È stata annunciata a Palermo la nascita di un nuovo partito, che si chiamerà «Forza del Sud». È la creatura vagheggiata da Gianfranco Miccichè, sottosegretario nel governo Berlusconi: una Lega meridionale che dovrebbe ramificarsi in Calabria, Puglia, Campania e bilanciare, a destra, il peso che la Lega Nord di Umberto Bossi esercita sul governo. Secondo le parole del fondatore, resterà ancorata al Pdl, prendendo semmai le distanze da quella parte del partito di Berlusconi rappresentata nell’isola dal Guardasigilli Angelino Alfano e dal presidente del Senato, Renato Schifani.
Ma distinguendosi anche dal governatore Lombardo, che ha aperto la sua giunta a un’alleanza variegata che include il Pd ed esclude proprio Forza Italia. Il Lombardo che, per parte sua, non perde occasione, giocando di rimessa, per mettere sotto accusa il Risorgimento e vantare il progresso morale e civile del governo borbonico, dicendosi favorevole al federalismo e perfino alla secessione. Più che l’unità d’Italia sembrerebbe per il momento in gioco l’unità della Sicilia.
Non è un bell’inizio per Miccichè, il quale si propone di sbaragliare gli avversari, forte dei clamorosi consensi ottenuti per il Cavaliere nelle elezioni regionali del 2001. Ma la partita vera riguarda il confronto emulativo con la Lega Nord. Intendiamoci, non è che le genti del Sud non abbiano il diritto di esprimersi per un autonomo reggimento. Ma il partito di Bossi è stato ed è avvantaggiato da alcune non trascurabili circostanze.
È nato dal declino della Prima Repubblica, che ha spazzato via o indebolito i partiti esistenti lasciando libero il campo per nuove formazioni. Non è ciò che accade propriamente oggi, dove di partiti, esposti a un’amebica frantumazione e moltiplicazione, ce ne sono anche troppi. In secondo luogo, occorre tenere conto del divario economico ed efficientistico che divide il Nord dal Sud. Il federalismo «virtuoso» che entrambe le leghe, almeno a parole, propugnano, presenta ben altre difficoltà per un Meridione gravato da impressionanti dissesti e inadempienze. Tuttavia, mai dire mai, lasciamo aperto qualche spiraglio all’ottimismo.
Auguriamoci che tutto, nell’orgogliosa Trinacria, non si risolva nelle solite faide tra cacicchi, nelle contrapposizioni personalistiche disposte ai più mirabolanti trasformismi, a mascherare non limpidi interessi impastando in un solo calderone destra e sinistra, garibaldini e mafiosi, federalismo e antirisorgimento. La Sicilia, e non soltanto, ha bisogno d’altro.
La Stampa 31.10.10