La sopravvivenza della Rai come azienda di servizio pubblico, come luogo di pluralismo politico-culturale, è ad un passaggio sempre più stretto e soffocante. Con un presidente-padrone, Berlusconi, il quale non esita ad esprimere tutta la propria generosa “comprensione” per quegli abbonati della Rai che non pagheranno il modesto canone di 109 euro, cioè evaderanno una imposta (sul possesso del televisore) perché questo è il canone, in tutta Europa. Dove lo stesso oscilla fra il minimo, ben al di sopra di noi, dei 149 euro del Belgio e il massimo dei quasi 300 euro della Svizzera (in mezzo Austria, Scandinavia, Germania, Regno Unito, Irlanda, ecc).
Berlusconi se ne infischia del conflitto di interessi, del fatto che lui compete con la Rai negli ascolti tv, di un pluralismo che, nonostante polemiche ricorrenti, in passato non è mai mancato, e getta nella mischia i suoi uomini, i suoi ministri contro le trasmissioni più scomode Quelle che però più di altre raccolgono pubblicità, a cominciare da “Annozero” la quale concorre pure ad alzare lo share non eccezionale di Rai2. Andare a testa bassa contro Santoro, Fazio, Floris e altri (compresi Benigni e Saviano) è un vero suicidio, anche economico, per una non-azienda che ha lasciato scoperta per mesi la carica strategica di ad della società pubblicitaria Sipra. Ed ha registrato altre perdite secche per l’abbandono, tutto politico, della piattaforma satellitare Sky divenendo ancor più subalterna a Mediaset.
Ma all’attuale maggioranza di centrodestra del CdA della Rai cosa può importare del rapporto costi/benefici, del deficit, del prestigio perduto? A loro e a questo incredibile direttore generale (non ne ricordo di così maldestri e però così determinati al peggio) importa che una azienda di tutti gli italiani sia allineata ai voleri di un solo italiano. Ciò che conta è trasformare una “istituzione” come il “Tg1” in un tg dove le omissioni non si contano e dove un direttore venuto dal gossip politico si esibisce in tragicomici editoriali per Silvio concorrendo a cali di ascolti ormai vistosi. Ma che importa, se Berlusconi ne è contento, anzi due volte contento? Come Grande Fratello, in tutti i sensi.
Che fare se, come sottolinea Sergio Zavoli, che a questa azienda ha dato tanto, la situazione è più allarmante che mai? Che fare se, come rileva il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, la «Rai è sempre più un caso politico»? Bisogna che le forze di centrosinistra, in primo luogo il Pd, mettano a punto una proposta chiara e concreta dalla quale non arretrare. Tante, troppe sono, negli ultimi dieci anni, le farfalle che il centrosinistra ha inseguito fra il Parlamento e Viale Mazzini: il mitico 1138 che doveva ridimensionare la pubblicità di Rai e Mediaset, la public company, una non ben definita fondazione non scollegata dai partiti, la vendita sul mercato di due reti su tre… Guardi con coraggio all’Europa più avanzata, la smetta di patteggiare sotto sotto qualche pezzo di rete, qualche promozione. Faccia per davvero una battaglia politica alternativa perché qui si misura la forza dell’alternativa.
L’Unità 21.10.10