Gli esperti di sistemi di voto di Pd,Udc e Fli hanno messo a punto un primo testo di riforma: via liste bloccate e premio di maggioranza, sì a collegi uninominali, soglia di sbarramento e indicazione del candidato premier. Via il premio di maggioranza e le liste bloccate, soglia di sbarramento al 3%, possibilità di indicare il candidato premier, collegi uninominali e niente preferenze. Dopo che nei giorni scorsi Pier Luigi Bersani, Pier Ferdinando Casini e Giancarlo Fini hanno aperto i canali di dialogo, gli esperti di legge elettorale del Pd, dell’Udc e di Futuro e libertà hanno iniziato il confronto per individuare un modello di voto condiviso.
Una prima intesa su alcuni principi di fondo è stata già raggiunta, e la bozza che sta venendo fuori è rinviabile al sistema tedesco, però modificato introducendo elementi che ne rafforzerebbero l’aspetto bipolare. Il Pd ha approvato all’ultima Assemblea nazionale un documento in cui si sostiene il doppio turno alla francese, ma anche i più strenui difensori del modello d’Oltralpe – veltroniani in primis – difficilmente si metterebbero di traverso qualora si arrivasse a un’intesa maggioritaria in Parlamento. E anche il leader dell’Idv Antonio Di Pietro, che nelle scorse settimane si era detto contrario a operazioni e modelli che potrebbero generare confusione nell’elettorato di centrosinistra, ora garantisce la sua disponibilità: «Si può anche discutere di un sistema proporzionale alla tedesca, a patto che sia chiara agli elettori l’indicazione di chi deve governare e ci sia uno sbarramento per evitare la frammentazione». Segnali positivi insomma non mancano, ma finché non ci sarà il via libera definitivo a un testo che possa incassare la maggioranza dei voti in Parlamento (si è visto dal voto di fiducia che i finiani alla Camera sono indispensabili per tenere in piedi il governo, mentre al Senato Pdl e Lega sono sembrati autosufficienti) l’operazione dell’asse anti-porcellum proseguirà lontano dai riflettori.
BERLUSCONI PREOCCUPATO
Berlusconi vede infatti come il fumo negli occhi l’ipotesi di una maggioranza alternativa che possa approvare una nuova legge elettorale: perché il porcellum, stando agli ultimi sondaggi, gli garantirebbe di prendere il 55% dei seggi alla Camera con un Pdl che oscilla tra il 28 e il 30% (più complicata la situazione al Senato, «per colpa di Ciampi che impose la “regionalizzazione” del premio», attacca il deputato del Pdl Marco Marsilio); e perché di fronte a un numero di parlamentari sufficienti a cancellare il porcellum, Berlusconi avrebbe poco da gridare all’«eversione» (come ha fatto nei confronti di Scalfaro) se ci sarà una crisi di governo e il Quirinale avvierà le consultazioni per verificare se vi sia in Parlamento una maggioranza alternativa, prima di sciogliere le Camere e indire nuove elezioni.
È proprio quello che temono Pdl e Lega. Non a caso appena il finiano Italo Bocchino si è detto convinto che esista «già una maggioranza alternativa, tanto alla Camera quanto al Senato, in grado di ritrovarsi sulla modifica della legge elettorale» è partito il fuoco di fila dei berluscones: «trasformismo parlamentare», ha tuonato Sandro Bondi; «mille trabocchetti», vede Fabrizio Cicchitto; «mettersi a manovrare su una legge elettorale per favorire chi è perdente sarebbe un errore molto grave», ha sentenziato Gasparri; e il leghista Roberto Castelli: «Maggioranza alternativa è il termine istituzionale per indicare il termine mediatico di ribaltone». Attacchi che non preoccupano Fini, convinto com’è che il «vergognoso» porcellum sia da archiviare: «La sovranità appartiene al popolo, e questo significa che gli elettori devono avere il diritto non solo di scegliere il presidente del Consigli ma i loro parlamentari ». Concetto che il presidente della Camera va ripetendo, in piena sintonia con Casini («evitiamo che quattro gerarchi di partito impongano i parlamentari agli elettori») e con Bersani.
