La multiforme espressione della gauche italiana: ma i vari
pezzi sono conciliabili? L’articolo di Ilvo Diamanti pubblicato ieri su Repubblica descrive una galassia della sinistra italiana in costante crescita, tanto da raggiungere ormai complessivamente quasi l’11 per cento. Un campanello d’allarme, certo, per un Pd che resta bloccato attorno al 25 per cento e che con queste forze è costretto a fare i conti in vista di una chiamata al voto che, se sul piano nazionale è ancora solo probabile, è invece sicuro per molti dei principali comuni italiani. E basta ricordare lo scherzetto giocato da Grillo e dalla sua lista a Mercedes Bresso la scorsa primavera per capire la portata del pericolo, più che rosso anti-politico.
Se però si prova a riportare alla realtà dei temi politici queste forze, si capisce che quell’11 per cento si raggiunge solo mettendo insieme le mele con le pere, una somma impossibile come spiegherebbe una maestra ai suoi alunni. Grillo, Di Pietro, Vendola e Ferrero vanno in ordine sparso praticamente su tutto, con in più una tendenza inestirpabile nella sinistra radicale, ossia quella di sgomitare l’un l’altro nel tentativo di strapparsi a vicenda i (pochi, spesso) voti che hanno.
Grillo va per conto proprio. La sua posizione, in un certo senso, è la più semplice: essendo al di fuori del “sistema” può permettersi di contestare tutto e tutti. In più, sapendo anche di avere ben poche speranze di entrare nel sistema stesso, non ha nemmeno il problema di ricercare eventuali alleati o di dare il proprio contributo al superamento del berlusconismo. I suoi unici alleati sono i movimenti del “no” (Dal Molin, Tav, Ponte sullo Stretto, ecc.), incompatibili tanto con il centrodestra quanto con il centrosinistra.
Per questo, forse l’unico a soffrire in maniera consistente la concorrenza dei grillini è Di Pietro. L’ex pm prova a mettere il cappello su tutti i movimenti più o meno spontanei che emergono in quell’area («con Grillo siamo complementari» e sabato il popolo viola ha dovuto chiedere ai suoi di abbassare le troppe bandiere col gabbiano distribuite), ma nel contempo cerca di limitarne la concorrenza elettorale. Ieri, ad esempio, ha precisato di auspicare il voto «già domani », ma anche di sostenere «un governo di transizione con tutti quelli che ci stanno» che «può durare solo 90 giorni» per cambiare la legge elettorale. Quale? L’Idv ha già presentato una proposta per l’uninominale a doppio turno, ma anche è disponibile a «discutere di un sistema proporzionale alla tedesca», purché «ci sia uno sbarramento per evitare la frammentazione». La coperta dell’antipolitica è corta, come dimostra l’improvvisa frenata nei sondaggi di Idv, e Di Pietro rischia di tirarla da troppe parti nel tentativo di lasciare scoperta la concorrenza, grillini e Vendola in primis.
Il governatore pugliese, dal canto suo, punta a contenere le spinte antipolitiche, più che a cavalcarle. Ricerca il confronto con il popolo viola, meno pregiudiziale verso i partiti, e invita gli indiscussi alleati del Pd a cercare il confronto anche con le piazze.
«Se daremo vita a un progetto politico forte – spiega Franco Giordano – questo saprà dare le risposte anche ai movimenti».
Se questa è la priorità, un’alleanza seppur temporanea con Fini sarebbe una contraddizione, «un atto di eresia e di fantapolitica», per dirla con Vendola. Se quindi si trova in parlamento una maggioranza in grado di cambiare la legge elettorale bene, altrimenti per Sel bisogna andare alle urne con un progetto ben delimitato: insomma, sì al nuovo Ulivo, ma no all’alleanza democratica.
Un passaggio su cui il governatore pugliese è scavalcato a destra da Ferrero, secondo il quale «le opposizioni democratiche hanno il dovere di dare una risposta unitaria e immediata» a Berlusconi. Il Prc, insomma è pronto a fare la propria parte, anche se Diliberto, l’altra gamba della federazione della sinistra, già non è d’accordo.
da Europa Quotidiano 05.10.10