Giornata mondiale della statistica. Ma in Italia c’è poco da festeggiare. L’ultimo regalo del governo alla statistica italiana è un taglio, non ancora ufficiale, da sessanta milioni di euro. Palazzo Chigi lo avrebbe inserito tra le tabelle del piano di stabilità. E se fosse confermato l’Istat perderebbe circa un terzo del suo attuale bilancio (150 milioni). «Come dire, tutti a casa e addio statistica pubblica », spiegano i ricercatori che dal primo mattino, davanti alla sede Istat di via De Pretis, si preparano a contestare gli «sgraditi» ospiti. «Brunetta più Gelmini uguale zero futuro », recita lo striscione rosso che srotolano dal tetto dell’edificio, in attesa dei ministri dell’Istruzione e della Funzione Pubblica. Maria Stella Gelmini e Renato Brunetta, invitati dalla presidenza dell’Istituto a prender parte ai festeggiamenti, alla fine, in viaDePretis non si sono fatti vedere. Evento «liberato» dalla loro «sgradita presenza », rivendicano i manifestanti: «se si fa ancora statistica pubblica in Italia è nonostante loro e non grazie a loro».Da statistici i cartelli che sollevano e i volantini che distribuiscono ai passanti sono fatti di numeri. Con il meno davanti. I ricercatori che li hanno preparati sono quelli che curano il censimento della popolazione e producono le indagini sulle forze lavoro, sui redditi delle famiglie. Quelli che mandano avanti la statistica italiana. Dal 2011 per la loro formazione l’Istat spenderà la metà. Anche le spese per partecipare ai convegni e ai seminari di studio sono considerati un optional e quindi sono già stati tagliati. Un piano da prospettiva zero. Bloccati tutti gli scatti economici e di carriera. Ridotti gli organici del 10%. Bloccato il turn over: ogni cinque che vanno in pensione entra a mala pena un giovane ricercatore. Una giovane ricercatrice, che cura le indagini sui redditi, regge un cartello in cui si sintetizza il dato più macroscopico. L’Italia investe in ricerca l’1,2% del Pil, mentre la media europea è dell’1,9% e l’obiettivo fissato a Lisbona per il 2010 è del 3%. Livelli di investimento «fermi agli anni Ottanta », spiega il volantino siglato dalla Flc Cgil. Ricercatori, ma anche padri e madri. La maggior parte hanno tra i 35 e 45 anni. E quando parlano del «futuro del paese» parlano di qualcosa di molto concreto. Di scuola, esempio. Detta in numeri, cinque euro a lavoratore per la formazione. E in tre anni: meno90mila insegnanti,meno44mila tecnici. Lo stato li conteggia in 7,832 miliardi di risparmi, i ricercatori dell’Istat in meno diritti per le generazioni a venire: «Solo il 7,5% della spesa pubblica è per l’istruzione, in Germania il 21,7%». «Il fatto che la ricerca pubblica e la statistica in Italia ricevano finanziamenti nettamente inferiori ad altri paesi europei, la metà della Francia e un terzo dei paesi scandinavi, è un problema che esiste», conferma, da dentro il palazzo di via De Pretis, il presidente dell’Istat Enrico Giovannini. Quanto all’Istat secondo lui i «suoi» ricercatori fanno «troppo allarmismo »: «Ci sono segnali importanti che provengono dal governo e dal Parlamento, visto che sono stati destinati nel biennio 700 milioni per i censimenti », assicura (risorse previste ed erogate con ritardo, replicano da fuori). E smentisce, parzialmente, che sia in arrivo un taglio da 60 milioni. «Non corrisponde alle informazioni in nostro possesso», spiega, precisando però di dover ancora studiare a fondo le tabelle della legge.
L’Unità 21.10.10