La direzione l’aveva indicata ieri Dario Franceschini aprendo il terzo appuntamento, a Cortona, di Area democratica, riunita qui per la prima volta senza Walter Veltroni. «Bisogna accogliere la sfida lanciata da Sergio Marchionne». E oggi, dal piccolo centro immerso nelle montagne aretine, la minoranza rimasta orfana dei 75 firmatari del manifesto veltroniano ha cominciato a tratteggiare quella strada.
L’ha fatto, nel corso di un seminario su Pomigliano e dintorni, l’ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano, che riprende da dove Franceschini aveva concluso. «La sfida di Marchionne va accettata, ma non alle sue condizioni che sono sbagliate». Perché certo, ammette l’ex ministro, «non si può accogliere la sfida del cambiamento se si prova a dividere o a licenziare il sindacato o non si applicano le sentenze del tribunale (il riferimento è alla vicenda dei tre operai di Melfi, ndr), ma la partita in gioco è enorme: il raddoppio della produzione industriale dell’auto e la sopravvivenza stessa del settore» e il Pd, è il suo ragionamento, deve battere un colpo.
Damiano bacchetta poi il suo partito, diviso davanti al corteo della Fiom di sabato scorso, (dove lui invece c’era), ma la sua analisi non è comunque un panegirico del sindacato. Non lo è nel momento in cui l’ex ministro dice con estrema chiarezza ai vertici di Fiom e Cgil, Maurizio Landini e Guglielmo Epifani, «che se c’è un patto sociale per la produttività in cui lui (Marchionne, ndr) ci mette i soldi, raddoppia gli investimenti, io come sindacato devo garantire che, se ci sono sabati lavorativi, saranno senza un minuto di sciopero e ciò non mi toglie il diritto di scioperare durante tutta la durata del patto, ma quel patto lo devo rispettare».
Certo, aggiunge poi Damiano, Marchionne deve dare garanzie, «deve dire che in cambio di questo sacrificio non ci saranno delocalizzazioni degli impianti e verranno assicurati i livelli occupazionali». Garanzie che vanno messe nero su bianco. «Ai lavoratori – aggiunge l’ex ministro – dico che vanno bene i 18 turni, la nuova organizzazione del lavoro, gli straordinari, quello che chiedo è cosa ci sarà in cambio, come sarà articolato il raddoppio della produzione, quali impianti investirà».
Damiano, insomma, incalza l’amministratore delegato di Fiat, ma chiede risposte anche al suo partito. «Mi sono stancato – avverte – di assistere al turbamento costante davanti all’annuncio di una manifestazione della Cgil, della Cisl o della Uil. È evidente che un partito non deve aderire a scioperi o piattaforme altrui, ma dobbiamo partecipare con una nostra piattaforma. Il Pd deve esserci sempre dove ci sono i lavoratori organizzati dal sindacato». Si infervora l’ex ministro del governo Prodi e annuncia che non si rassegnerà «all’idea che si vada verso un’Italia dove esiste un sindacato di governo e un sindacato d’opposizione».
Area democratica riparte dunque da Pomigliano per imprimere una linea al Pd. Lì vira anche un altro ex ministro, Tiziano Treu, padre della legge che introdusse la flessibilità del lavoro nel 1997. «Pomigliano – spiega – è una sfida, non è un modello, ma è una sfida dentro e nei dintorni della fabbrica». Una sfida che, secondo il senatore, va declinata con la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa «che può essere realizzata attraverso un comitato di sorveglianza nelle grandi aziende», mentre nelle Pmi «bisogna trovare un altro modo che può essere una forma contrattuale di tipo partecipativo o la partecipazione agli utili come avviene in Germania».
Il Sole 24 Ore 24.10.10