Partendo dall´errata idea che le leggi costituzionali siano equiordinate alla Costituzione, la Commissione Affari costituzionali del Senato ha approvato un emendamento al disegno di legge 2180: «Al di fuori dei casi previsti dagli articoli 90 e 96 della Costituzione, i processi nei confronti del Presidente della Repubblica o del Presidente del Consiglio dei ministri, anche relativi a fatti antecedenti l´assunzione della carica, possono essere sospesi con deliberazione parlamentare secondo le disposizioni della presente legge costituzionale».
La verità è che, realisticamente, Fini ha dato via libera al provvedimento perché lo ha ritenuto (sotto la sua responsabilità politica, evidentemente, e tra molte proteste della sua base) il male minore: dopo questo “sì”, Fli avrà sperabilmente più forza per dire “no” alla riforma della magistratura, se questa prefigurerà il passaggio dell´ordine giudiziario alle dipendenze esplicite o implicite del potere esecutivo. Se verrà superato anche questo scoglio, la legislatura potrà continuare (forse fino alla fine naturale): Berlusconi protetto da uno scudo impenetrabile potrà dedicarsi a recuperare consenso, e Fini a consolidare il suo nuovo soggetto politico.
Apprendiamo inoltre che Berlusconi e i suoi giustificano il Lodo Alfano sostenendo che l´elezione del premier è una sorta di unzione operata da una divinità laica (il popolo sovrano), che trasforma qualitativamente l´eletto, conferendogli un carisma speciale. E poiché l´eletto è tale perché dotato, in proprio, di carisma – cioè della capacità di farsi amare dal popolo – , ne emerge che il premier sarebbe doppiamente carismatico. Processare un politico di questa qualità è come interrompere un´emozione: non si può. Le ricadute costituzionali di questa teologia politico-istituzionale del carisma sono evidenti: il Lodo Alfano non solo trasforma il primus inter pares in primus super pares, ma rafforza anche l´idea – erronea, semplificatoria, illusoria, oltre in stridente contrasto con la logica che informa l´intera Costituzione – che il presidente del Consiglio sia eletto direttamente dal popolo.
Ci sarà, presumibilmente, una battaglia politica in Parlamento e nel Paese contro questa improvvida e affrettata riforma della Costituzione. Ma, intanto, è importante ricondurre la vicenda alle sue autentiche dimensioni e motivazioni: che sono gravissime e chiarissime, ma che non vanno interpretate come vuole la maggioranza. La verità è che le categorie con le quali meglio si comprende il Lodo Alfano sono quelle, più tradizionali, di “pubblico” e “privato”. Non di “doppio corpo del re” si tratta, non di mistica coincidenza fra Uno e Tutti, fra Capo e Paese, né del ritorno della prerogativa regia, o dell´inviolabilità e dell´irresponsabilità del re – che sono tutte nozioni di diritto pubblico, benché stridenti con le logiche costituzionali e democratiche della modernità – , ma della vecchia storia che vede un privato cittadino, assai ricco e potente, che, come molti altri vorrebbero, scampa da quel nemico incomprensibilmente persecutorio (estraneo alla vita sociale come è immaginata da molti) che è la legge.
Non siamo quindi di fronte a una questione di carisma e di sovranità popolare, ma a una sorta di “io speriamo che me la cavo” all´ennesima potenza – condiviso su larga scala da una fetta del Paese, in ciò simpatetico con il potente – , a un fortunato (forse) escamotage a fini privati lucidamente costruito nel corso degli anni e proiettato nel futuro: infatti, in caso di vittoria alle elezioni – a legge elettorale invariata – la salita al Quirinale di Berlusconi, stanco di governare, sarebbe facile, e la sua strategia sarebbe quindi del tutto riuscita. Naturalmente, che a tal fine si consumi una patente violenza alla Costituzione – al principio d´uguaglianza davanti alla legge – e ci si esponga al ridicolo su scala mondiale non conta nulla: si sa che a questi effetti collaterali della propria strategia Berlusconi è indifferente.
L´ironia tutta speciale di questo caso è che il privato si serve della dimensione pubblica come riparo dai suoi guai personali, e che ora cerca e trova l´ultimo bunker – che lo salva, con matematica certezza, dai processi, e che gli garantisce la sicurezza del privilegio extralegale – proprio in una norma costituzionale. Che, nella sua solennità, sarà quindi la madre di tutte le leggi ad personam. E che questo ennesimo trionfo dell´anomia sulla norma sia spacciato per doveroso rispetto della sublime sovranità popolare e del suo Unto, e che qualcuno ci creda – mentre al contrario proprio nella maestà e nell´universalità delle legge la sovranità del popolo trova la sua manifestazione essenziale – , è, purtroppo, del tutto degno di quello che Collodi a suo tempo definì, in un grande testo nazionalpopolare, il Paese di Acchiappacitrulli.
