il personale politico locale, a tutti i livelli, non sia in grado di (o non voglia) governare queste decisioni in regime ordinario, ma preferisca dimostrare al proprio elettorato di “subire” le imposizioni del governo centrale, magari attraverso “comodi” commissariamenti straordinari.
Nelle ore in cui vengono scritte queste note, il presidente del Consiglio, insieme al sottosegretario ai Rifiuti, ha incontrato i sindaci della zona vesuviana, promettendo formalmente che la discarica di Cava Vitiello scomparirà dall’elenco dei siti da realizzare. Non appena i giornali locali e nazionali hanno pubblicato la notizia, sotto titoli del tipo “Terzigno vince”, sono ripartite manifestazioni e atti di violenza a Chiaiano, Giugliano e perfino in Calabria, dove il presidente della Regione aveva autorizzato l’invio di 300 tonnellate al giorno di rifiuti campani.
Non è difficile prevedere che una nuova, più grave emergenza sia alle porte per Napoli e la sua area metropolitana. (1)
(1) Chi sia interessato ad approfondire il tema, può leggere il testo di Gabriella Corona e Daniele Fortini: “Rifiuti – una questione non risolta”, XL Edizioni.
* L’Autore è Presidente dell’Asia – azienda servizi di igiene ambientale – che si occupa della raccolta di rifiuti a Napoli.
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“FINO ALLA PROSSIMA TERZIGNO”, di Antonio Massarutto
Non è certo impossibile gestire i rifiuti nella normalità o rinunciare alle discariche, come impone la norma Unione Europea. Per mettere a regime un sistema di gestione così fatto servono tuttavia alcuni ingredienti di base: tempo, contrasto dei molti interessi, consenso. A Napoli il tempo è stato dilapidato. Il partito dell’emergenza è più forte che mai e condiziona qualsiasi scelta. E di consenso ovviamente neanche a parlarne. Così l’ennesimo piano di emergenza risolverà la crisi di oggi, ma creerà i presupposti per quella di domani.
Puntuale come un attacco di febbre terzana, ecco l’ennesima emergenza rifiuti partenopea. I crudi numeri presentati da Claudio Cicariello ne illustrano chiaramente le cause, e su di essi c’è ben poco da ricamare.
Un anno e mezzo fa, ci si illuse che mandare l’esercito a presidiare le discariche potesse risolvere il problema. Ma già all’epoca fummo facili profeti nel prevedere che, una volta spenti i riflettori e rispediti a casa i soldati, tutto sarebbe tornato come prima.
COSA NON HA FUNZIONATO
Il punto decisivo riguarda la rigidità del modello gestionale, costruito su ipotesi estremamente tirate: basta un nonnulla per inceppare l’ingranaggio. Le soluzioni magiche, purtroppo, esistono solo nella fantasia. A Napoli la fantasia non fa difetto, tanto che la Regione ha voluto mettere nero su bianco l’obiettivo del “rifiuto zero”: uno slogan accattivante, ma alla prova dei fatti niente più di questo, e di fronte alle scene trasmesse dai Tg suona amaramente comico.
Il cosiddetto “piano Bertolaso” rappresentava l’unica soluzione possibile dato il punto a cui erano arrivate le cose. Ma non lo si dimentichi, era una soluzione gravemente sub-ottimale, come ci viene ricordato dalle procedure di infrazione incombenti e dal recente rapporto del Parlamento europeo. Quel piano derogava in maniera clamorosa a principi di gestione che nell’Unione Europea sono da tempo norma.
In sostanza, il piano per Napoli continua a basarsi sulla soluzione end-of-pipe destinata al rifiuto tal quale: incenerimento a regime, discarica nel provvisorio, con una spruzzatina di raccolta differenziata tanto per dire che la si fa. Cicariello ricorda opportunamente quanto sia difficile immaginare alte percentuali di raccolta differenziata con i sistemi “porta a porta” in un contesto congestionato come l’area napoletana. Tuttavia, dopo aver assistito mortificato ed esterrefatto all’umiliazione di una città e di un paese intero, mi sarei aspettato per lo meno che degli sforzi messi in atto per sviluppare le raccolte e dei progressi fatti o non fatti si desse conto, mostrando almeno l’impegno profuso, foss’anche solo per convincere chi mugugna di quanto sia difficile arrivare a certi traguardi. Invece, ho la sensazione che la cosa sia stata fatta di malavoglia e senza crederci fino in fondo.
