Se il governo B, dopo vent’anni di successi più o meno incontrastati, cadesse sul pasticciaccio brutto della nipotina di Mubarak, sarebbe una sintesi perfetta. Un capolavoro letterario. A suo modo, un gran finale. Perché gli ingredienti ci sono tutti, in una versione caricaturale, anzi proprio grottesca.
C’è un premier incontinente che si serve della propria posizione di potere per cambiare, a proprio piacimento, il corso delle cose.
C’è una ragazzina straniera, che per strada potresti scambiare per una extracomunitaria, magari per una clandestina (anche se non porta il burqa burqa). E pensarne male, come si fa per tutti quelli come lei. E dimenticarsi che è minorenne, perché è un dettaglio.
C’è l’assistente non solo e non più dentale, ma politica, perché ora sta in Consiglio regionale, che interviene prontamente.
C’è Fede. E c’è Mora. Corona, purtroppo, ha perso questo straordinario appuntamento. Chissà se potrà mai perdonarselo.
C’è un rito, si dice, importato da un dittatore straniero che è il nostro unico interlocutore della politica estera.
Ci sono le donne al governo che trovano tutto questo normale. Figuriamoci gli uomini.
C’è l’ipocrisia e la pruderie di molti, che fanno finta di accorgersi solo ora di una cosa che sanno tutti. Come quando finì la Prima Repubblica e qualcuno fece anche il verso di sorprendersi.
C’è la Lega che spiega che B non è stato abbastanza furbo e che avrebbe potuto rivolgersi al ministro dell’Interno, che lui, esperto in respingimenti, avrebbe saputo come respingere la nipotina egiziana. Dalla Questura.
C’è una sensazione di illegalità diffusa e un cattivo gusto che tracima da ogni dichiarazione, da ogni ricostruzione, da ogni racconto.
Ci sono parole usate male, stravolte, come l’idea che quello di Ruby alla sua amica mandata dal premier fosse un «affido». Che ci si dovrebbe vergognare, di mischiare le cose serie alle puttanate.
C’è la certezza che questo governo non solo sia male intenzionato, ma sia soprattutto distratto, ingombrato dalle vicende personali e dalle ossessioni del suo capo, ventiquattr’ore su ventiquattro.
Nel cubo di Ruby ci sono tutti i colori, ci sono tutte le sfumature. E tutto si incastra perfettamente. Nemmeno Ammaniti avrebbe potuto scrivere una storia così. Che non è mica una parodia. No, è il posto del mondo in cui viviamo anche noi. Giorno e notte. Da vent’anni.
Non c’è niente da ridere. Non è nemmeno più gossip, perché gossip, a dire il vero almeno per una volta, non è mai stato: è la storia patria. «Affidata» a un pool di irresponsabili e di persone pericolose. A se stesse e agli altri.
L’Unità 02.11.10