La Repubblica 21.10.10
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“LA FUGA DAL DIRITTO”, di CARLO GALLI
Dalle dichiarazioni che hanno accompagnato la prima approvazione del Lodo Alfano (che “lodo” non è perché non rappresenta un arbitrato super partes, ma l´espressione delle ragioni di una “parte”) apprendiamo che la “serenità” delle alte cariche della Repubblica è un bene meritevole di tutela costituzionale. Mentre basta guardare fuori casa (ad esempio negli Usa, dove i presidenti vanno sotto impeachment per avere avuto –negandoli – rapporti fugaci con le stagiste) per accorgersi che di tale serenità una democrazia normale non ha bisogno.
Sbagliano però, tutti quelli che hanno votato l´emendamento in questione, se ritengono di poter sottrarre una siffatta disposizione alle censure di costituzionalità per il solo fatto che essa verrebbe approvata con la speciale procedura prevista dall´articolo 138 della Costituzione. Sbagliano perché le leggi costituzionali e di revisione costituzionale hanno il solo scopo – già chiaramente percepito dai filosofi politici del XVIII secolo – di integrare e di garantire la Costituzione “nel tempo” sia allo scopo di adeguarne pacificamente e gradualmente il contenuto alle nuove domande sociali sia per evitare modifiche effettuate violentemente o troppo frequenti.
Il disegno di legge costituzionale n. 2180 ha invece un contenuto “eversivo” della Costituzione. Infatti, qualora tale legge fosse definitivamente approvata, essa sarebbe una legge (in forma costituzionale) “in rottura della Costituzione”, che, ancorché ammissibile in via di principio, come insegnava Carlo Esposito – un liberale autentico ed uno dei maggiori costituzionalisti italiani del secolo XX – , non sarebbe però mai ammissibile qualora provvedesse “nel caso singolo” per restringere la libertà di singoli individui o per incidere sullo status dei ministri o del Presidente della Repubblica.
E non sarebbe ammissibile anche perché tale legge, disponendo la temporanea immunità processuale per i reati comuni (extrafunzionali) del Presidente della Repubblica e del presidente del Consiglio, contrasterebbe col principio costituzionale di eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, che la Corte costituzionale ha fatto rientrare nel novero dei “principi supremi dell´ordinamento”, come tali immodificabili anche in forza di una legge costituzionale.
Ebbene, che il disegno di legge n. 2180 contenga una “norma singolare” di favore per l´attuale Presidente del Consiglio – un privilegio in flagrante violazione del principio costituzionale d´eguaglianza – deriva dal fatto notorio che l´unico beneficiario della sospensione dei processi penali «anche relativi a fatti antecedenti l´assunzione della carica» è, dei due “beneficati”, il solo Presidente del Consiglio, non esistendo alcun processo penale a carico dell´attuale Presidente della Repubblica.
Tuttavia ciò costituisce un elemento di chiarificazione nel dibattito pubblico e in un eventuale giudizio di legittimità costituzionale. Essendo stati via via eliminati ora l´una ora l´altra delle cinque alte cariche inizialmente beneficate dal Lodo Schifani (il presidente della Corte costituzionale “scartato” dal Lodo Alfano, i presidenti delle Camere “scartati” dalla legge sul legittimo impedimento, il Presidente della Repubblica “scartato” anch´esso dalla legge sul legittimo impedimento a beneficio dei ministri ma ora “riapparso”, al posto dei ministri, nel disegno di legge n. 2180), non si potrà più sostenere, neanche con riferimento alla titolarità della presidenza del Consiglio dei ministri, che questa carica implichi di per sé un impedimento temporaneo tale da giustificare aprioristicamente l´assenza del premier nei processi penali a suo carico per reati comuni. E ciò, non solo perché questo unicum già di per sé appare strano, ma anche perché l´interim del ministero dello Sviluppo economico, durato ben cinque mesi, ha dimostrato inequivocabilmente – e a fortiori – che la presenza del premier in qualche udienza è agevolmente compatibile con le sue funzioni, dal momento che il loro disbrigo si è, nei fatti, rivelato compatibile con i ben più gravosi impegni connessi al lungo interim.
Un´ultima notazione. Nella quarta puntata di questo deplorevole gioco “a nascondino” del premier – che sarebbe addirittura risibile se non coinvolgesse, a livello internazionale, la serietà delle nostre istituzioni e non preoccupasse per i possibili ulteriori più gravi abusi – è stato nuovamente coinvolto anche il Presidente della Repubblica, dopo essere stato lasciato “fuori” dalla legge sul legittimo impedimento.
Ebbene, questa spregiudicatezza legislativa è assolutamente deprecabile non solo perché non si trattano le istituzioni costituzionali come se fossero carte da gioco, ma anche per quel rispetto che si deve alla persona del Presidente della Repubblica, che andrebbe preliminarmente sentito per esprimere ufficialmente il suo parere su una modifica costituzionale che lo coinvolge. Tanto più che l´Assemblea costituente, il 24 ottobre 1947, si espresse esplicitamente in senso contrario negando l´immunità processuale del Capo dello Stato per i reati comuni.
La Repubblica 21.10.10