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"Terzigno brucia e a Roma si fa ammuina. Pdl spaccato", di Gianni Del Vecchio

Venti poliziotti feriti, otto mezzi danneggiati, cinque autocompattatori incendiati e tre distrutti. Questo il bilancio dell’ennesima giornata di scontri a Terzigno, dove i cittadini non ne vogliono sapere di una nuova discarica. Per cercare di mettere una pezza a una situazione che giorno dopo giorno rischia di andare completamente fuori controllo, il premier Berlusconi ha convocato per oggi a palazzo Chigi una riunione ad hoc, in cui saranno presenti il presidente della regione Campania, Stefano Caldoro, il sottosegretario Guido Bertolaso e i ministri competenti, fra cui quello dell’interno Roberto Maroni, quello dell’economia Giulio Tremonti e Stefania Prestigiacomo, titolare dell’ambiente.
Chi però si aspetta dall’incontro decisioni importanti verrà deluso. E come diceva Tito Livio, «mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata». Il vertice ristretto al massimo delibererà incentivi economici per le popolazioni che vedranno sorgere sul loro territorio una discarica, terzignesi in primis. Nulla di più. Perché dopo la decisione del Pdl campano di andare fino in fondo con l’apertura della seconda discarica di Terzigno (con la benedizione di Bertolaso), margini di manovra per una soluzione alternativa non ci sono più. Con Berlusconi e il presidente della provincia Luigi Cesaro costretti a incassare il colpo: entrambi s’erano impegnati a trovare una soluzione diversa per la gente che vive alle falde del Vesuvio. Il premier non più tardi di un mese fa aveva annunciato con una certa sicumera: «Entro una settimana vengo di persona ed elimino anche la puzza che sale dalla discarica già aperta». Invece a Terzigno non ci è mai andato e, nonostante le rassicurazioni date al sindaco, non potrà che ratificare l’apertura di cava Vitiello. Del resto la stessa Prestigiacomo ieri è stata chiara: «Il governo dovrà discutere, ma andremo avanti comunque sulla road map decisa due anni fa e apriremo discariche dove è necessario».
Tirare dritto sulla nuova discarica, a costo di scontri e disordini, è anche la vittoria di una parte del Pdl campano e la sconfitta di un’altra, quest’ultima più vicina a Berlusconi. A spingere per il rispetto della legge varata due anni fa, sono stati prima di tutto il governatore Caldoro (che in un’intervista ha fatto sapere che «per ripulire Napoli non guarda in faccia neanche agli alleati») e il ministro Mara Carfagna. I due sono le punte più avanzate della corrente che si oppone alla “fantastica coppia” Cosentino-Cesaro, che finora ha avuto in mano le redini del partito campano.
L’alta tensione a Terzigno per i due compari è infatti uno stillicidio: così il primo perde l’aurea di risolutore del problema rifiuti che s’era guadagnato due anni fa e il secondo si mostra inadeguato nel suo incarico da presidente della provincia.
Accanto alle faide interne, Berlusconi poi si trova a dover fronteggiare l’insofferenza della polizia, stufa di dover assumere sulle proprie spalle le inefficienze della politica. Lo hanno detto i poliziotti mercoledì a Europa e ieri lo ha ribadito il loro capo Antonio Manganelli: «C’è rammarico per il fatto che temi che altri soggetti sono chiamati a risolvere trovino in un ruolo di supplenza la polizia».

da Europa Quotidiano 22.10.10

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“Aspettando qualcuno che decida”, di MICHELE BRAMBILLA

Per far fronte all’emergenza-guerriglia di Terzigno, che poi è una conseguenza dell’emergenza-rifiuti della Campania (ormai in Italia tutto è «emergenza», tanto che bisognerebbe modificare i vocabolari introducendo la nuova voce: «Emergenza: stato di assoluta normalità») il governo ha convocato per questa mattina un vertice. Non sappiamo se la notizia possa placare i furori degli abitanti di Terzigno, e tranquillizzare i napoletani che vedono ricomparire le montagne di monnezza che il governo Berlusconi, come suo primo atto, aveva fatto sparire guadagnandosi un plauso quasi bipartisan. Anche «vertice» ormai è diventato un termine consueto, anzi abusato. Ad ogni emergenza, appunto, fa seguito un «vertice», che sempre più spesso produce lo stesso effetto pratico di quello che producevano, nella Prima Repubblica, le «commissioni parlamentari», istituite per risolvere qualche problema e immancabilmente destinate a crearne di nuovi, se non altro per la perdita di tempo. I l timore è che, per quanta buona volontà possano metterci questa mattina i ministri riuniti in consiglio con il premier, difficilmente riusciranno a sbrogliare la matassa una volta per tutte.

