La riforma tradita. Da Tremonti e dai suoi tagli che impediscono la carriera ai meritevoli e non mettono a disposizione posti di associato per i ricercatori. Con la chiarezza che il ministro dell’università Mariastella Gelmini non può permettersi, intervendo all’inaugurazione dell’anno accademico dell’università di Foggia il presidente della Camera Gianfranco Fini ha onestamente riconosciuto «che i tagli non sono sopportabili, senza fondi si tradisce lo spirito della riforma dell’università, a quel punto è meglio ritirarla».
La prima uscita ufficiale dopo la riunione dei capogruppo alla Camera del 13 ottobre che ha deciso di accantonare il disegno di legge Gelmini in attesa di un suo finanziamento, il leader di Futuro e Libertà si è preparato ad incassare una vittoria annunciata. «Tremonti – ha ribadito Fini poche ore dopo a Bari dove è stato contestato dagli studenti di Link a suon di vuvuzelas – si è impegnato nel reperire risorse e io non posso fare altro che esprimere l’auspicio che questo accada».
L’auspicio verrà realizzato quando il ministro dell’Economia elargirà l’obolo all’università nel milleproroghe. Potrebbe essere di 800 milioni ma anche meno. Allora la terza gamba dell’alleanza di governo si accontenterà di 4500 posti da professore associato per un totale di 850 milioni in sei anni, e non dei 9 mila promessi per un totale di 1,7 miliardi (la Crui ne voleva 12 mila).
A quel punto bisognerà capire se a questa cifra – che al momento per la ragioneria di Stato non esiste – verranno aggiunte le risorse per ripianare il taglio di 1,3 miliardi di euro al fondo di finanziamento ordinario (Ffo) dell’università chiesto ieri da Fini.
Parliamo di una cifra in fondo modesta rispetto ad altre esigenze e non considera le risorse liberate dal pensionamento di massa dei docenti previsto nei prossimi tre anni. Ma in tempi di rigore, e di blocco del turn-over, in attesa che la finanziaria draconiana predisposta a luglio inizi a mordere sul serio, l’affondo di Fini rischia di avere lo stesso esito del «patto» evocato da Gelmini fino alla settimana scorsa.
A quel punto Futuro e Libertà farà cadere il governo sull’università? Sono davvero in pochi a scommettere oggi su questo rovescio. La vittoria che i finiani annunceranno consisterà nella chiamata di una risibile quota di concorsi riservati ai ricercatori indisponibili. Lo scalpo che avranno così ottenuto non solleverà 35 atenei dal rischio di commissariamento. Se i tagli resteranno, il prossimo anno la spesa per gli stipendi è destinata a superare il contributo annuale per gli atenei.
I ricercatori della rete 29 aprile evidenziano una sfumatura non secondaria in questa intricata vicenda: «La promessa dei 9 mila posti non è una soluzione, bensì parte del problema. Mira a dividere i ricercatori a tempo indeterminato (gli «indisponibili») dai ricercatori precari non strutturati». Se e quando il governo troverà le risorse, verrà dimostrato che quella dei ricercatori è una protesta corporativa e non vuole una riforma radicale del sistema universitario. Quella c’è già e si chiama Gelmini.
Un esito previsto anche dai ricercatori precari secondo i quali «la promessa del governo è un modo per comprare il consenso di una parte minoritaria dei ricercatori strutturati – sostiene il Coordinamento dei precari della ricerca e della docenza (Cpu) – e non avrebbe alcun effetto sulla situazione di oltre 60 mila precari». Per queste persone la riforma prepara un nuovo girone infernale di sei anni di precariato, la cosiddetta «tenure track», al termine della quale il Ddl non prevede il fondo necessario per l’assunzione a professore associato. Il risultato sarà di raddoppiare il numero dei precari attuali, creando migliaia di disoccupati ultra-quarantenni senza diritto ad «ammortizzatori sociali».
Di tutto questo Fini non si è occupato, sperando che lo «spirito meritocratico» salvi la riforma da Tremonti. «Bene – interviene Manuela Ghizzoni, capogruppo Pd in commissione cultura – allora i finiani ripresentino gli emendamenti che hanno ritirato per non mettere in difficoltà il governo». Un invito insidioso perché gli emendamenti sul ruolo unico e sulla garanzia finanziaria dei ricercatori a tempo determinato sono stati presentati e poi ritirati da Fabio Granata, mutuandoli proprio da quelli della rete 29 aprile. Inserire queste due norme significa minare alla base il Ddl. Non passeranno. E la riforma resterà quello che è: tecnocratica e disinvoltamente ingiusta
Il Manifesto 23.10.10