Napoli, il giorno del giudizio: altro che miracolo, altro che «emergenza finita» come dice il capo della Protezione Civile. Sacchi ovunque, gente arrabbiata situazione identica a dieci giorni fa. «È venuto un camion, ha buttato tutto qui…». La differenziata dei poveri si fa a piazza Garibaldi, davanti alla stazione, ma il piccolo suk domenicale è immerso nell’immondizia. Chi cerca scarpe o pantaloni usati è costretto allo slalom fra cassonetti liquefatti, rifiuti carbonizzati, bottiglie rotte e spazzatura nuova. 31 ottobre, a Napoli è ancora
estate di San Martino. Silvio Berlusconi, questa volta, ha dato un termine e la sua promessa è verificabile: non è un bel vedere, con le mosche che ronzano e i piccioni che razzolano, i bambini che mangiano la pizza passando vicino a quello schifo.
E non è un buon odore quello che si sente a via Foria, dove il cumulo invade la fermata dell’autobus, di fronte al civico 103, sul portone c’è scritto: «Chiusi per lutto. È morta la civiltà. Grazie al comune di Napoli». Non fa piacere scrivere «tempo scaduto» e smentire, con le immagini che pubblichiamo, prese ieri fra le 11 del mattino e le 15 del pomeriggio, il sottosegretario di Stato Guido Bertolaso che annuncia da San Giuliano di Puglia: «Emergenza finita».
Siamo vicino all’Orto botanico, XVIII secolo: «Si fanno solo gli affari loro», lamenta in dialetto una popolana guardando i cumuli. Per i napoletani l’emergenza non è finita: corso Novara, quasi sotto la tangenziale, «Sta mattina – racconta una signora – è venuto un camion bianco e ha buttato tutto in questa discarica a cielo aperto». Piazza Ottocalli, dove è nato Enrico Caruso, l’Albergo dei poveri, del grande architetto Ferdinando Fuga, monumento al welfare del Regno delle due Sicilie. Calata Capodichino, i cumuli sono ogni venti metri: all’angolo con via Provenzale, le signore si fanno largo fra i sacchetti per gettare plastica e vetro negli appositi contenitori, è la risposta dignitosa e pratica a quell’orrendo «se il Vesuvio eruttasse non sarebbe una gran disgrazia». «Noi – risponde la donna al cinismo dei professionisti dell’emergenza – ci proviamo
a essere civili».
La tradizione della festa dei morti è molto sentita, dalla Calata Capodichino verso il cimitero di Poggioreale il traffico è sostenuto. Fiori e munnezza.
La strada del cimitero è pedonalizzata ed è stata pulita, una navetta porta i disabili. Incontriamo Umberto Ranieri: «Vado a visitare mio padre. Trattala bene Napoli, anche se qualche volta non se lo merita».
Via Salvatorosa, incrocio che sale al Vomero. Corso Vittorio Emanuele il panorama mozza il fiato: il Vesuvio, i gradoni che scendono ripidi verso il centro storico. Ancora cumuli attorno ai cassonetti, riso amaro davanti allo lo slogan sulla differenziata: «Napulita». C’è una scuola elementare qui e una casa di cura. Più avanti, ci indicano, i mucchi «sono ancora più grossi». «Pago 350 euro annui per 35 metri quadri», comunica un ragazzo passando di corsa.
Via Roma, via Toledo. Disney Store, stewards davanti alle vetrine luccicanti: shopping e struscio evitando l’immondizia. C’è chi, guardando il fotografo, non rinuncia all’autoironia:
«Presepe napoletano senza pastori». Maschio Angioino. Anche qui, proprio sotto le finestre del Municipio, la puzza fa tirare fuori i fazzoletti, coprire le narici con la mano. «La mia filosofia è che i rifiuti è meglio toglierli», sospira Paolo Giacomelli, assessore all’igiene del comune di Napoli. «Se tutto procede
senza intoppi…forse in tre giorni». Ma nessuno si spinge a fare previsioni.
A Taverna del re l’intoppo c’è: protestano gli abitanti di Giugliano, forti dell’impegno preso due anni fa da Bertolaso: «Luogo altamente inquinato non lo riapriremo». Sempre a Giugliano, nello Stir (tritovagliatura e imballaggio rifiuti) non ci
sono impianti di stabilizzazione dell’umido e questo produce il cattivo odore. Il «sistema è fragile», spiega Giacomelli, «e noi dopo la raccolta restiamo con i camion pieni». Non solo, Napoli utilizza gli impianti di Acerra ma gli altri comuni della Provincia e della zona rossa del Vesuvio sono in difficoltà, con tre giorni di accumulo di immondizia. Una coperta troppo corta che può lacerarsi da un momento all’altro, altro che emergenza finita.
L’Unità 01.11.10
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