Acerra doveva essere l’apripista degli altri impianti, il “fiore all’occhiello” per dimostrare l’infondatezza delle preoccupazioni sulle emissioni inquinanti. Ma i molti problemi che l’impianto ha avuto, e che ne hanno finora impedito il funzionamento a regime, lasciano il dubbio che ci fossero deficienze progettuali e strutturali su cui si è voluto mettere un rattoppo pur di tagliare il nastro in diretta tv. Quanto alle discariche, certo imprescindibili nel breve termine, almeno un paio di impianti di biostabilizzazione in più, per evitare di mandare in discarica rifiuti putrescibili e maleodoranti, forse si potevano realizzare in pochi mesi.
Certo, da “quaggiù al Nord” è facile pontificare, e se formulo questi rilievi lo faccio con il massimo rispetto per chi, nell’immondezzaio napoletano, ha avuto il coraggio di metterci le mani e la faccia. Non è facile attribuire colpe specifiche, quando la crisi è, evidentemente, una crisi di sistema, che come tale ha chiare connotazioni di “bene pubblico”. Nel calcio si dice che si vince e si perde in undici, senza dimenticare dirigenti che hanno fatto la squadra, lo staff tecnico e medico, i massaggiatori e i supporter. In questo caso, il presidente ha continuato ad affermare trionfante che la squadra era da Champions League, ma poi continuiamo a ritrovarla invischiata nella lotta per non retrocedere. Che si fa allora? Si cercano capri espiatori negli arbitri? O si cerca di risolvere la situazione licenziando il mister?
TEMPO, CONSENSO E CONTRASTO DEGLI INTERESSI
Gestire i rifiuti nella normalità non è certo impossibile: accade in tutto il mondo. Neppure rinunciare alla discarica, come in sostanza impone la norma Unione Europea, è impossibile: dall’Olanda alla Svezia, dalla Danimarca alla Germania, le soluzioni da adottare sono sotto i nostri occhi. E in molte parti d’Italia, del resto, si praticano con successo.
La strada da percorrere è rappresentata da un mix di soluzioni che partono dalla raccolta differenziata, valorizzando il rifiuto attraverso il recupero diretto o indiretto; proseguono bruciando il residuo che rimane a valle della separazione, compostando la parte organica quando possibile raccoglierla in modo separato, e ricorrendo alla discarica solo per i pochi materiali, ormai inerti, che residuano a valle di tutti questi cicli di trattamento. Si potrà discutere caso per caso se è opportuno spingere il recupero diretto di qualche punto percentuale in più o in meno, ma ben raramente si riuscirà a fare completamente a meno di qualcuno di questi tasselli, con buona pace degli esteti.
Per mettere a regime un sistema di gestione così fatto servono tuttavia alcuni ingredienti di base, che a Napoli sono mancati, senza i quali la crisi è destinata a ripetersi ciclicamente sempre uguale.
Serve, innanzitutto, tempo. La discarica è la verarisorsa scarsa della gestione dei rifiuti e, come per tutte le risorse scarse, occorre pianificare per tempo la soluzione alternativa, quando ancora si dispone di margini di manovra. Raccolta differenziata e impianti industriali richiedono tempo per andare a regime. La discarica costa poco se ci si limita a calcolare il suo costo finanziario: se ben costruita e gestita con criteri moderni, costa intorno ai 50 €/t, meno della metà di qualsiasi soluzione alternativa. Ma un bel giorno si esaurisce e allora il sistema va in tilt. Senza aspettare quel giorno, è indispensabile creare le condizioni che rendano economicamente sostenibile l’offerta di soluzioni alternative, imponendosi di limitare l’uso della discarica (anche facendola costare artificialmente di più), avviando da subito le soluzioni che, a regime, dovranno sostituirla.
Serve, in secondo luogo, un’azione decisa per contrastare i molti interessi che dall’emergenza guadagnano. Si dice: “la camorra”, e Dio solo sa quanto la criminalità abbia prosperato sulla immondizia campana: ma forse è un modo riduttivo di vedere il problema. Prima della camorra, vengono anche tutti quei soggetti che, in modo legittimo ma non per questo meno nocivo, campano sulla gestione emergenziale, da chi ospita “provvisoriamente” ecoballe sui terreni agricoli a chi possiede e gestisce, vendendo a caro prezzo, i pochi siti rimasti, passando per chi lucra sull’intermediazione grazie alla quale, nell’emergenza, i rifiuti possono essere collocati virtualmente a qualsiasi prezzo, anche a migliaia di chilometri di distanza.
