Il tema giustizia è al centro dell’attenzione riformatrice del capo del governo. Le riforme pensate riguardano peraltro, in larga misura, temi che poco hanno a che fare con l’obiettivo di efficienza che dovrebbe essere prioritario.
Mi riferisco non soltanto ai progetti che salvaguardano il premier dai suoi processi, come il lodo Alfano, ma soprattutto a quelli finalizzati a «riequilibrare», così si dice, i poteri dello Stato, assicurando una protezione generalizzata alla politica contro le iniziative giudiziarie: articolato sistema di immunità, indebolimento del Csm, rafforzamento dell’ingerenza dei partiti nella gestione della magistratura, limitazioni dell’indipendenza di pubblici ministeri e giudici. In questa prospettiva, ancora in questi giorni, si è parlato di sdoppiamento del Csm, d’incremento della componente di nomina politica dei suoi membri, di separazione delle carriere, di ribaltamento dei poteri fra procure e polizia giudiziaria nella conduzione delle indagini.
Io sono in larga misura critico di fronte a questo «nuovo». E sono critico, soprattutto, nei confronti delle ventilate riforme costituzionali «di struttura», che finirebbero per assicurare molta impunità alla politica, ma sicuramente poca giustizia rapida ed eguale nell’interesse dei cittadini. Mi si obietta tuttavia da qualche lettore: bene, ma non basta criticare. Quali sono invece, concretamente, le proposte alternative finalizzate all’efficienza? Senza pretese d’esaustività, mi sembra possibile tratteggiare un quadro di possibili riforme utili a una giustizia funzionante. Occorrerebbe, in primo luogo, affrontare la questione della riorganizzazione delle sedi giudiziarie, eliminando quelle inutili e procedendo ai necessari accorpamenti (sono anni che tale problema è sul tappeto; nulla è stato peraltro realizzato a causa delle resistenze locali).
Ancor prima, occorrerebbe risolvere il nodo delle sedi disagiate vacanti (vi sono, addirittura, procure della Repubblica ormai senza sostituti, e quindi di fatto impedite). A questo riguardo il governo ha varato una riforma che prevede il trasferimento coattivo dalle sedi limitrofe. Tale provvedimento è stato accusato da taluno d’incostituzionalità (violerebbe il principio d’inamovibilità dei magistrati); sembrerebbe, addirittura, che il Csm stia facendo resistenza alla sua applicazione. In ogni caso, la questione dovrebbe essere risolta in fretta: o con la rigorosa applicazione della nuova legge o con altri, possibili, strumenti.
C’è, in secondo luogo, un problema di riorganizzazione interna degli uffici giudiziari. Nel Paese esistono alcuni esempi d’interventi che hanno consentito l’ottimizzazione dei mezzi con risultati apprezzabili; il che dimostra che, riorganizzando in maniera razionale, è possibile ottenere. Perché non cercare d’estendere la riorganizzazione felicemente praticata all’intero sistema? D’importanza decisiva può diventare, a questo punto, l’informatizzazione del servizio giustizia, con la sostituzione degli accessi alle cancellerie con collegamenti via Internet e quella delle copie cartacee degli atti con la loro trasmissione per e-mail.
Sono prospettabili, inoltre, interventi legislativi mirati che potrebbero assicurare l’abbattimento dei rinvii o degli annullamenti «postumi» dei processi. Ne indico alcuni: semplificazione del regime delle notifiche; esaurimento delle questioni relative alla competenza nell’udienza preliminare, e possibilità di ricorso immediato in Cassazione; semplificazione delle nullità con onere, per i difensori, di eccepirle immediatamente; riduzione dei legittimi impedimenti (sovente strumentali) di imputati e avvocati; modificazione della disciplina della contumacia.
Si potrebbe, a questo punto, pensare a cambiamenti più articolati del sistema processuale. Ad esempio, imposizione ai pubblici ministeri di un termine perentorio per le proprie determinazioni una volta esauriti i tempi delle indagini; riordino della disciplina dell’udienza preliminare (oggi trasformata in una sorta di «quarto» grado di giudizio); rivisitazione del sistema delle impugnazioni (es. limitazioni all’uso contemporaneo dell’appello e del ricorso per Cassazione e dei casi di ricorribilità in Cassazione, divieto di ricorrere contro i patteggiamenti).
Si potrebbe, infine, prospettare una riforma organica dei codici e del processo. I tempi per la realizzazione di iniziative di ampio respiro di questo tipo potrebbero essere lunghi. È tuttavia peculiare che progetti organici di riforma, elaborati nell’ultimo decennio da alcune commissioni ministeriali (io stesso ho presieduto una di esse, di riforma del codice penale), siano stati lasciati cadere, sprecando così risorse e vanificando risultati positivi possibili. Requisito indispensabile sarebbe, infine, non tagliare, ma se possibile incrementare, e di molto, le risorse destinate alla giustizia.
A questo punto, di fronte a un’inerzia apparentemente incomprensibile (talune delle menzionate riforme, si badi, sarebbero realizzabili velocemente e a costo zero), viene peraltro un sospetto: che alla politica, al di là delle parole, una giustizia veramente funzionante interessi poco. Ciò che interessa in realtà a larghi settori dell’una come dell’altra sponda politica è, soprattutto, che la magistratura sia saldamente, e definitivamente, collocata «sotto il trono».
La Stampa 11-10.10