Non tanto perché sia complicata, in sé, la questione dei rifiuti in Campania. Quanto perché il vero problema da risolvere è quella specie di male oscuro che avvelena l’amministrazione dell’azienda Italia, e cioè l’impossibilità di stabilire in modo certo e definitivo chi decide per cosa. In Italia non è mai chiaro di chi sia, quando c’è da prendere una decisione, l’ultima parola. A chi spetta la soluzione dell’«emergenza» rifiuti in Campania? Dovrebbe spettare alle amministrazioni locali, cioè alle regioni e ai comuni. Ma se né la regione né i comuni riescono nella francamente non titanica impresa di consentire ai cittadini di vivere senza la spazzatura sotto il naso, ecco che interviene il governo. Ma se il governo interviene, ecco che la regione e i comuni eccepiscono. E se anche tutti e tre – Governo, Regione e Comuni – si mettessero d’accordo, ecco che ad eccepire sono i cittadini. E se poi i cittadini trovassero l’accordo con governo, regione e comuni (siamo comunque nella fantascienza) ecco che ad eccepire è la camorra.

Non è solo una cosa che succeda in Campania. La vicenda dei rifiuti napoletani ricalca in buona parte tante altre «vertenze» da tempo aperte e mai chiuse per il semplice motivo che c’è sempre qualcuno che eccepisce e nessuno che ha la forza per imporsi. Si decide ad esempio di dotare l’Italia di quel che da un pezzo hanno gli altri Paesi industrializzati: l’alta velocità. Benissimo. Il governo decide, sentite le Ferrovie dello Stato e le amministrazioni locali, però ecco qualche sindaco che dice eh no, nel mio comune no; e gli abitanti della zona, gli ecologisti, e così via. Un ministro dice che bisogna fare una centrale nucleare in Lombardia? Ecco che un partito pur di governo – la Lega – dice che in Lombardia non è il caso, e gli abitanti dei comuni interessati pronti a fare le barricate.

E ancora: un sindaco riempie la scuola comunale di simboli di partito? Tutti che si stracciano le vesti, ma nessuno che prende una decisione che metta fine, nero su bianco, alla querelle: il prefetto aspetta ordini dal ministro degli Interni, il quale a sua volta passa la palla a quello dell’Istruzione, il quale si dichiara incompetente. E ancora: si decide una riforma dell’università. Però quando arriva il momento di farla, lo stesso governo che ha varato la riforma dice che non ci sono i soldi per farla. Andiamo avanti. La Rai è nella bufera: ma chi comanda davvero alla Rai? Il presidente? Il direttore generale? Il comitato di vigilanza? Mah.

Sembra che in Italia qualcosa impedisca sempre di comandare a chi deve comandare. Intendiamoci bene. La soluzione non è quella, come qualcuno vorrebbe, di concentrare più poteri in una sola mano. L’«uomo forte» è tutt’altro che la garanzia di efficienza: raccontano che Franco – che era Franco – accatastava le questioni più spinose sulla sua scrivania in modo che l’ultima nascondesse la penultima, e aspettava che le grane si risolvessero da sé. Basterebbe, più semplicemente, che la politica si prendesse la responsabilità dell’impopolarità, deliberando e poi tirando diritto senza curarsi di piacere a tutti. Come ad esempio sta facendo la Germania, che ha prolungato di dieci anni il piano per il nucleare; o l’Inghilterra, che ha deciso di ridurre i dipendenti pubblici; o la Francia, che non recede dalla sua riforma delle pensioni nonostante gli scioperi e i disordini di piazza. E non sono dittature. Però sono appunto la Germania, l’Inghilterra e la Francia: non l’Italia.

La Stampa 22.10.10