Serve, in terzo luogo, il consenso. Che tuttavia richiede un paziente lavoro di tessitura sociale che dura decenni, ed è fatto di partecipazione, trasparenza, lealtà al territorio. Ingredienti che non mancano certo nelle realtà virtuose di cui il nostro paese pure abbonda: la chiave del successo, nella Brescia dei mega-inceneritori come nella marca trevigiana dei comuni ricicloni, passa sempre per il coinvolgimento informato dei cittadini, per una collaborazione tra istituzioni, aziende e ong, per una costruzione del problema che renda la comunità consapevole della sua natura collettiva, senza vergognarsi di ricorrere anche allo scambio politico ed economico con il fine di compensare le comunità pronte a ospitare gli impianti. Che, se gestiti correttamente, sono certamente un disturbo, ma non inquinano comunque più di tante altre attività industriali. Vanno però gestiti correttamente per davvero, non imbrogliando la gente promettendo cose che poi si sa di non poter mantenere, come è avvenuto a Terzigno, dove, se la memoria non mi inganna, si disse che sarebbero finiti solo rifiuti stabilizzati. Anche i famosi treni diretti in Germania hanno trasportato molti rifiuti “tal quali”, contravvenendo alle norme europee che ne permettono l’esportazione solo se sono destinati alla valorizzazione. (1)
Per tutti e tre gli ingredienti a Napoli si è fatto, per anni, il percorso inverso. Il tempo è stato dilapidato aspettando che le discariche si esaurissero, scempiando il territorio al punto che oggi è praticamente impossibile trovare un sito adatto. Il partito dell’emergenza è più forte che mai e condiziona qualsiasi scelta – tanto che viene perfino il sospetto che a soffiare sul fuoco delle sommosse ci siano anche quanti temono, con il ripristino della normalità, di perdere le rendite di posizione di cui godono. Quanto al consenso e al “capitale sociale”, certamente il modo peggiore di costruirlo è quello di aspettare l’ultimo momento per intervenire poi con l’esercito e infine calare le brache di fronte alla protesta al solo scopo di guadagnare il consenso per qualche altra settimana (fino alle prossime elezioni anticipate?).
Nella gestione del caso Napoli, il governo ha voluto per l’ennesima volta privilegiare l’effimero al sostanziale, l’annuncio roboante al paziente lavoro, il “ghe pensi mi” alla visione strategica. L’ennesimo piano di emergenza risolverà la crisi di oggi, ma creerà i presupposti per quella di domani, come una pera di eroina placa solo temporaneamente l’astinenza del tossico.
(1) Secondo la norma, l’incenerimento può essere considerato una valorizzazione solo se il rendimento energetico supera una certa soglia, cosa che non avviene con il rifiuto tal quale.
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“MONNEZZA, CONSENSO E CREDIBILITÀ”, di Sergio Beraldo
In un editoriale apparso su “La Stampa” domenica 24 ottobre, Lorenzo Mondo, riferendosi alle note vicende di Terzigno, sostiene una linea condivisa da molti commentatori: le anime pie, vescovo di Nola in testa, farebbero bene a non puntellare una protesta irragionevole; l’opposizione all’apertura della discarica è sostanzialmente fomentata dalla criminalità organizzata.
La prima considerazione è radicata, di fatto, nella massima: “meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera”.
L’argomento di Caifa non è solo discutibile dal punto di vista morale; la sua applicazione al caso specifico è profondamente dannosa sul piano degli incentivi. Lo è perché deresponsabilizza il resto della cittadinanza. Se i miei rifiuti vanno in casa d’altri, che incentivo ho, per dire, ad effettuare la raccolta differenziata? Che incentivo ho a limitare gli sprechi? Un buco si troverà sempre per sgombrare il mio uscio. Tanto basta.
Per ciò che attiene alla seconda considerazione, è appena il caso di rilevare quanto sia paradossale accusare i campani di non reagire alla mortificante condizione in cui sono immersi, per poi considerarli, non appena reagiscono, come mossi da ragioni inconfessabili (ciò, ovviamente, prescinde dalla condanna agli eccessi che si sono verificati negli ultimi giorni).
Le due precedenti considerazioni spesso procedono con una terza: non si può consentire che qualsiasi intervento venga bloccato dalle comunità locali. Dall’opposizione al termovalorizzatore di Acerra a quella verso le discariche di Chiaiano e Terzigno, le comunità locali impediscono di fatto la soluzione del problema rifiuti in Campania.
