Alla fine il ministro Bondi ha fatto il miracolo. No, non quello di trovare le risorse per il cinema italiano, o almeno un bel decreto legge che ripristini quelle misure fiscali che stavano togliendo il nostro cinema dal cono d’ombra “assistenzialista”, come direbbe il ministro Brunetta. Bondi è riuscito nel miracolo di unire contro di lui le forze più disparate del settore, la cui principale debolezza, fino a questo momento, era stata proprio la mancanza di coesione. Così, durante la protesta organizzata l’altra sera dai Centoautori sul tappeto rosso del Festival del cinema di Roma, si sono visti insieme grandi registi e oscure maestranze, ben 32 sigle sindacali e la direttrice del festival, la giuria al completo, con il suo presidente Sergio Castellitto a leggere il comunicato di protesta concepito collettivamente, e il cast internazionale del film di apertura della kermesse che, contro il parere del distributore italiano Medusa, ha voluto uscire al completo dalla proiezione di gala per dare pubblicamente il suo appoggio alla dimostrazione. Il vero talento di un ministro della cultura che non ne ha mostrati molti altri si è dunque rivelato la sua capacità di funzionare da collante, ancorché dei suoi detrattori.
E ancora una volta la sua assenza da un festival di cinema internazionale – Cannes, Venezia, e ora anche il festival che si svolge nella capitale – ha portato acqua al mulino delle rappresentanze culturali.
Tuttavia ciò che ha fatto la differenza nel decretare il successo della protesta è stato proprio l’aver saputo spostare l’accento dall’ambito ristretto e un po’ generico della cultura a quello più ampio, e maggiormente condiviso, del lavoro, ovvero di uscire dall’immagine radical chic che in passato aveva fatto sembrare i Centoautori una compagine di intellettuali privilegiati e inutilmente lamentosi (sono valutazioni della maggioranza) e li ha trasformati nei portavoce di un’emergenza nazionale che vede nel comparto cinema solo la punta mediaticamente più efficace. Non a caso nel suo discorso all’Auditorium lo sceneggiatore Stefano Rulli, membro storico dei Centoautori, usando le parole come solo un professionista sa fare ha parlato di «una crisi culturale di civiltà del lavoro» che riguarda «tutto il comparto produttivo». Basta, dunque, distinguere fra artisti e manovalanza, fra associazioni di categoria e sigle sindacali, fra metalmeccanici e tecnici di ripresa. Il che vuol dire anche basta dire che «con la cultura non si mangia» (citazione apocrifa del ministro Tremonti), poiché il comparto cinematografico campa del proprio mestiere, come quasi tutti gli altri.
Basta infine con la caratterizzazione parassitaria di un segmento dell’industria che, in realtà, già da qualche anno funziona secondo logiche di mercato, tanto che il cinema italiano si è guadagnato una fetta più che decorosa di quel mercato (per la fine dell’anno assestabile intorno al 30%), e che finalmente attira anche capitali dall’estero proprio grazie a quei provvedimenti di tax credit e tax shelter che Tremonti ha con tanta leggerezza stralciato, e Bondi assicura di aver recuperato – solo a parole, però, e le parole, a questo punto non bastano.
Nel suo breve e sprezzante comunicato, letto giovedì sul red carpet (e seguito da una raffica di “vaffa”), il ministro ha detto che «la protesta è immotivata e dimostra faziosità e intolleranza», ma senza questo tipo di pressione non ci saranno mai una legge di sistema per il cinema, o un serio programma di investimento nel comparto produttivo . Perché Bondi ha compiuto anche questo miracolo: non si era mai sentito prima un gruppo di artisti invocare delle regole, e farlo con una voce sola.
da Europa Quotidiano 30.10.10