Giorgio Napolitano ha sbriciolato lo «scudo giudiziario». Ne ha smontato la filosofia di fondo, in base alla quale non è il solo Silvio Berlusconi, come capo del governo, a beneficiare dell’immunità in corso di mandato in quanto essa si estende al presidente della Repubblica. Ma questo bizzarro dualismo delle «alte cariche» non è gradito al Quirinale. Napolitano ritiene di essere ampiamente garantito dall’articolo 90 della Costituzione; ogni altra formula finisce per creare una serie di paradossi e di contraddizioni e di sminuire la figura e il ruolo del capo dello stato così come sono definiti dalla Costituzione.
Ecco allora la lettera inviata al presidente della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama. Un passo senza dubbio clamoroso. Napolitano esprime la sua preoccupazione e non lascia dubbi sul fatto di giudicare incostituzionale la norma all’esame dei senatori. Parla anzi di «palese irragionevolezza» della nuova disciplina all’esame del Parlamento. Un’espressione molto dura, di sapore giuridico, che pone un problema drammatico di congruità fra la Carta vigente e le nuove norme costituzionali che la maggioranza vorrebbe approvare.
Ora tutto cambia. Gianfranco Fini si era sforzato di votare il «lodo», pagando un prezzo d’immagine, e ora dovrà ripensare qualcosa nella sua strategia. Berlusconi, a sua volta, è consapevole che procedere con l’esame della legge significa consegnarsi a un conflitto istituzionale dalle conseguenze imprevedibili, visto che il presidente della Repubblica non fa mistero delle proprie riserve.
Al governo non resta che modificare in fretta il testo del «lodo», con ciò rendendo più evidente la sua natura di legge «ad personam», concepita e scritta per dare una salvaguardia al presidente del Consiglio.
È chiaro, date queste premesse, che il testo avrà una vita ancora più tormentata e ben pochi saranno disposti a scommettere qualcosa sulla sua approvazione finale, quando dovrà essere convocato il referendum popolare previsto dalla Costituzione per le leggi di natura costituzionale varate senza una maggioranza qualificata.
Da ieri il fragile castello di carte costruito dal premier intorno a un centrodestra lacerato ha cominciato a traballare. Fra meno di due mesi la Consulta dovrà pronunciarsi sul «legittimo impedimento», la legge-ponte che preserva Berlusconi dai processi.
Dopo l’uscita di Napolitano, si capisce che quella legge rischia di essere un ponte proteso verso il nulla.
Allo stato delle cose la nuova normativa costituzionale è tornata in alto mare e nessuno sa quale forma assumerà, semmai riuscirà ad averne una. La verità è che la lettera del Quirinale equivale a un sasso gettato nello stagno. Toglie alibi al presidente del Consiglio e ne mette in luce la debolezza sostanziale. Costringe la maggioranza alla marcia indietro, apre nuove incognite sugli assetti di potere che sorreggono il governo.
Si potrebbe aggiungere che quel sasso solleva il velo su un punto cruciale. Dietro il «lodo» esteso al capo dello stato si stava delineando una lotta politica all’ultimo sangue con l’obiettivo di favorire o di contrastare l’elezione di Berlusconi al Colle nel 2013. Da un lato si vorrebbe preparare il terreno anche costituzionale per l’ascesa dell’attuale premier, dall’altro s’intende impedire tale esito a ogni costo.
Da oggi tutti dovranno giocare questa partita a viso scoperto: i seguaci del premier come i suoi avversari irriducibili.
Il Sole 24 Ore 23.10.10