Si tratterebbe, in pratica, di una forma degenerata di sindrome nimby (not in my back yard): tutti vorrebbero una soluzione del problema, ma ognuno s’oppone alla possibilità che il problema venga risolto nel proprio cortile.
E’ davvero questo il punto? Bisogna allora usare la forza per costringere i riottosi a cooperare?
UN PROBLEMA DI REPUTAZIONE
Perché le comunità locali si oppongono a qualsiasi intervento apparentemente risolutivo dell’emergenza?
La risposta è che nessuno, direi a ragione, si fida.
Come in qualsiasi altro caso in cui non sia immediatamente verificabile la qualità del bene fornito, ciò che conta è la reputazione del fornitore; in questo caso la reputazione delle autorità che a vario titolo sono investite della responsabilità del problema. Queste si sono dimostrate incapaci di risolvere un’emergenza che dura ormai da quasi vent’anni. Quando, costretto dal precipitare della situazione, è intervenuto il Governo, i rifiuti sono immediatamente spariti. Ciò, tuttavia, anziché stimolare la fiducia verso le autorità competenti, l’ha depressa.
In questi anni, a Napoli, era comune la domanda: “ma dove l’hanno messa l’immondizia?”. Già, dove l’hanno messa? Il sospetto che per far fronte all’emergenza venissero utilizzati metodi poco ortodossi di smaltimento si è fatto strada, e la reputazione delle autorità ne è risultata vieppiù compromessa.
E’ chiaro che quando la controparte gode di una cattiva reputazione, la riluttanza ad accettare uno scambio sarà notevole. Se poi lo scambio si cerca di imporlo, la reazione sarà imprevedibile.
Se lo stesso Bertolaso ha ammesso che occorrono interventi per bonificare l’area in cui sorge la prima discarica di Terzigno, ormai stracolma; se egli stesso indica nel termovalorizzatore di Acerra una possibilità per fare fronte, temporaneamente, all’emergenza, è lecito o meno sospettare che in nome dell’emergenza in quella prima discarica sia stato gettato di tutto? E’ lecito o meno sospettare che non si andrà tanto per il sottile quando si tratterà di bruciare un po’ di rifiuti nel termovalorizzatore?
E’ lecita o meno, a questo punto, la posizione di chi si preoccupa della salute propria e dei propri figli, e non vuole che il problema di tutti sia risolto spargendo veleni nel cortile della propria casa?
SE DAVID HUME È UN CATTIVO CONSIGLIERE
In un articolo di recente pubblicato su Science, Sam Bowles (1) riconsidera la nota posizione espressa da Hume, secondo cui, nello stabilire un qualsiasi sistema di governo occorre partire dall’ipotesi che ogni uomo sia un furfante e non abbia altro interesse che l’interesse personale. Nella visione di Bowles, muovere dalla premessa che ogni uomo sia un furfante, disegnando le regole in conformità a questa premessa, conduce ad un esito opposto rispetto a quello che si vorrebbe conseguire. Si finisce cioè per incentivare comportamenti da furfanti. Nel caso specifico, si supponga che io mi convinca dell’inutilità di richiedere il rispetto delle regole; potrei allora essere tentato di derogare alle regole anch’io pur di addivenire ad una soluzione del problema, utilizzando poi la forza nei confronti di chi eccepisce l’illegittimità della mia posizione, per imporre la soluzione prescelta; non è impensabile però che ciò scateni una reazione violenta.
Nel caso della discarica di Terzigno, la strategia attuata dal Governo, pressato da un’emergenza principalmente frutto dell’incapacità (ad essere benevoli) degli amministratori locali, ha fatto appunto perno su: rilevanti deroghe alle regole di salvaguardia ambientale e tutela del territorio (basti a questo proposito considerare che l’ulteriore discarica di Terzigno era situata all’interno del Parco nazionale del Vesuvio, patrimonio dell’umanità secondo l’Unesco); l’utilizzo massiccio dell’esercito, giustificato dagli evidenti problemi di ordine pubblico connessi con la gestione dell’emergenza.
Vi sono motivi per ritenere che tale strategia non poteva che mostrare evidenti limiti (2). Innanzitutto perché la soluzione definitiva del problema richiede necessariamente una diffusa quanto intensa cooperazione, che non può che fondarsi su di un diligente rispetto delle regole. Ora, può il richiamo al rispetto delle regole essere efficace se il primo a non rispettare le regole è proprio il soggetto che fa il richiamo?