Rispondendo all’ironia del ministro leghista Maroni sull’«ipotesi strampalata» che ci possa essere un governo tecnico che vada da Fini a Di Pietro per riformare la legge elettorale, Bersani ha fatto notare che «non si sta parlando di maggioranza di governo, ma di regole», che come tali vanno discusse nelle aule parlamentari: «Se c’è una maggioranza che dice che la legge è intollerabile allora si va in Parlamento e si vota. Da sempre diciamo che abbiamo una legge elettorale vergognosa, che consente la nomina dei parlamentari, la subordinazione della maggioranza al governo, e che ha portato e può portare ancora un sacco di guai al Paese. E non da oggi siamo disponibili a concordare una nuova legge elettorale. Perché la legge la si fa in Parlamento, non con le maggioranze e le minoranze ma con chi è disposto a convergere».
L’Unità 05.10.10
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Maggioranza alternativa al Senato il rebus dei voti. Si è aperta la caccia ai «responsabili nazionali», di Natalia Lombardo
Sarà pure la mossa di una partita a scacchi, ma da fronte finiano mostrano una certa sicurezza verso un possibile governo di transizione: «Cambiare la legge elettorale è giusto, e su questo ci potrebbe essere una maggioranza molto ampia», assicura Benedetto Della Vedova; per il capogruppo Bocchino «esiste già, sia alla Camera che al Senato» e pesca anche nel Pdl. Convinti che la Lega stia «giocando in proprio per far cadere Berlusconi», i futuristi tengono in caldo le new entry e aperto il dialogo col Pd sulla legge elettorale.
Nel frattempo sembra che Gianni Letta stia cercando di convincere i duellanti, Berlusconi e Fini, a incontrarsi faccia a faccia, cosa non facile. Maggioranza diversa, nuovi acquisti per Fli? «Suggestioni», è la sibillina risposta di un finiano doc. Come quella che vede a Palazzo Madama, dove la maggioranza di governo per ora è ferrea (174 sì alla fiducia), un drappello di senatori pronto a lasciare il Pdl per entrare in Futuro e Libertà. Senatori che Berlusconi starebbe cercando di «blindare» con posti da sottosegretario e viceministro (uno lo lascia Romani).
Molti peones «farebbero di tutto per non andare a casa temendo di non essere ricandidati», ammettono nel Pdl, tanto più che Silvio vuole «facce nuove» e che la Lega farà man bassa al Nord. «Ci sono dieci nomi al Senato, e dieci alla Camera, per ora sono “coperti”», assicura un deputato ex Fi. E, spostando sul pallottoliere anche solo tre oquattro senatori dal Pdl a Fli varrebbero il doppio, cambiando la maggioranza. Il drappello di «responsabili», come li definisce un finiano, fa riferimento a Beppe Pisanu. che aspetta solo il momento giusto per attuare lo «strappo» e passare con i «futuristi ». Un passo da compiere come grande segno di «responsabilità nazionale», appunto.
LA CARTA PISANU PREMIER
Il nome dell’ex ministro dell’Interno, un forzista moderato nato nella Dc, in rotta da tempo con Berlusconi (che lo ha accusato più volte di non aver vigilato nella notte elettorale del 2006) sarebbe la carta tenuta in caldo dai finiani come presidente del Consiglio di questo governo di «responsabilità nazionale» che cambi la legge elettorale e cancelli la «porcata».
In Parlamento è addirittura nata la «Associazione per il ritorno all’uninominale» che domani esordirà con un’assemblea; molti i nomi del Pdl: Salvo Fleres, Domenico Gramazio, Antonio Martino, Francesco Nucara, Mario Pepe, Salvatore Tatarella e Enrico La Loggia, nemici del «porcellum». Pronto a un’intesa sulla legge elettorale è Raffaele Lombardo, leader dell’Mpa: «Certamente c’è chi, pur di non votare con questa legge elettorale, farebbe i salti mortali. Io sono fra questi; poi vedremo se ci riusciremo».
A Palazzo Madama una maggioranza «diversa» non è una chimera. Se si unissero i voti dell’opposizione (112 del Pd, 12 Idv, 13 Udc – senza Cuffaro) con i 10 di Fli, i 3 Mpa, 3 dell’Api, il conto è 153 senza i senatori a vita. Con qualche travaso i numeri potrebbero esserci, ma il rischio è che nasca una maggioranza «prodizzata» sul filo di un voto. Una prospettiva «terrificante» per il leghista Maroni.
L’Unità 05.10.10