Il secondo motivo che doveva indurre a dubitare dell’efficacia della strategia governativa è connesso ai problemi di reputazione richiamati in precedenza. Il sito individuato per la nuova discarica di Terzigno era già, dal 14 novembre 2009, presidiato dall’esercito, così come l’area della discarica di Chiaiano o quella in cui è installato il termovalorizzatore di Acerra. Tale circostanza di fatto impedisce il controllo pubblico rispetto a ciò che viene gettato in discarica, ovvero nel termovalorizzatore, alimentando il sospetto che per gestire l’emergenza si sia disposti a sacrificare la salute di una parte della popolazione.
Se la fiducia accordata dai cittadini alle autorità investite del problema è condizione necessaria per la soluzione del problema stesso, occorre chiedersi come esse possano conquistarla.
In primo luogo sarebbe opportuna una modifica della strategia comunicativa. Affermazioni del tipo: “risolverò il problema in dieci giorni”, sono tali da ingenerare il dubbio che per salvaguardare la propria immagine l’esecutivo non andrà tanto per il sottile nel delineare il piano necessario a fronteggiare l’emergenza. Sembra banale, ma ciò sta contribuendo a creare notevoli tensioni presso il sito di stoccaggio di Giugliano e presso la discarica di Chiaiano, compromettendo l’esito della strategia di breve periodo delineata da Bertolaso.
In secondo luogo, una volta che sia stato con onestà chiarito che la soluzione del problema richiede tempo, il governo dovrebbe farsi carico di indicare una data entro la quale saranno demilitarizzate le aree deputate allo smaltimento. L’utilizzo dell’esercito, e la disponibilità ad inviare altri militari all’occorrenza, va infatti nella direzione opposta a quella che sarebbe auspicabile fosse intrapresa; occorre aprire le porte, non chiuderle; invitare la gente a rendersi conto che si è capaci di gestire impianti che comportano solo un trascurabile impatto ambientale. E’ amaro doverlo riconoscere, ma quella data dovrebbe segnare il momento in cui, finalmente, si sarà ricondotto entro le regole lo smaltimento dei rifiuti in Campania. Quanto precede dovrebbe poi concordare con un’azione volta a convincere i cittadini che la strategia di lungo periodo delineata dalle autorità competenti non è opaca come in effetti appare. Per ragioni di spazio mi limito a considerare solo una questione (3). E’ opinione diffusa che in presenza di un’efficace raccolta differenziata, da tutti ritenuta necessaria, il solo termovalorizzatore di Acerra sarebbe sufficiente per le esigenze della provincia di Napoli, non rendendosi necessario un ulteriore termovalorizzatore, c.d. di Napoli Est, per la cui costruzione sarà a giorni pubblicato un bando di gara. E’ lecito immaginare che nessuno impegnerebbe risorse in un investimento così specifico, il termovalorizzatore di Napoli Est appunto, se fosse davvero convinto che la raccolta differenziata sarà attuata? E’ lecito sospettare che una volta effettuato l’investimento vi saranno pressioni atte ad evitare che il termovalorizzatore di Napoli Est sia inutile?
(1) Bowles,S., 2010. Policies Designed for Self-interested Citizens May Undermine “The Moral Sentiments”: Evidence from Economic Experiments. Science 320, 605-609.
(2)E’ istruttivo visitare il sito del Sottosegretario di Stato per l’emergenza rifiuti in Campania , dove, tra le altre cose, si legge: “Questo sito è aggiornato al 31 dicembre 2009, data di conclusione del mandato del Sottosegretario di Stato per l’Emergenza Rifiuti in Campania e della fine dell’emergenza.”
(3)Un’ulteriore questione, più generale, riguarda la necessaria quanto urgente riforma dell’assetto normativo. La legge 26/2010 ha di fatto esautorato i comuni, attribuendo a costituende società provinciali competenze esclusive circa la raccolta dei rifiuti, lo smaltimento e la tariffazione a carico degli utenti. Vi sono motivi per ritenere dubbia la bontà del disegno normativo, soprattutto perché la presenza di un’unica società a livello provinciale non consente che vengano adeguatamente premiati i cittadini (e le amministrazioni) dei comuni più virtuosi nell’effettuare la raccolta differenziata; la presenza di un’unica società provinciale espone poi il sistema ad un maggior rischio di infiltrazione della criminalità organizzata.
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